La responsabilità medica nella medicina d'urgenza

07 Gennaio 2021

Il tema della responsabilità medica sta diventando sempre più attuale soprattutto a causa della diffusione del nuovo Coronavirus. L'inadeguatezza della legge Gelli-Bianco, si è resa ancora più palese in uno stato di emergenza epidemiologica come è quella che purtroppo da svariati mesi stiamo assistendo. La non punibilità del medico prevista dall'art. 590 sexies c.p., non può trovare applicazione nell'attuale situazione di emergenza sanitaria.
La rete di emergenza ed il modello HUB and SPOKE

Prima di addentrarci nello studio della responsabilità medica nella medicina d'urgenza è bene delineare, seppure sommariamente, il sistema sanitario emergenziale nel nostro Paese.

All'interno della rete ospedaliera dell'emergenza, vi è il Pronto Soccorso Ospedaliero, al quale si collegano varie strutture di diversa complessità assistenziale ed organizzativa, le quali sono poste in correlazione funzionale integrata, seguendo il Modello HUB and SPOKE.

In attuazione di quanto previsto dal Decreto del Ministro della Salute del 02.04.2015, n. 70, vi sono diverse tipologie di strutture deputate a rispondere a diverse necessità d'urgenza e che si suddividono in quattro livelli di operatività. La prima struttura organizzativa risponde alle esigenze emergenziali del paziente al fine di ottenere, laddove possibile, una stabilizzazione clinica, in attuazione di procedure diagnostiche, trattamenti terapeutici e ricoveri tenuto conto delle varie patologie riscontrate. La struttura ospedaliera che svolge funzioni di accettazione in emergenza – urgenza, ha sede di DEA di I livello ed assolve a funzioni di SPOKE. Al contrario, la struttura ospedaliera sede di DEA di II livello è punto di riferimento per le c.d. patologie complesse o ad elevata complessità. Con il termine D.E.A. s'intende il Dipartimento di Emergenza/Urgenza ed Accettazione che ciascuna Regione identifica, organizza e distribuisce nel proprio territorio. Come definito dalla Regione Lazio, il Dipartimento di Emergenza ed Accettazione, c.d. D.E.A., è il Modello organizzativo multidisciplinare volto ad integrare dal punto di vista funzionale le varie unità operative ed i servizi sanitari indispensabili per sopperire ad eventuali esigenze diagnostico – terapeutiche del paziente, il quale si trovi in situazioni di emergenza od urgenza sanitaria.

Il D.E.A. può essere definito come un collegamento funzionale tra i vari presidi territoriali, i servizi e le divisioni dell'ospedale competente territorialmente, coinvolti nelle varie situazioni emergenziali.

Dopo esserci occupati della rete di organizzazione ed assistenza ospedaliera prevista nel nostro Paese per fronteggiare situazioni di tipo emergenziale ed urgente, possiamo passare ad analizzare nel prossimo paragrafo i tratti peculiari, caratteristici e differenziali tra le situazioni di emergenza da un lato e di urgenza dall'altro.

