Mantenimento dei figli maggiorenni: si accentua il principio di autoresponsabilità e si inverte l'onere della prova
30 Dicembre 2020
Massima
Il diritto all'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne cessa con la maggiore età, quando si presume raggiunta la capacità lavorativa e con essa l'idoneità al reddito. Tale presunzione può essere superata e il Giudice può riconoscere un contributo al mantenimento del figlio maggiorenne, se questi dimostra di essere in una condizione di non autosufficienza incolpevole, perché impegnato con diligenza in un percorso formativo o perché ancora privo di un'occupazione, nonostante un'attiva e ragionata ricerca. Ciò in ossequio alla funzione educativa del mantenimento e al principio di autoresponsabiltà. In ogni caso, superato il lasso di tempo mediamente occorrente per inserirsi nel mercato del lavoro, il diritto al mantenimento viene meno, a meno che il figlio non provi non solo di non aver potuto trovare il lavoro desiderato per causa a sé non imputabile, ma anche che non fosse conseguibile nessun'altra occupazione idonea a renderlo autonomo. In ossequio al principio di prossimità della prova, l'onere della prova della sussistenza dei presupposti per il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, ovvero del figlio o del genitore con lui convivente, che possono fornirla anche tramite il ricorso a presunzioni. Il caso
Nell'ambito di un giudizio di divorzio, un padre chiede che venga accertata l'insussistenza dei presupposti per la corresponsione dell'assegno di mantenimento nei confronti della figlia maggiorenne, a suo dire, divenuta economicamente autosufficiente. A sostegno di ciò, il ricorrente afferma che la figlia avrebbe ormai rinvenuto un'occupazione con una retribuzione mensile pari a circa 1.000,00 €. Di conseguenza, egli insiste anche per la revoca del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, disposto in sede di separazione in favore della moglie. Di contro, la madre fornisce una diversa prospettazione della situazione lavorativa e reddituale della figlia, asserendo che il compenso della ragazza sarebbe pari ad appena 300,00 € mensili, tale dunque da mantenerla in una condizione di dipendenza economica dai genitori. Chiede pertanto la conferma del contributo al mantenimento posto a carico del padre nonché dell'assegnazione della casa coniugale. La questione
Sulla scia del recente arresto della Suprema Corte (Cass. Civ., 14 agosto 2020, n. 17183), il Tribunale di Cosenza interviene sul tema del mantenimento dei figli maggiorenni, prendendo posizione sulle questioni più controverse della materia: - fino a quando sussiste in capo ai genitori il dovere di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni? - su chi grava l'onere della prova volta a dimostrare la sussistenza dei presupposti per l'assegno di mantenimento? Le soluzioni giuridiche
La decisione Il Tribunale di Cosenza accoglie le domande del padre, ritenendo insussistenti i presupposti per il riconoscimento di un contributo a favore della figlia. Rigetta così anche la domanda di assegnazione della casa coniugale. In mancanza di allegazioni documentali relative alle condizioni reddituali della giovane, il Tribunale fonda la propria decisione sulle evidenze probatorie risultanti dall'escussione testimoniale dell'altra figlia. Quest'ultima – esaminata su richiesta del padre – dichiara che la sorella lavora presso un fast food con una retribuzione mensile di circa € 1.000,00. Il diritto positivo Prima dell'entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, non esisteva nell'ordinamento giuridico una previsione specifica che sancisse il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Il principio veniva fatto discendere dall'art.30 Cost. e dalle altre disposizioni codicistiche (artt. 147, 148 c.c.) in tema di doveri dei genitori verso i figli. Era pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che il dovere di mantenere