Sì al ricongiungimento con l'affidatario, anche in caso di kafalah negoziale se, in concreto, non è contrario all'interesse del minore

07 Gennaio 2021

La Cassazione con la sentenza in commento, pur decidendo in continuità con l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2013 in tema di kafalah, con particolare riferimento a quella c.d. negoziale, si sofferma su due ulteriori questioni: l'interpretazione dell'art. 29 T.U. 268/89 data dalle Sezioni Unite, può estendersi fino a ricomprende anche i ricongiungimenti familiari che si fondano sulla kafalah negoziale? e secondo quali criteri il giudice italiano può esprimere un giudizio di non contrarietà all'ordinamento interno e di coerenza con il superiore interesse del minore, se la domanda di ricongiungimento si fonda sulla kafalah negoziale?
Massima

La valutazione circa la possibilità di consentire al minore l'ingresso in Italia per il suo ricongiungimento con l'affidatario, anche se cittadino italiano, non può essere esclusa in considerazione della natura e della finalità della kafalah c.d. negoziale: tuttavia, deve essere valutata - in concreto - la coerenza con il superiore interesse del minore.

Il caso

Nel caso di specie, tramite procura notarile regolarmente omologata dal Tribunale di prima istanza territorialmente competente, il minore I.A. era stato affidato al fratello maggiore A.Z., già titolare di permesso per asilo politico. L'affidatario, dovendo ricondurre il fratello in Italia, aveva chiesto il visto per il ricongiungimento, che era stato negato dall'Ambasciata italiana a Islamabad (Pakistan); pertanto, si è rivolto al Tribunale di Genova, che ha annullato il diniego del visto.

Avverso tale ordinanza hanno proposto gravame il Ministero dell'Interno ed il Ministero degli Esteri, che è stato respinto dalla Corte d'Appello di Genova (App. Genova n. 813/2018).

In particolare, la decisione di primo grado è stata confermata sulla base di due considerazioni: in primo luogo, perché l'articolo 29, comma 2, del T.U. 286/1998 sull'immigrazione elenca i minori che si possono equiparare “ai figli” (cioè gli adottati, gli affidati e sottoposti a tutela); in secondo luogo, perché, nel caso concreto, il fratello minore del richiedente era stato a lui affidato dalla madre in base a una dichiarazione giurata vidimata da un notaio del luogo.

L'Avvocatura Generale dello Stato, nell'interesse di entrambi i Ministeri, ha proposto ricorso per la Cassazione della sentenza n. 813/2008, deducendo un unico motivo: «la violazione o la falsa applicazione dell'art. 9 della l. 184/1983 e dell'art. 29 del T.U. 286/1998, perché la norma da ultimo citata, nell'indicare i familiari ammessi ricongiungimento, non farebbe alcun riferimento ai fratelli, che, invece, in base all'ordinamento italiano, sono parenti di secondo grado e non potrebbe essere interpretata estensivamente».

L'intimato, invece, non ha svolto difese.

La causa, quindi, è stata rimessa in pubblica udienza con l'ordinanza interlocutoria n. 5081 del 2020, in relazione all'ambito applicativo dell'articolo 29 T.U. 286/1998 nella parte relativa ai minori che ai fini del ricongiungimento possono essere equiparati ai figli (adottati, affidati e sottoposti a tutela).

La questione

In via preliminare, la Corte ha ritenuto che la vicenda in questione non andasse ricondotta all'affidamento c.d. parentale (disciplinato dall'art. 9 l. n. 184/1983) ma all'istituto della kafalah negoziale.