Emergenza ed urgenza nella responsabilità medica

Preliminarmente, è opportuno specificare che cosa s'intende nell'ambito della scienza medica con i termini emergenza ed urgenza. Lo stato di “urgenza” consiste in una situazione ove esiste un margine, seppure esiguo, di differibilità dell'intervento; al contrario, nel momento in cui si presenta una situazione di tipo emergenziale, ci si trova di fronte ad una situazione clinica di allarme ove una o più persone risultano essere in uno stato di pericolo immediato richiedendo, quindi, un'azione terapeutica mirata ed immediata per scongiurare un esito letale o lesioni gravissime. Nell'ambito della medicina d'urgenza, la giurisprudenza si è sempre espressa affermando che l'imperizia grave debba essere considerata quale parametro di valutazione della responsabilità del medico. In un primo tempo, si riteneva che la situazione di pericolo attuale od immediato in cui si veniva a trovare il paziente, rappresentava per il medico stesso una scriminante giuridica. Attualmente ed a seguito del riconoscimento di una posizione di garanzia da parte del medico nei confronti del paziente, unitamente all'applicazione dell'art. 40 c.p., si è espressamente riconosciuta una responsabilità in capo al medico in relazione all'evento pregiudizievole subito dal paziente, in termini di pregiudizio all'integrità psicofisica di quest'ultimo. Molteplici sono state le discussioni sia dottrinali che giurisprudenziali in riferimento all'applicazione dello stato di necessità, il quale esula da una situazione di normalità (ex art. 2045 c.c.ex art. 54 c.p.). Tanto è vero che lo stato di necessità è considerato come una causa di esclusione dell'antigiuridicità della condotta sanitaria, poiché l'agente viene a trovarsi di fronte alla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Tale situazione, come vedremo nel prossimo paragrafo, giustifica l'intervento del sanitario a prescindere dall'acquisizione del c.d. consenso informato, salvo prova contraria.

E' chiaro, quindi, che l'esercente la professione sanitaria per non incorrere in alcun tipo di responsabilità, nel caso in cui si ravvisino i presupposti per intervenire in una situazione di necessità ed urgenza, dovrà eseguire la prestazione sanitaria che il caso di specie richiede. Ciò consentirà al medico di prevenire eventuali danni al paziente che sarebbero potuti derivare da un intervento eseguito tardivamente, il quale avrebbe potuto determinare, non solo un'errata diagnosi, ma anche un'eventuale aggravamento delle condizioni cliniche del paziente.

L'operatore sanitario, nel rispetto delle c.d. leges artis, dovrà valutare la necessità di eseguire esami diagnostici ed interventi e verificare se si tratta di attività sanitarie indifferibili, tenuto conto delle condizioni di salute del paziente. La situazione emergenziale che si viene a creare, rimuove il limite del consenso informato, ripristinando il dovere istituzionale dell'intervento sanitario ai fini della salvaguardia della salute del paziente.

Lo stato di necessità riscontrabile in alcune situazioni emergenziali rende lecito l'intervento del sanitario ed impone a quest'ultimo di agire secondo scienza e coscienza al fine di preservare la salute del paziente. Naturalmente, il medico che di fronte ad uno stato di emergenza decide di attivarsi, scongiurando così, qualsiasi rischio per il paziente e nel rispetto delle c.d. leges artis, attua, così facendo, un principio espresso dal Codice di Deontologia Medica, previsto dall'art. 36, il quale obbliga l'operatore sanitario ad agire nonostante lo stato d'incoscienza in cui si viene a trovare il paziente, al fine di garantire a quest'ultimo un'adeguata assistenza sanitaria anche in condizioni d'indifferibilità ed urgenza.

A tale proposito, la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di sottolineare che non esiste alcun tipo di responsabilità in capo all'operatore sanitario qualora costui esegua, ragionevolmente, un intervento operatorio in presenza di uno stato di necessità presunto od effettivo, anche se il medico, senza colpa, abbia agito in base al proprio ragionevole convincimento, anche se poi tale azione sia stata ritenuta fallace ed abbia causato un danno grave alla salute del paziente.

E' bene sottolineare, altresì, che qualora l'esercente la professione sanitaria modifichi in itinere l'intervento e cioè sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello per il quale aveva ricevuto il consenso, ma dettato dalle necessità rilevatesi nel corso dell'intervento stesso purché nel rispetto dei protocolli o delle c.d. leges artis, nel caso in cui si sia concluso con esito favorevole per il paziente, in termini di miglioramento delle proprie condizioni di salute, tale condotta non assumerà rilevanza dal punto di vista penalistico, purché non vi siano indicazioni contrarie da parte del paziente stesso (Cass. Pen., Sez. IV, 18 aprile 2018, n.31628).