il figlio dovesse protrarsi anche oltre la maggiore età, fino al raggiungimento dell'indipendenza economica. Analogamente, si riteneva che ogni dovere contributivo dovesse cessare laddove, oltre una certa età, la mancanza di un'autonomia finanziaria fosse imputabile alla condotta colpevole del figlio stesso. La legge 8 febbraio 2006, n. 54 ha introdotto nell'ordinamento giuridico una norma ad hoc,l'art. 155-quinquies c.c., successivamente abrogato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, e da quest'ultimo trasposto, con identica formulazione, nell'art. 337-septies c.c. Anche dopo l'entrata in vigore della norma, la giurisprudenza, uniformemente, ha continuato ad affermare che il diritto al mantenimento dovesse proseguire anche oltre la maggiore età, ponendo in capo al genitore obbligato l'onere di provare il venir meno dei presupposti del diritto stesso. La motivazione Il Tribunale svolge un esaustivo excursus degli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi anni, richiamandosi, infine, alla recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17183/2020, di cui fa propri i passaggi argomentativi più audaci e innovativi. 1.Discrezionalità della decisione, valutazione caso per caso, variabili rilevanti Il Tribunale di Cosenza parte con un inquadramento generale, ricordando che la decisione sulla sussistenza del diritto al mantenimento è rimessa al Giudice di merito e che ha natura discrezionale, in conformità con il dettato dello stesso art.337-septies, comma 1° c.c. Nell'impossibilità, secondo la giurisprudenza finora prevalente, di fissare un termine assoluto per la cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, il giudizio in ordine all'accertamento dei suoi presupposti va effettuato caso per caso e deve basarsi su “criteri di relatività”, dovendo essere ancorato al percorso scolastico, universitario e post -universitario del soggetto, alle condizioni attuali del mercato del lavoro, con particolare riferimento al settore a cui egli aspira (Cass. Civ., 26 gennaio 2011, n. 1830). Inoltre, la valutazione deve farsi proporzionalmente più rigorosa al crescere dell'età del figlio, per scongiurare che l'obbligo assistenziale possa protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo, dando così origine a posizioni parassitarie di soggetti ormai non più giovani ai danni di genitori sempre più anziani (Cass. Civ. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. Civ., 7 luglio 2004, n. 12477; Cass. Civ., 6 aprile 1993, n. 4108). 2.La funzione educativa del mantenimento Il Tribunale passa poi ad analizzare la funzione del diritto al mantenimento, sottolineandone la stretta correlazione con il diritto all'istruzione e all'educazione ex art. 315-bis c.c. Il diritto al mantenimento non si pone in una dimensione assoluta e afinalistica, ma esiste all'interno di un progetto educativo e formativo, attraverso il quale il ragazzo possa costruire la propria identità. Tale progetto dovrà essere rispettoso delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio, ma anche compatibile con le condizioni economiche dei propri genitori (Cass. Civ., 20 agosto 2014, n. 18076; Cass. Civ., 11 aprile 2019, n. 10207, nonché App. Catania, 27 ottobre 2017 e Cass.Civ., 26 aprile 2017, n.10207, che riconoscono il diritto all'assegno per proseguire gli studi anche dopo il conseguimento della laurea triennale). In questo senso, la funzione educativa del mantenimento costituisce un parametro utile per circoscrivere la portata dell'obbligo di sostentamento economico da parte dei genitori, sia in termini di contenuto, sia in termini di durata, con riferimento al tempo in media necessario per l'inserimento nella società (Cass. Civ., 20 agosto 2014, n. 18076; Cass.Civ., 22 giugno 2016, n. 12952, Cass. Civ., 5 marzo 2018, n. 5088). 