La kafalah è un istituto giuridico del diritto islamico che trova la sua origine nel Corano, che vieta l'adozione ma che, al contempo, soddisfa il dovere solidaristico obbligando ogni buon musulmanoad aiutare i bisognosi e gli orfani. Esistono due modi per pronunciare la kafalah: quellaconsensuale (detta anche convenzionale o notarile), basata su un accordo tra la famiglia di origine e quella di accoglienza, siglata davanti ad un giudice o ad un notaio (la successiva omologazione è facoltativa); quella giudiziale o pubblicistica, pronunciata dall'Autorità giudiziaria. In entrambi i casi, un soggetto (kafil) promette dinnanzi a un giudice o ad un notaio di curare e mantenere un minore (makfoul), provvedendo a tutte le sue esigenze, fino al raggiungimento della sua maggiore età; tra kafil e makfou non sorge alcun vincolo di filiazione, né si interrompono i rapporti giuridici tra il minore e la famiglia di origine.

Tornando alla sentenza in commento, essa merita di essere segnalata perché la Cassazione, pur decidendo in continuità con l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2013 in tema di kafalah, con particolare riferimento a quella c.d. negoziale, si sofferma su due ulteriori questioni:

1. l'interpretazione dell'art. 29 T.U. 286/1998 data dalle Sezioni Unite, può estendersi fino a ricomprende anche i ricongiungimenti familiari che si fondano sulla kafalah negoziale?

2. in forza di quali criteri il giudice italiano può esprimere un giudizio di non contrarietà all'ordinamento interno e di coerenza con il superiore interesse del minore, se la domanda di ricongiungimento si fonda sulla kafalah negoziale?

Le soluzioni giuridiche

Nel 2013 le Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 263 c.p.c., avevano enunciato il seguente principio di diritto «non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale per il ricongiungimento familiare richiesto nell'interesse di un minore cittadino extracomunitario affidato a un cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito».Ricorrendo ad un'interpretazione estensiva (e non analogica a casi non previsti, che è pacificamente vietata: cfr. Cass. n. 25661/2010) e costituzionalmente orientata dell'art. 29, comma 2, T.U. 289/1998, avevano fatto rientrare nella nozione di “affidati” anche i minori che beneficiano della kalafah (in senso contrario: Cass. 4868/2010).

Nel caso in esame – con riferimento alla prima delle questioni evidenziate – i giudici della Corte, pur ponendosi in continuità con l'orientamento delle Sezioni Unite, hanno deciso che la lettura dell'art. 29 T.U. dovesse andare oltre il “limite” (determinato dall'inciso «quando questo [la kalafah] non abbia natura esclusivamente negoziale») che nel 2013, comunque, si era ritenuto di dover salvaguardare.

Infatti, se è vero che diversi sono i presupposti posti all'origine delle due tipologie di kafalah («stato di abbandono e grave disagio» del minore in quella giudiziale ed «esigenza di far godere al minore maggiori opportunità e migliori condizioni di vita» in quella negoziale), è pur vero che entrambe sono previste a protezione del minore.

Pertanto, secondo la Corte, il ricongiungimento ex art. 29, comma 2, T.U. 289/1998, «non può essere escluso in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della kafalah negoziale, ma deve essere effettuata, piuttosto, caso per caso un'attenta valutazione»(in senso conforme: Cass. 1843/2015).

In conclusione, ai fini del ricongiungimento del minore, viene considerato rilevante anche l'affidamento che si fonda sulla kafalah negoziale, così come era già stato deciso con la sentenza Cass. n. 1843/2015. Anche in quella vicenda, infatti, erano stati presi in considerazione la necessità di valutare il superiore interesse del minore(vedi par. 23 e ss.) e la non contrarietà con l'ordine pubblico (vedi par. 31 e ss.). La Corte, in allora, aveva deciso che se la fisiologia della kafalah è quella di essere uno strumento idoneo alla protezione, allora in astratto vi sono ragioni per ritenere che nessuna delle due forme possa essere in contrasto con l'ordine pubblico italiano. In particolare, dell'affidamento convenzionale, era stato valorizzato il ruolo di controllo pubblico svolto ab origine e consistente nel positivo riscontro dell'idoneità potenziale dell'accordo a operare nell'interesse del minore.

