Conversione in legge del decreto Ristori e udienze da remoto: la diabolica perseveranza di un legislatore (tecnicamente) confuso

Riccardo Nerucci
08 Gennaio 2021

Nonostante il Governo, con il decreto Ristori, avesse maneggiato in modo maldestro il processo telematico come strumento di contenimento dei contagi da Covid-19 nell'ambiente giudiziario, elaborando una disciplina farraginosa, confusa, a tratti incomprensibile, che aveva disseminato dubbi e disorientamento fra agli operatori pratici, il dibattito parlamentare non ha minimamente diradato le nebbie addensate dal Governo...
Abstract

Nonostante il Governo, con il decreto Ristori, avesse maneggiato in modo maldestro il processo telematico come strumento di contenimento dei contagi da Covid-19 nell'ambiente giudiziario, elaborando una disciplina farraginosa, confusa, a tratti incomprensibile, che aveva disseminato dubbi e disorientamento fra agli operatori pratici, il dibattito parlamentare non ha minimamente diradato le nebbie addensate dal Governo, dimostrando ancora una volta che ad ostacolare un'efficace amministrazione della Giustizia non vi sono soltanto la scarsità delle risorse, ma anche un apparato normativo sempre più involuto e disorganico. Il commento ha ad oggetto la conversione in legge del decreto Ristori con specifico riferimento alle udienze di primo grado (art. 23, commi 3, 4, 5 e 7), la cui disciplina, a parte limitati ritocchi, è rimasta sostanzialmente inalterata, e con essa il nostro giudizio negativo, che risulta anzi aggravato dalla “recidiva” del legislatore.

La disciplina delle “udienze pandemiche” in sintesi

La l. 18 dicembre 2020, n. 176, convertendo il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. decreto Ristori), ha confermando la scelta del collegamento telematico come strumento privilegiato per ostacolare la diffusione dei contagi da virus Covid-19 nello svolgimento dell'attività investigativa e giurisdizionale.

Limitando lo sguardo alla celebrazione delle udienze di primo grado, l'art. 23, ai commi 3, 4, 5 e 7, detta delle peculiari modalità di svolgimento.

Innanzitutto, le udienze nelle quali è ammessa la partecipazione del pubblico possono svolgersi a porte chiuse ai sensi dell'art. 472, comma 3, c.p.p., risultato forse conseguibile anche con una interpretazione estensiva della predetta norma.

Salvo quanto si dirà oltre, le udienze che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto.

Il collegamento da remoto non è mai possibile per le udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, per le udienze di discussione nei giudizi abbreviati e nel dibattimento e per gli incidenti probatori. Dunque, i periti possono partecipare da remoto all'udienza di conferimento dell'incarico, mentre la loro presenza fisica in aula diventa doverosa quando devono esporre le proprie conclusioni e sottoporsi all'esame delle parti e del giudice.

Il collegamento da remoto non è possibile, salvo che le parti vi consentano, per le udienze preliminari e dibattimentali.

A prescindere dalle modalità (telematiche o tradizionali) di svolgimento dell'udienza, la partecipazione delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto, con applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p.

Quando avviene tramite collegamento da remoto, lo svolgimento dell'udienza deve avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti.

Prima dell'udienza il giudice deve far comunicare il giorno, l'ora e le modalità del collegamento ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione.

Gli imputati liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere devono partecipare dalla medesima postazione da cui si collega il difensore, il quale deve attestare l'identità del proprio assistito. Il giudice può partecipare all'udienza da remoto anche da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario.

Per quanto riguarda le udienze di convalida dell'arresto o del fermo, occorre distinguere a seconda che l'interessato sia libero, custodito in uno dei luoghi di cui all'art. 284, comma 1, c.p.p. (abitazione o altro luogo di privata dimora, luogo pubblico di cura o di assistenza o casa famiglia protetta) oppure in carcere.