Il medico di emergenza ed il medico del consulto: la ripartizione della posizione di garanzia

È principio oramai consolidato nel nostro Ordinamento Giuridico che il medico assuma una posizione di garanzia nei confronti del paziente, dalla quale scaturiscono obblighi e responsabilità per l'esercente la professione sanitaria. La legge impone al medico di tenere una condotta volta alla salvaguardia della salute del paziente mettendo in pratica tutte le sue conoscenze e capacità nella materia di competenza specifica. La posizione di garanzia che il medico assume nei confronti del paziente al fine di preservarne lo stato di salute psicofisico, acquista un'importanza determinante nell'ambito della medicina di emergenza, il cui scopo principale è la gestione e stabilizzazione di pazienti, i quali si trovino in condizioni di estrema urgenza e che necessitano dell'intervento di uno specialista sanitario. Da qui la necessità che il medico, in base alle condizioni cliniche del paziente, dovrà orientare la sua scelta in relazione all'eventuale ricovero del paziente, nonché del reparto specialistico cui indirizzarlo. Il collegamento che va, inevitabilmente, ad instaurarsi tra il medico di emergenza e il medico consulente specialistico, rende alquanto incerta la ripartizione delle rispettive responsabilità. Il nodo problematico da sciogliere riguarda, in particolare modo, l'esistenza di una corresponsabilità solidale tra il medico del Pronto Soccorso e il medico del consulto. Qualora fosse accreditata tale ultima ipotesi è sottintesa la coesistenza di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, il quale in base alle sue condizioni cliniche, passa dal reparto di Pronto Soccorso al reparto di tipo specialistico. Sul punto non si ha ancora un orientamento univoco anche se le esigenze organizzative, tecniche ed amministrative devono propendere per la migliore gestione del c.d. rischio clinico.

In ogni caso, si può chiaramente affermare che la responsabilità del medico del consulto dipenderà dal ruolo assunto nella vicenda che ha interessato il paziente e, quindi, se in tale contesto emergenziale abbia assunto poteri direzionali ed allo stesso tempo gestori nell'esecuzione del trattamento diagnostico e terapeutico, generando in capo allo stesso una posizione di garanzia che va ad aggiungersi a quella del medico del Pronto Soccorso.

L'importanza della tempestività dell'intervento sanitario ed il reato di rifiuto d'atti d'ufficio

La scienza medica, nel corso degli anni, non ha mancato di sottolineare che una diagnosi non tempestiva può incidere in modo considerevole nella prognosi della malattia, facendo sorgere una responsabilità penale a carico del sanitario quando l'omissione realizzata da quest'ultimo contribuisca alla progressione della malattia stessa.

Infatti, il tempestivo intervento del medico, spesse volte può stabilizzare, se non rallentare significativamente il decorso della malattia, consentendo così al paziente stesso di sottoporsi ad interventi chirurgici idonei a salvare la sua esistenza in vita.

Nella predetta circostanza trova applicazione il c.d. principio di controfattualità secondo cui, in applicazione di una regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, qualora il medico avesse tenuto una condotta doverosa prevista dalla legge, l'evento dannoso per il paziente non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato, ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

È chiaro, quindi, che il giudice in base alle circostanze fattuali ed all'esito del ragionamento probatorio proteso ad escludere l'interferenza di fattori alternativi, può, con elevato grado di credibilità razionale e probabilità logica, affermare in modo processualmente certo che la condotta omissiva del sanitario è stata condizione necessaria dell'evento lesivo. (Cass. pen., SS.UU., 10 luglio 2002n. 30328; Cass. Pen., Sez. IV, 15 marzo 2019n. 24922).

In aggiunta alle precedenti considerazioni, è indispensabile richiamare una fattispecie criminosa cui sovente può incorrere il professionista sanitario nell'esercizio della sua attività professionale.

Come abbiamo potuto notare l'operatore sanitario può commettere reati omissivi nel momento in cui non solo non presta le necessarie cure al paziente in termini di accertamento diagnostico e predisposizione di un congruo trattamento terapeutico, ma anche nel caso in cui non si attivi tempestivamente tenuto conto dello stato di salute del paziente.