Osservazioni

In uno scenario normativo ed applicativo ancora incerto, la decisione in esame merita di essere segnalata perché i giudici di legittimità, per la prima volta da quando hanno avuto modo di pronunciarsi in ordine agli effetti della kafalah nel diritto nazionale (cfr. già Cass. n. 21395/2005, Cass. n. 7472/2008, Cass. n. 18174/2008 e Cass. n. 19734/2008; Cass. n.1908/2010), indicano espressamente in forza di quali principi si deve valutare il superiore interesse del minore per escludere decisioni contrarie alle norme nazionali ed internazionali in tema di protezione dell'infanzia e, più in generale, dell'ordine pubblico.

E così, rispondendo al secondo quesito, la Cassazione ritiene che la valutazione di non contrarietà all'ordine pubblicodell'ingresso del minore affidato consensualmente, vada fatta dal giudice di merito, in ciascun caso ed in concreto, secondo precisi parametri: accertamento della natura e della finalità dell'istituto prescelto dalle parti nonché della corrispondenza dello stesso con le norme di diritto interno dello Stato di provenienza; individuazione dell'effettiva ragione pratico-giuridica della kafalah (giacché un atto consimile è potenzialmente utilizzabile anche a fine elusivo delle norme del Paese ospitante); se ed in base a quali norme di diritto interno dello stato di provenienza il ricorso ad un istituto del genere sia da considerarsi ammesso; se ed in quale senso, a fronte della concreta situazione personale e familiare, esso fosse coerente con i superiori interesse del minore.

Conclusione del tutto condivisibile.

Infatti, se vero è che la ratio dell'istituto della kafalah è quella di essere uno strumento internazionale idoneo alla protezione del minore (art. 20 Convenzione di New York; art. 3, lett. e) Convenzione dell'Aja) è ragionevole ritenere che – in astratto – non può essere ritenuta in contrasto con l'ordine pubblico.

Né questa considerazione può essere ristretta alla sola kafalah giudiziale, perchépronunciata dall'Autorità giudiziaria, dovendo, invece, trattare uniformemente la materia delle misure di protezione del minore (in questo senso, cfr. Cass. 7472/2008 e successive conformi).

Tuttavia, altrettanto forte è la necessità di tutelare in maniera “prioritaria” il minore, rispetto a qualunque altra esigenza. E ciò è possibile solo a seguito di una rigorosa indagine concreta circa la sussistenza del suo “superiore interesse” (artt. 2 e 30 Cost.; art. 3 Convenzione di New York; art 24 Convenzione Carta diritti fondamentali dell'U.E; art. 28 T.U. 286/98; Cass. 7472/2008).

Nel caso di specie, tale doverosa indagine non era stata compiuta: la sentenza, quindi, è stata cassata e rinviata alla Corte d'Appello.

Riferimenti

T. Tomeo,La Kafala, in www.comparazionedirittocivile.it.

Morozzo della Roca, Kafalah , Uscio aperto con porte socchiuse per l'affidamento del minore mediante kafalah al cittadino italiano o europeo, in Corr. giur. 2013, 1497.

M. Masi., La Cassazione apre alla kafalah negoziale per garantire in concreto il best interest of the child, in La nuova giurisprudenza civile commentata, Anno XXXI, n. 7-8, pag. 707 e ss.

V. Cesari, La kafala di diritto islamico nella giurisprudenza italiana: evoluzione e nuove prospettive di riconoscimento, in Il Familiarista, del 26 marzo 2019;

Ivan Libero Nocera,Al minore tutelato dalla kafala islamica può essere concesso il diritto di ingresso e di soggiorno, in Il Familiarista, del 28 marzo 2019;

A. Fasano, G. Pizzolante, Attuata in Italia (ma non “del tutto”) la Convenzione dell'Aja del 1996 in materia di protezione dei minori, in Il Familiarista, del 15 luglio 2015.

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