3.Il principio di autoresponsabilità L'idea che il dovere di mantenimento del figlio in capo ai genitori si iscriva nell'ambito di una funzione educativa porta all'ulteriore conseguenza che – parallelamente - il diritto del figlio non possa configurarsi in termini di mera pretesa assistenzialistica, ma abbia la sua contropartita nel dovere di studiare, impegnarsi e lavorare per raggiungere un'autonomia finanziaria. È qui che si inserisce il richiamo del Tribunale al principio di autoresponsabilità: il giovane figlio maggiorenne, in quanto tale, è titolare non solo di diritti, ma anche di doveri, che si estrinsecano verso i propri genitori e verso sé stesso. In virtù di tale paradigma, nella valutazione in merito al protrarsi o al venir meno dell'obbligo al mantenimento, a fronte dell'inerzia colpevole del figlio ultratrentenne nel cercare un'occupazione, si è ritenuta del tutto irrilevante la circostanza che il genitore obbligato goda di ottime condizioni economiche, risultando, ad esempio, ricco possidente immobiliare (Cass. Civ., 25 settembre 2017, n. 22314). 4.Il concetto di indipendenza economica alla luce dei principi richiamati Il Tribunale evidenzia ancora che i cambiamenti socio-economici portano la giurisprudenza ad accentuare sempre più il richiamo al principio di autoresponsabilità, in considerazione della diversa strutturazione del mercato del lavoro e a fronte della non infrequente sopravvenienza di una mancanza di autonomia “di ritorno” in capo agli stessi genitori obbligati al mantenimento (Cass. Civ., 20 agosto 2014, m. 18076). Ne discende che, se, in passato, - per valutare il raggiungimento dell'autonomia del figlio - si riteneva necessario che egli acquisisse “un'appropriata collocazione in seno al corpo sociale” (Cass. Civ., 10 aprile 1985, n. 2372) o arrivasse a percepire “un reddito corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. Civ., 26 gennaio 2011, n. 1830), più di recente, il concetto di indipendenza economica è stato riparametrato, si può dire con minor pretesa, anche in relazione alla diffusa e crescente disoccupazione giovanile. Si ritiene, così, che l'obbligo di mantenimento non possa essere correlato solo al mancato rinvenimento “di un'occupazione del tutto coerente con il percorso di studio o di conseguimento di competenze professionali o tecniche prescelto” e che, al contrario, “l'attesa o il rifiuto di occupazioni non perfettamente corrispondenti alle aspettative possono costituire, se non giustificati, indici di comportamenti inerziali non incolpevoli” (Cass. Civ., 22 giugno 2016, n. 12952). In altri termini, si è ritenuto che, soprattutto oltre una certa età, il figlio debba cercare di rendersi comunque autonomo, a tal fine anche accettando occupazioni non del tutto aderenti alle proprie aspirazioni o alla propria formazione, in attesa di poter eventualmente realizzare i propri sogni in un momento successivo. Del resto, ribadisce il Tribunale, già in passato, il concetto di indipendenza economica era stato definito facendo riferimento all'art. 36 Cost. e identificato dunque con il raggiungimento di una retribuzione sufficiente a soddisfare le esigenze di vita primarie e ad assicurare “un'esistenza libera e dignitosa” (Cass. Civ., 11 gennaio 2007, n. 407). Ma vi è di più. Il principio di autoresponsabilità, così declinato, si esplica nei confronti del giovane adulto in due distinte fasi: ex ante, al momento della scelta degli studi, che il figlio deve effettuare in relazione alle proprie attitudini e alle proprie capacità, ma anche tenendo conto delle concrete prospettive occupazionali che quel percorso offre; ex post, quando il ragazzo deve attivarsi per ricercare un qualsiasi lavoro che lo renda autonomo, attivandosi a tal fine in tutte le direzioni. 