Con numerose pronunce giurisprudenziali, si è più volte affermato che il personale medico e paramedico può considerarsi responsabile del reato di rifiuto di atti d'ufficio, nel caso in cui non assuma i necessari provvedimenti atti ad evitare dei pregiudizi allo stato psico-fisico del paziente, come possono essere gli atti compiuti in violazione degli obblighi dei medici di informazione del paziente in relazione alle proprie condizioni sanitarie se da ciò possa derivare un danno per il paziente stesso. Il “rifiuto” di cui parla la norma penale deve essere “indebito” e quindi antidoveroso e soprattutto deve trattarsi di un atto urgente ed indifferibile, da compiersi senza ritardo.

L'operatore sanitario è titolare di un obbligo giuridico di impedire un evento dannoso per il paziente; di conseguenza, la sua responsabilità sarà configurabile laddove l'azione doverosa che è stata omessa avrebbe impedito l'evento dannoso oppure avrebbe potuto ridurre l'entità della lesione del bene protetto.

Sul punto, la Corte di Cassazione, Civile, Sez. III, 15 aprile 2019n. 10424, ha stabilito che: “il ritardo diagnostico determina la perdita diretta di un bene reale, certo ed effettivo, che va apprezzato con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologia ad esito certamente infausto”. I Giudici con un'ulteriore sentenza, Cass. civ. n. 5641/2018 hanno, altresì, evidenziato che non solo la condotta colpevole del sanitario pregiudica lo stato psicofisico del paziente, ma va ad incidere infaustamente e, quindi, a danneggiare la stessa qualità di vita del malato.

La responsabilità medica nell'ambito dell'emergenza epidemiologica

Il tema della responsabilità medica sta diventando sempre più attuale soprattutto a causa della diffusione del nuovo Coronavirus. L'inadeguatezza della legge Gelli-Bianco, si è resa ancora più palese in uno stato di emergenza epidemiologica come è quella che purtroppo da svariati mesi stiamo assistendo. La non punibilità del medico prevista dall'art. 590 sexies c.p., non può trovare applicazione nell'attuale situazione di emergenza sanitaria.

Infatti, il medico, secondo quanto disposto dal predetto testo legislativo, non si considererebbe punibile solo nell'ipotesi di colpa lieve e nei soli casi in cui si ravvisi la c.d. imperizia; ciò sta a significare che qualora il comportamento del sanitario sia da ritenersi negligente od imprudente, il medico sarebbe responsabile in ogni caso e cioè sia qualora ricorra l'ipotesi di colpa lieve e sia nel caso in cui sussista la c.d. colpa grave.

Inoltre, l'art 590 sexies c.p. prevede la causa di non punibilità solo per i reati di lesioni gravissime o di omicidio, ma non per epidemia colposa; ciò potrebbe considerarsi quale vuoto normativo che giustificherebbe un intervento tempestivo e mirato da parte del legislatore.

In ogni caso, è bene sottolineare che anche nei casi d'urgenza dettati dalla pandemica diffusione di un agente infettivo subdolo ed ancora sconosciuto come il COVID – 19, gli elementi costitutivi che giustificheranno l'esistenza di una responsabilità medica saranno sempre la colpa, il danno alla salute del paziente ed il nesso di causalità.

È chiaro, quindi, che prima di ritenere esistente una responsabilità professionale sanitaria sarà indispensabile contestualizzare, in modo sistematico, l'ambito in cui il professionista sanitario si è visto costretto ad operare. Al riguardo, possiamo elencare, seppure non esaustivamente, i vari elementi che hanno caratterizzato l'agire del medico e cioè la novità del virus e della sintomatologia che da esso scaturisce; l'assenza di protocolli o buone pratiche clinico – assistenziali; l'assenza di personale sanitario e la scarsità delle risorse necessarie ad affrontare l'emergenza sanitaria e da ultimo, ma non meno importante, la grande quantità di pazienti che, in uno stesso contesto spaziale e temporale, hanno fatto accesso alle varie strutture sanitarie nazionali.

