La transazione fiscale e contributiva in mancanza di adesione da parte dell'Agenzia delle entrate e degli istituti previdenziali

05 Gennaio 2021

La legge 159/2020 di conversione del d.l. 125/2020 ha introdotto integrazioni e modifiche agli artt. 180, 182-bis e 182-ter L.F.. Nella fattispecie, ha anticipato l'entrata in vigore della transazione fiscale e contributiva così come riformata nel CCII.
Abstract

La legge 159/2020 di conversione del d.l. 125/2020 ha introdotto integrazioni e modifiche agli artt. 180, 182-bis e 182-ter L.F.. Nella fattispecie, ha anticipato l'entrata in vigore della transazione fiscale e contributiva così come riformata nel CCII, per cui il tribunale può omologare il concordato o gli ADR qualora, da un lato, la mancata adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie determini il mancato raggiungimento delle relative percentuali minime, e dall'altro, anche sulla base delle risultanze della relazione attestata del professionista designato dal debitore, la proposta di soddisfacimento dei predetti Enti sia conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria.

L'Autore analizza la questione rispetto alla “mancata adesione”, nonché all'alternativa liquidatoria in rapporto al miglior soddisfacimento dei creditori nel concordato preventivo e negli ADR.

Il quadro normativo

La transazione fiscale e contributiva è una procedura transattiva che coinvolge il contribuente e l'Agenzia delle Entrate e/o gli Enti previdenziali. E' una procedura che si accompagna al concordato preventivo o alla ristrutturazione dei debiti e mira ad ottenere un'agevolazione nel pagamento degli oneri fiscali dell'impresa in crisi.

Sin dal suo esordio (con la riforma fallimentare del 9 gennaio 2006), la norma regolatrice è stata oggetto di numerosi interventi correttivi e integrativi.

Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza ha voluto rendere più efficienti le procedure di trattamento dei crediti fiscali e contributivi e “trascendere” le ingiustificate resistenze dell'Amministrazione Finanziaria e degli previdenziali alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi, rispetto al rigetto – quasi mai comprensibile - della proposta presentata. A tal proposito, con la riforma, l'Amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali vengono chiamati a un doppio compito ovvero a una collaborazione proattiva nella fase di analisi (attraverso le segnalazioni d'allerta in qualità di creditori pubblici qualificati) e alla valutazione delle domande di trattamento dei crediti contributivi e fiscali.

Ciò perché, a parere di chi scrive, il nuovo assetto normativo viene improntato sulla discontinuità rispetto alla pregressa disciplina a cominciare dall'inquadramento sistematico dell'istituto.

La disciplina di riferimento resta quella del concordato preventivo e ne discende la sua applicabilità anche rispetto agli accordi di ristrutturazione, in relazione alle sue procedure di attuazione.

Negli accordi di ristrutturazione disciplinati nell'attuale art. 182-ter L.F., la transazione fiscale - a differenza di quanto avviene nel concordato preventivo - non è idonea a produrre effetti (sul trattamento dei crediti) senza l'assenso dell'ente impositore, il cui peso può essere determinante ai fini del raggiungimento della percentuale richiesta (attuale soglia “legale” del 60% dei crediti) per l'omologazione dell'accordo stesso.

Sotto questo profilo, il CCII ha profondamente innovato introducendo una sorta di “cram down” nei confronti del Fisco e degli Enti previdenziali, con riferimento all'art. 48, comma 5 CCII, così come di seguito meglio specificato.

Tale modifica – come evidenziato nella Relazione illustrativa – è finalizzata a superare le ingiustificate resistenze da parte del Fisco e degli Enti previdenziali alle ristrutturazioni negoziali dei debiti che si palesino effettivamente convenienti (per l'erario e per tutti i creditori coinvolti nella ristrutturazione negoziale).