5.Raggiungimento della maggiore età e cessazione del diritto al mantenimento È però con riferimento alla lettura dell'art. 337-septies c.c. che il Tribunale di Cosenza, sposando il pensiero della Suprema Corte dell'agosto scorso, introduce nella motivazione il primo elemento decisamente innovativo, ponendosi in una linea di netta discontinuità rispetto ai precedenti orientamenti giurisprudenziali. Il Tribunale afferma infatti che, ai sensi dell'art. 337-septies c.c., l'obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli cessa al compimento della maggiore età, quando si acquisisce la capacità di agire, la libertà di autodeterminazione (e così il diritto di voto), nonché la capacità lavorativa. L'ordinamento presume cioè che al raggiungimento della maggiore età si sia maturata anche la capacità di inserirsi nel mercato del lavoro e di svolgere un'attività che garantisca l'indipendenza economica nei termini sopra descritti. Si tratta, però, di presunzioni che possono essere superate, ricorda la sentenza (così ricollegandosi agli orientamenti passati), di modo che il diritto al mantenimento permarrà - ogni qualvolta sia dimostrata l'esistenza di un percorso di studi o comunque di un percorso formativo in fieri - per il tempo ancora necessario per la ricerca di un lavoro che assicuri l'autonomia finanziaria. Il tempo medio occorrente in un determinato periodo storico per trovare un'occupazione, in relazione al grado di preparazione raggiunto, potrà essere valutato facendo utilizzo di dati statistici. Ricorda poi il Tribunale - con un ulteriore affondo al passato garantismo - che in mancanza della prova predetta, non soltanto il diritto al mantenimento non sussiste, ma il figlio potrà addirittura risultare inadempiente rispetto all'obbligo - derivante dall'art. 315-bis comma 4° c.c. - di “contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”. Una considerazione quasi provocatoria, ma che molto dice del pensiero ad essa sotteso. 6.L'onere della prova Il Tribunale di Cosenza evidenzia, infine, – ed è questo il secondo passaggio cardine della sentenza - come il ribaltamento di prospettiva derivante dalla nuova lettura dell'art. 337-septies c.c. abbia un'inevitabile e radicale ricaduta sul regime probatorio. Infatti, se l'obbligo di mantenimento cessa alla maggiore età, perché la legge presume che il figlio sia in grado di provvedere autonomamente a sé, la presunzione potrà essere superata solo se lo stesso richiedente riuscirà a dimostrare che sussistono le condizioni che, invece, legittimano il perdurare del diritto. Il richiedente avrà quindi l'onere di provare non soltanto la mancanza di indipendenza economica, ma anche l'essersi impegnato con diligenza nella propria formazione scolastica e universitaria (o di esserlo tuttora) e di essersi adoperato con altrettanta serietà per cercare un'occupazione idonea a rendersi autonomo. Ne consegue che non è più il soggetto obbligato (di norma il padre) a dover dimostrare, per essere liberato, che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza finanziaria o che non si sia ancora reso autonomo per cause al medesimo imputabili (colpevole negligenza, inerzia, eccesso di pretese, ecc.). Una tale ripartizione dell'onere della prova è coerente non soltanto con i criteri di cui all'art. 2697 c.c. (onus probandi incumbit ei qui dicit), ma anche con il principio di prossimità o vicinanza della prova, oltre che con il divieto, che discende dall'art.24 Cost., “di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio” (Cass. Civ., 14 gennaio 2016, n. 486, Cass. Civ., 25 luglio 2008, n. 20484). Osservazioni
Il Tribunale di Cosenza riprende, quasi pedissequamente, la struttura argomentativa adottata dalla Suprema Corte nell'estate 2020 (Cass. Civ.,n. 17183/2020), sposandone integralmente l'innovativo indirizzo. Tre sono i passaggi chiave ricavabili dalla lettura del provvedimento, su cui vale la pena di svolgere alcune brevi notazioni: 1.La netta accentuazione del principio di autoresponsabilità, in linea con la tendenza generale di altri settori dell'ordinamento giuridico, come elemento che viene a delimitare il diritto soggettivo secondo ragionevolezza. Si pensi, in particolare, per rimanere nell'ambito del diritto di famiglia, alle decisioni