Nel primo caso, trattandosi di udienza camerale, la convalida può svolgersi mediante collegamento da remoto e la persona arrestata o fermata partecipa dalla medesima postazione da cui si collega il difensore.

Nel secondo caso, la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all'udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile. In tal caso, l'identità della persona arrestata o formata è accertata dall'ufficiale di polizia giudiziaria presente.

Nel caso di persona detenuta in carcere, la partecipazione all'udienza avviene mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto dall'istituto penitenziario, ove possibile.

Quando si procede da remoto, l'ausiliario del giudice deve dare atto nel verbale d'udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui ha accertato l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'art. 137, comma 2, c.p.p., o di vistarlo, ai sensi dell'art. 483, comma 1, c.p.p.

Per quanto riguarda le deliberazioni collegiali in camera di consiglio, è prevista la possibilità di assumerle mediante collegamenti da remoto, purché non si tratti di deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto.

Se si procede da remoto, il luogo da cui si collegano i magistrati – che, come già detto, può essere anche diverso dall'ufficio giudiziario – è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge, ma in tal caso può diventare impossibilità verificare il rispetto della segretezza della deliberazione (art. 125 comma 4, c.p.p.). Dopo la deliberazione, il presidente del collegio, o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile.

I dubbi sui limiti temporali delle nuove norme

Come avevamo osservato commentando il decreto legge (cfr. Nerucci Trinci, Seconda “ondata epidemica” e c.d. decreto ristori: nuove norme sul procedimento penale e dubbi interpretativi, in Il Penalista, 3 dicembre 2020), il primo comma dell'art. 23, nel tentativo di delimitare temporalmente l'efficacia delle nuove norme, aveva richiamato il termine previsto dall'art. 1 d.l. 19/2020, convertito nella l. 35/2020, che pare spirato il 31 luglio scorso, dando così involontariamente vita ad una normativa emergenziale di durata indeterminata.

Nella parte che qui interessa, il comma in esame è rimasto immutato anche dopo la conversione in legge. Il Parlamento sembra, dunque, aver deciso di perpetuare l'errore del Governo, per effetto del quale le norme di cui si tratta non avrebbero una durata predeterminata.

Il condizionale è d'obbligo, però, perché vi è chi ha ritenuto che un termine possa essere individuato nella cessazione dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri, e attualmente fissato al 31 gennaio 2021 (in tal senso, si veda Spangher, Giustizia: con la conversione dei Dl Ristori si consolida la modalità in remoto delle udienze penali, in Norme e Tributi Plus, 29 dicembre 2020). In sostanza, poiché l'art. 1 d.l. 19/2020, convertito nella l. 35/2020, consente che, per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid-19, possano essere adottate specifiche misure «per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020», il richiamo a tale disposizione andrebbe inteso come riferito ai limiti temporali di volta in volta fissato dall'esecutivo con la proroga dello stato di emergenza.

Si tratta di una lettura che ha senza dubbio il pregio di circoscrivere una normativa eccezionale, capace di comprimere i diritti delle parti bilanciandoli con una contingente esigenza di tutela della salute pubblica. Tuttavia, è quantomeno dubbio che la catena di rinvii su sui si regge l'opzione interpretativa di cui sopra porti al risultato proposto, dato che il più volte menzionato art. 1 non contiene, a sua volta, un rinvio alle eventuali successive proroghe dello stato di emergenza; senza contare che, attribuendo a un decreto presidenziale il potere di prorogare la durata di una normativa emergenziale che modifica previsioni codicistiche, talune poste a presidio di valori costituzionali (uno per tutti, il controllo democratico sull'amministrazione della giustizia esercitato con la partecipazione del pubblico alle udienze), potrebbe porsi un problema di sovvertimento della gerarchia delle fonti del diritto.