Un primo evidente intervento è consistito nell'articolare la norma della transazione fiscale in due parti, una riferita al concordato e un'altra riferita all'accordo di ristrutturazione, con relativa assegnazione di due sezioni, due appendici e nuovi articoli del codice della crisi e dell'insolvenza, così numerati e rubricati:

art. 63 - Transazione fiscale e accordi sui crediti contributivi;

art. 48 (comma 5) - Omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione per la parte riferita agli accordi di ristrutturazione (a propria volta ora regolati dagli artt. da 57 a 64), in cui ha un ruolo principale l'attestazione di convenienza - non più riferita alle alternative concretamente praticabili, ma, come nel concordato, anch'essa alla liquidazione giudiziale; - estesa anche ai crediti contributivi (mentre prima era richiesta solo per i crediti tributari);

art. 85 - Presupposti per l'accesso alla procedura, con l'obbligo di classamento del credito degradato;

art. 88 - Trattamento dei crediti tributari e contributivi, con l'onere, posto a carico dell'attestatore, di operare una valutazione di convenienza in favore dell'Erario rispetto all'esito di un'eventuale liquidazione giudiziale; per la parte riferita al concordato preventivo (ora regolato dagli artt. da 84 a 120).

Pertanto dette norme, se da una parte lasciano inalterati nella sostanza i contenuti e l'iter procedimentale esistente, dall'altra introducono specifiche modifiche nell'ambito delle due diverse procedure.

Art. 48, comma 5 CCII: Omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione

Il quinto comma così recita: “Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 57, comma 1, 60 comma 1 e 109 comma 1 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”.

L'omologa può avvenire anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria alla proposta di transazione fiscale connessa all'accordo stesso, allorquando:

(i) tale adesione, come spesso accade, è decisiva al fine del raggiungimento delle percentuali stabilite per l'omologa dell'accordo stesso;

(ii) il soddisfacimento dei crediti fiscali è, anche sulla base delle risultanze dell'attestazione, conveniente rispetto a quella derivante dall'alternativa liquidatoria.

Il potere del tribunale di “imporre” all'Erario la riduzione del suo credito (una specie di cram down) nel caso di sua mancata adesione (si ritiene sottoforma di mancata manifestazione ovvero di manifestazione contraria) quando questa risulti decisiva e in presenza di valutazione positiva da parte dell'attestatore della convenienza del soddisfacimento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale, rappresenta la modifica più rivoluzionaria della norma.

Allo scopo di favorire siffatto cambiamento di paradigma presente nell'art. 48 comma 5, l'art. 63 del CCII opportunamente introduce il termine di 60 giorni (esteso fino a 90 dal decreto correttivo) dalla formulazione della domanda entro cui l'amministrazione finanziaria deve esprimere la propria adesione alla proposta di transazione. Trascorso inutilmente detto termine, senza che l'amministrazione finanziaria abbia dato adesione (o in caso abbia rigettato la proposta), l'accordo di ristrutturazione è omologabile, ove ricorrano i presupposti anzidetti.

Dunque, il presupposto dell'omologa dell'accordo di ristrutturazione, nonostante la mancata adesione dell'amministrazione finanziaria, è la convenienza della transazione fiscale rispetto all'alternativa liquidatoria. Detta convenienza –ribadita anche nella l. 159/2020 che modifica il comma 5 dell'art. 182 ter LF e aggiunge il quarto comma all'art. 182 bis- - deve essere espressa nell'attestazione del professionista indipendente il quale, può asseverare che i crediti di natura chirografaria stralciabili siano anche quelli degradati per incapienza relativamente ai crediti tributari o contributivi e relativi accessori, laddove sussista la convenienza del trattamento proposto dal debitore rispetto alla liquidazione fallimentare. La degradazione (prevista per effetto della l. 159/2020 all'interno del comma 1 dell'art. 182 ter LF), ovviamente, deve essere dimostrata applicando i criteri dell'art. 160, comma 2, lf, poiché i beni su cui possono essere fatti valere i privilegi dell'erario e degli enti previdenziali o assistenziali non sono sufficienti al pagamento integrale quando venduti nel contesto fallimentare.

Ciò al fine di garantire l'omologa anche quando l'amministrazione finanziaria non si avvede di tale convenienza o semplicemente intende evitare assunzioni di responsabilità in tal senso.