Molteplici sono state le soluzioni prospettate sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza al fine di disciplinare delle situazioni ove l'operatore sanitario si trovi in condizioni di estrema urgenza causata dalla diffusione del COVID – 19. Al riguardo, alcuni studiosi, hanno ritenuto applicabile l'art.2236 c.c., il quale afferma che: “se la prestazione implica la soluzioni di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”.

È bene precisare che tale soluzione normativa cerca di fronteggiare un'eccessiva ed ingiustificata esposizione giudiziaria di tutto il personale medico e paramedico conseguenziale alla diffusione epidemiologica da Covid – 19. Tali considerazioni, trovano giustificazione non solo nella novità della patologia stessa, ma anche nella limitatezza delle conoscenze scientifiche.

Infatti, l'assenza di farmaci testati contro il virus e delle linee guida terapeutiche condivise dalla comunità scientifica, fanno propendere per la possibilità di ritenere piuttosto improbabile che al personale sanitario possa essere rimproverato di non essersi attenuto alle raccomandazioni previste dalle linee guida accreditate dalle istituzioni. Ciò giustifica la stessa “inesigibilità” della prestazione medica, a fronte della totale assenza dei dati scientifici epidemiologici e delle stesse buone pratiche clinico – assistenziali cui avrebbe dovuto conformarsi il medico in adempimento dei propri doveri professionali (M. Faccioli, “L'art. 2236 c.c. e l'onere della prova” in “La responsabilità dei servizi sanitari” diretto da M. Franzoni, Bologna, anno: 2011, p. 61; E. Del Prato, “Il post Covid – 19 e la responsabilità dei medici”, in Formiche.net.).

La norma in commento ha la finalità di arginare, laddove possibile, la responsabilità del medico limitandola ai soli interventi di speciale difficoltà accompagnati dalla ricorrenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa grave. È chiaro, quindi, che gli interventi sanitari considerati dalla scienza medica particolarmente difficili, sono stati ricondotti dalla giurisprudenza, ai casi clinici caratterizzati da straordinarietà, imprevedibilità ed eccezionalità.

Pertanto, di fronte ad un'emergenza epidemiologica, come l'attuale diffusione di un agente virale, sarà necessario valutare se fosse esigibile dall'operatore sanitario un comportamento diverso da quello in concreto adottato, in termini organizzativi, di disponibilità delle risorse strumentali, d'impegno e dedizione professionale.

Sulla base delle precedenti argomentazioni, diventa inverosimile riconoscere una responsabilità colposa a carico del medico e degli operatori sanitari in generale, in considerazione dell'eccezionale straordinarietà dell'evento pandemico che si sono trovati a fronteggiare.

In aggiunta alle precedenti considerazioni, va evidenziato il caso in cui la pandemia integri la c.d. forza maggiore, la quale esclude il fatto illecito del medico.

Il contesto caratterizzato da emergenza sanitaria causato da COVID – 19, giustifica il ricorso, da parte dei medici, a terapie sperimentali, oppure alla somministrazione di farmaci registrati per un diverso impiego, i quali possono considerarsi idonei a provocare un danno biologico al paziente.

A tale proposito, l'attività dell'esercente la professione sanitaria viene qualificata come “pericolosa”, in ragione dei mezzi impiegati e, quindi, della terapia scelta. Tale circostanza, giustifica l'applicazione dell'art. 2050 c.c. e, quindi, lo stato di colpevolezza del danneggiante si presume, salvo che costui riesca a provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Sia la somministrazione di un farmaco “fuori etichetta” e sia il ricorso ad una terapia sperimentale, richiederanno, da parte del paziente, la dimostrazione del verificarsi del pregiudizio al suo stato psicofisico e, quindi, l'esistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta dal sanitario ed il danno alla salute; mentre il medico, al contrario, al fine di andare esente da responsabilità dovrà dimostrare che l'impiego del farmaco de quo, stante l'attuale contesto emergenziale causato dalla diffusione di COVID – 19, era giustificato da varie ragioni tra le quali possiamo citare: 1. l'assenza di protocolli terapeutici per trattare il nuovo Coronavirus; 2. l'accreditamento ad opera di studi scientifici dell'impiego del farmaco “fuori etichetta”; 3. la sorveglianza circa l'impiego del farmaco ed il verificarsi di eventuali effetti collaterali, ancora sconosciuti alla scienza medica.