che riducono la portata dell'assegno divorzile (Cass. Civ., 10 maggio 2017, n. 11504, Cass. Civ., 29 agosto 2017, n. 20525, Cass. Civ., 9 agosto 2019, n. 21228; Cass. Civ., 30 agosto 2019, n. 21926) o escludono l'assegno separativo in caso di avvio di una nuova convivenza (Cass. Civ., 19 dicembre 2018, n. 32871), fino alla recentissima e discussa pronuncia (Cass. Civ., 16 ottobre 2020, n. 22604), che di tale principio fa un'applicazione forse aberrante, arrivando ad escludere il riconoscimento dell'assegno di divorzio, anche in assenza della prova di una formale e stabile convivenza. Ma il principio ha trovato larga applicazione in tutti i settori del diritto, dalla sottoscrizione del contratto di investimento finanziario, alla materia dei vizi della cosa venduta, fino alle decisioni sui danni del fumo attivo (sul punto, si veda Cass. Civ., n. 17183/2020) Se, dunque, da ogni parte si afferma il principio in virtù del quale il titolare di un diritto soggettivo debba assumere tale posizione con responsabilità, l'ambito che qui interessa non fa eccezione e porta a una mitigazione dei diritti di cui agli artt. 30 e 34 della Costituzione. Sembra quindi abbandonato il paradigma del “diritto ad ogni possibile diritto”, espressione di una posizione garantistica oltre misura (e con facili derive assistenzialiste), in favore di un sistema dove nulla è dovuto senza limiti e ogni posizione va contemperata e bilanciata con le libertà e i diritti altrui. Del resto, è di tutta evidenza che il principio di autoresponsabilità contribuisce a restituire giustizia sostanziale a situazioni altrimenti caratterizzate da forte iniquità. Si pensi, ad esempio, alla vicenda che ha occupato la Suprema Corte nell'ordinanza Cass. civ. n. 17183/2020: un padre sessantenne, costretto a tornare a vivere con l'anziana madre dopo la chiusura del proprio negozio ferramenta, è costretto a rivolgersi al Tribunale per chiedere la cessazione dell'obbligo di mantenimento nei confronti del figlio, uomo di 33 anni, insegnante precario, ancora parzialmente convivente con la madre. Una vicenda indubbiamente penosa, ove si potrebbe agevolmente rimarcare che a trentatrè anni “una persona normale deve presumersi autosufficiente da ogni punto di vista, anche economico, salvi comprovati deficit, come avviene in tutte le parti del mondo; ma meno in Italia” (così la Corte d'Appello di Firenze, 29 marzo 2018, come richiamata dalla citata Cassazione n. 17183/2020). Tuttavia, vale forse la pena di interrogarsi più a fondo, senza indulgere in facili entusiasmi per le dure prese di posizione della giurisprudenza. Né andrebbero troppo demonizzati i giovani trentenni di oggi, spesso precari più che per colpa, per complesse dinamiche culturali, politiche e socioeconomiche, sulle quali occorrerebbe intervenire. 2.Un radicale ribaltamento di prospettiva nella lettura dell'art. 337-septies c.c. La giurisprudenza prevalente si era finora mossa su un terreno di continuità rispetto agli orientamenti antecedenti all'introduzione dell'art. 155-quinquies c.c. (per tutte, Cass. Civ., 16 febbraio 2001, n.2289; Cass. Civ, 18 gennaio 2005, n. 951), continuando a ritenere che il diritto al mantenimento proseguisse oltre la maggiore età, per un tempo indeterminato (ex multis, Cass. Civ., 23 gennaio 2020, n. 1448, Cass. Civ., 9 ottobre 2020, n. 21752, Cass. Civ., 22 giugno 2016, n. 12952). La sentenza in commento fa proprio l'orientamento della Cass. Civ., n. 17183/2020, che, ribaltando il rapporto regola/eccezione, afferma che il diritto al mantenimento cessa con la maggiore età e che può, eventualmente, risorgere laddove il Giudice, in caso di mancata indipendenza del figlio, valutate le circostanze, lo ritenga comunque sussistente. Si tratta di una lettura della norma più rigorosa che in passato e più aderente al tenore letterale della stessa (“il giudice può, valutate le circostanze, disporre…”). Tuttavia, una tale interpretazione appare rilevante