Sulla “mancanza di adesione”

A tal proposito, è importante comprendere cosa si intendi con l'espressione “mancanza di adesione”. Vale la pena qui ribadirne il significato di accettazione, accoglimento e consenso dato a qualche cosa anche mediante una partecipazione attiva. E se questo viene collegato al significato di “mancanza”, che indica privazione, assenza, a questo punto appare lapalissiano come l'associazione tra i due termini (“mancanza” e “adesione”) riveli il dissenso o diniego alla proposta avanzata. Pertanto a parere di chi scrive non è condivisibile la tesi – sostenuta da alcuni – secondo cui la mancanza di adesione coincida con la sola possibilità da parte della P.A. – o per meglio dire di alcuni organi di essa, Agenzia delle Entrate, Inps e Riscossione - di astensione dal voto. Perché se si volesse aderire a quest'ultima impostazione, verrebbe svuotata la portata di questa norma (perdendo così un'occasione che il Legislatore si è dato): invece qui si vuole superare un atteggiamento reiterato di ritrosia da parte di PA, assegnando il compito del sindacato di convenienza al Tribunale. A fortiori, detta norma va letta in correlazione con l'art. 97 Cost., secondo cui l'attività della PA deve assicurare il principio del buon andamento che si articola in quelli di efficacia (capacità di raggiungere gli obbiettivi), efficienza (miglior rapporto tra risorse e risultati) ed economicità (miglior rapporto tra il costo di risorse e mezzi e gli obiettivi). Il tutto ai fini del miglior risultato possibile per la collettività. E visto che spesso non viene perseguito (anche in nome di una mancata assunzione di responsabilità), il Legislatore ha voluto “riperimetrare” il sindacato di convenienza, di fatto delegandolo al Tribunale.

Quindi la nuova disciplina ha eliminato, per la P.A., la negoziabilità della domanda del debitore, facendole esprimere il consenso o diniego rispetto alla proposta - pur tutelando gli interessi pubblicistici – e introducendo all'uopo veri e propri requisiti di ammissibilità della proposta, nonché incrementando il potere del giudice di sindacarne la convenienza in sede di omologa al verificarsi di determinate condizioni.

L'Art. 182-ter L.F. fino a prima dell'entrata in vigore della l. 159/2020, invece, richiedeva (ai fini dell'adesione alla proposta) la sottoscrizione da parte del direttore dell'ufficio, nonché dell'agente della riscossione in ordine al trattamento dei relativi oneri.

La natura privatistica degli accordi risulta confermata dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza anche per il fatto che il Legislatore ha continuato ad utilizzare la parola “Transazione” in riferimento all'accordo di ristrutturazione.

Il Legislatore non richiede la distinzione tra i tributi iscritti a ruolo e affidati o meno all'agente della riscossione per l'espressione del voto nel concordato preventivo, così come per la presentazione di una domanda di trattamento dei crediti tributari all'interno di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

In conclusione

L'entrata in vigore dal 4 dicembre della l. 159/2020 produce evidentemente un effetto più vantaggioso per tutte le imprese in difficoltà ed è applicabile anche per i procedimenti in corso a detta data. Ad ulteriore sostegno di questa soluzione si richiama quanto affermato dall'ultimo arresto della Corte di Cassazione (Cass. 13165/2016) nella parte in cui statuisce che gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperio sono posti in essere in virtù del principio “tempus regit actum”.

Merita segnalare come sia stato preteso ex lege che l'erario, nei tempi particolarmente compressi che caratterizzano la fase pre-omologativa (60 giorni), perfezioni compiutamente analisi ampie e articolate quali quelle finalizzate a individuare fenomeni evasivi, elusivi o erosivi, introducendo in tal modo una disposizione regolamentare con finalità acceleratorie.

E infatti sembra ideologicamente orientato proprio in questa direzione uno degli interventi più incisivi della riforma quando, nell'ambito dell'accordo di ristrutturazione e nell'ipotesi di mancata adesione da parte dell'Erario alla proposta entro sessanta giorni dal deposito della domanda, il tribunale può omologare la proposta stessa quando questa appare conveniente per l'Erario rispetto all'alternativa liquidatoria.

“Potere coercitivo” che, se riferito al creditore ordinario dissenziente - come previsto sia dal quarto comma del vecchio art. 180 l.fall. che dal primo comma del nuovo art. 112 CCII - può certamente rappresentare una modalità volta a inibire decisioni poste in essere dall'amministrazione finanziaria – la quale spesso ha espresso ed esprime un diniego al fine di non essere passibile di responsabilità dinanzi alla Corte dei Conti – e che manifesta in tal modo la volontà del Legislatore di supplire alle inefficienze o alle indecisioni di quest'ultima trasferendone la competenza decisionale agli organi giurisdizionali.

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