Situazione emergenziale, consenso informato e responsabilità della struttura sanitaria

Come abbiamo potuto notare, la situazione emergenziale sorta a seguito della diffusione da COVID – 19, giustifica, altresì, lo stesso intervento sanitario a prescindere dall'acquisizione del c.d. consenso informato. Infatti, è principio oramai consolidato che il diritto alla salute ed all'autodeterminazione, quali diritti costituzionalmente garantiti (ex artt. 2, 13 e 32 Cost.), incontrano dei limiti in situazioni eccezionali e cioè da un lato l'urgenza dell'intervento sanitario, la quale non rende possibile acquisire anticipatamente il consenso informato, dall'altro il pubblico interesse previsto da una specifica disposizione di legge (ex art. 32, comma2, Cost.). Tali considerazioni legittimano il sanitario che venga a trovarsi in una situazione di tipo emergenziale, a procedere con gli opportuni ed indispensabili interventi a prescindere dal rilascio del consenso informato, in quanto giustificato dall'indifferibilità dello stesso trattamento sanitario.

Inoltre, si può dire che in aggiunta ad un'eventuale responsabilità del personale medico e paramedico, assume importanza anche la responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria. Si pensi all'ipotesi in cui anche in una situazione di emergenza causata dalla diffusione del virus COVID – 19, si verifichi un decesso oppure l'aggravamento di una patologia preesistente, provocato da un ricovero tardivo in terapia intensiva, in tale circostanza la struttura ospedaliera sarà da ritenersi responsabile per inadempimento contrattuale.

La stessa giurisprudenza non ha mancato di evidenziare l'esistenza di una responsabilità autonoma della struttura sanitaria non riferibile ad una condotta colposa del medico, ma, al contrario, ad una carenza organizzativa della struttura stessa.

Infatti, l'Azienda Ospedaliera, a seguito della stipula del c.d. “contratto di assistenza sanitaria”, dovrà garantire al paziente una serie di servizi e di strumenti, oltre ad un personale medico e paramedico competente, preparato e soprattutto in quantità sufficiente a soddisfare tutte le necessità che inevitabilmente sorgeranno durante la degenza ospedaliera, anche nelle situazioni d'urgenza.

Pertanto, il danno da disorganizzazione della struttura sanitaria può derivare non solo da una carenza od una mancata sicurezza della strumentazione, ma anche dall'assenza di personale sanitario. E' chiaro, quindi, che la morte di un paziente causata dall'assenza dei posti letto in terapia intensiva oppure determinata da cure inadeguate per la carenza di personale sanitario, fa sorgere una responsabilità in capo alla struttura sanitaria.

Al riguardo, si può con sicurezza affermare che anche il contagio da COVID – 19 in ambito nosocomiale derivante dalla mancata adozione delle precauzioni indispensabili ed idonee a scongiurare il rischio del contagio, può giustificare l'esistenza di una responsabilità a carico della struttura sanitaria stessa a titolo di responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.). In tale circostanza, il paziente danneggiato dovrà dimostrare l'esistenza del contratto c.d. di spedalità, il danno alla salute ed il nesso di causalità; mentre la struttura sanitaria dovrà dare prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente nel rispetto degli standard richiesti ovvero che “l'inadempimento od il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa” sé “non imputabile”.

È chiaro che la prova liberatoria, la quale incombe sulla struttura sanitaria è alquanto gravosa, poiché avrà l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele possibili ed idonee per l'esatto adempimento della propria prestazione sanitaria.

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