più sul piano teorico - con riguardo al significato simbolico di questa presa di posizione - che su quello pratico. Infatti, al di là della regola astratta, il diritto del figlio neomaggiorenne al mantenimento sarà facilmente dimostrabile, anche tramite il ricorso a presunzioni, specie se si considera la normale condizione, in termini di maturazione e di idoneità al reddito, di un ragazzo diciottenne in Italia. Alla maggiore età, dunque, il diritto può facilmente rivivere, ma, in ossequio al principio di autoresponsabilità, esso perdura per un tempo limitato, cioè per il tempo medio necessario per l'inserimento nel mercato del lavoro. Tale soglia, dalla disamina della giurisprudenza di merito e di legittimità, sembra ancora collocarsi intorno ai 30 - 34 anni di età (tra le tante, Trib. Milano, 29 marzo 2016; Cass. Civ., 17 luglio 2019, n. 19135). 3.L'inversione dell'onere della prova Finora, la giurisprudenza, quasi unanimemente, poneva a carico del genitore obbligato l'onere della prova della causa estintiva del diritto al mantenimento, pur mitigandolo con la possibilità di fare ricorso alle presunzioni (tra le tante, Cass. Civ., 18 gennaio 2005, n. 951), Cass. Civ., 5 marzo 2018, n. 5088, fino alla recentissima Cass. Civ., 15 luglio 2020, n. 21752) Tuttavia, poiché il genitore obbligato è di norma quello non convivente - non sempre pienamente coinvolto nelle decisioni relative al percorso educativo e formativo dei figli e talvolta addirittura all'oscuro di scelte importanti (Cfr., per un esempio, Cass. Civ.,22 giugno 2016, n. 12952) - spesso il compito probatorio si trasformava in una vera e propria probatio diabolica. Tali criticità erano state accolte da taluna giurisprudenza minoritaria, che aveva affermato che, superata una certa età non più giovanile, si verificherebbe una sorta di inversione dell'onere della prova, sulla base di una presunzione della cessazione dell'obbligo di mantenimento (Trib. Bari, 30 ottobre 2006, n. 2681 si veda, in particolare, Cass. Civ., 20 agosto 2014, n. 18076, con riferimento al mantenimento di figli ultraquarantenni) La decisione in commento supera e radicalizza tale posizione, liberando il genitore obbligato. La prova a carico del figlio richiedente l'assegno (o del genitore convivente) sarà naturalmente più lieve a ridosso della maggiore età - quando è pressoché scontato che si stiano concludendo gli studi superiori o che si sia appena avviata una formazione universitaria o professionale – mentre sarà man mano più gravosa con il passare degli anni, quando diventa altrettanto presumibile il raggiungimento di un'indipendenza economica (Cass. Civ., 14 agosto 2020, n. 17183). Si attende dunque di vedere se questo cambiamento di rotta troverà seguito nella giurisprudenza di merito e se, anche in seno alla Suprema Corte (posto che l'ordinanza n. 17183/2020 è stata pronunciata da una singola Sezione), verrà accolta la nuova linea interpretativa o se vi saranno dei contrasti che richiederanno l'intervento delle SSUU. Angelozzi, D., Sull'estinzione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Famiglia e diritto, 1/2006, pagg.37 e ss. Danovi, F., Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza alla prova: si inverte l'onus probandi?, in Famiglia e diritto, 11/2020, pagg. 1022 e ss. De Strobel, G., Figli maggiorenni, Il Familiarista, Giuffrè Commentario al Codice Civile, Pluris, Wolters Kluwer Finelli, W., Obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne e legittimazione ad agire, in Famiglia e diritto, 3/2001, pagg. 276 e ss. Liuzzi, A., Mantenimento dei figli maggiorenni, onere probatorio e limiti temporali, in Famiglia e diritto, 2/2005, pagg.139 e ss. Parini, G.A., I mobili “confini” del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti, Famiglia e diritto, 3/2017 Schirinzi, M.L., Mantenimento del figlio maggiorenne: dal “diritto ad ogni possibile diritto” al principio di autoresponsabilità, Il Familiarista. |