Le (poche) novità sulla partecipazione da remoto alle udienze

A parte la correzione di qualche refuso (“Covid” al posto di “Civid” e “fermato” al posto di “formato”), che tuttavia la dice lunga sull'attenzione dei compilatori, l'unica modifica apportata dalla legge di conversione alla disciplina delle udienze di primo grado riguarda il comma 5 dell'art. 23 e, precisamente, l'ambito di applicazione delle norme in tema di partecipazione all'udienza “da remoto”. Rispetto alla norma originaria, il legislatore ha introdotto due sole correzioni, una sostanziale e l'altra, invece, di carattere puramente formale. Quanto alla prima, si è estesa l'inapplicabilità assoluta delle norme sulla partecipazione “da remoto” anche alle ipotesi di cui all'art. 392 c.p.p., che disciplina, come è noto, i casi di incidente probatorio; dunque, in sintesi, l'assunzione di una prova in sede di incidente probatorio dovrà inderogabilmente avvenire con la presenza fisica delle parti. Si tratta per la verità di un'innovazione di limitata importanza: il decreto legge prevedeva infatti che le norme in questione non si applicassero alle udienze in cui «devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti» e dunque tale disposizione, rimasta intatta in sede di conversione, già ab origine ricomprendeva quasi tutte le ipotesi di incidente probatorio. Restavano esclusi solamente i casi previsti dalle lettere d) ed e) dell'art. 392 c.p.p., vale a dire, rispettivamente, l'esame delle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. e il confronto «tra persone che in altro incidente probatorio o al pubblico ministero hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b)»: in questi casi, infatti, si tratta di soggetti che non rientrano o (nel caso della lettera e) possono non rientrare in una delle quattro categorie sopra indicate. La lacuna è ora evidentemente (e opportunamente) colmata: dunque, si può concludere che la celebrazione dell'udienza con modalità “da remoto” è ora esclusa in tutti i casi di incidente probatorio. La seconda modifica che ha inciso sul comma 5 è, come si è accennato, puramente lessicale. Nel d.l. 137/2020 si stabiliva infatti che le disposizioni sulla partecipazione all'udienza con modalità “da remoto” non si applicassero, «salvo che le parti vi consentano, alle udienze preliminari e dibattimentali»; nel testo scaturito dalla conversione si legge che queste stesse disposizioni «si applicano, qualora le parti vi acconsentano, anche alle udienze preliminari e dibattimentali». È dunque evidente che, al netto dei ritocchi di stile, il significato della norma sia rimasto lo stesso. Ci sfugge onestamente lo scopo di questo “gioco delle tre carte”, con il quale il Parlamento ha rielaborato vocaboli e sintassi per poi dire esattamente ciò che aveva detto il Governo. Si può comunque azzardare, per dirla con Flaiano, che ciò sia avvenuto solo perché il legislatore ha poche idee ma confuse.

In conclusione

Se solo queste sono le modifiche apportate in sede di conversione, è evidente che rimangono per così dire sul tappeto tutti gli spunti problematici sui quali ci eravamo soffermati nel commentare il d.l. 137/2020. Ci pare dunque utile ricapitolare i dubbi e le perplessità che avevamo espresso, rinviando, per chi sia interessato a una trattazione più approfondita, al nostro precedente articolo:

  1. il legislatore, richiamando solo alcune delle ipotesi di celebrazione del processo a porte chiuse previste dall'art. 472 c.p.p., ha inteso escludere o addirittura abrogare implicitamente tutte le altre?;
  2. nel prevedere il consenso delle parti per celebrare “da remoto” le udienze preliminari e dibattimentali senza imputati detenuti in carcere o internati, si è inteso stabilire che è necessario l'accordo di tutte le parti o semplicemente che ciascuna di esse è libera di scegliere se procedere a distanza o “in presenza”?;
  3. perché non consentire ai giudici di riunirsi in camera di consiglio con modalità “da remoto” dopo la discussione finale dei procedimenti celebrati “in presenza” e anche quando, per legge, la deliberazione non debba essere immediata?

In chiusura del commento al decreto ristori avevamo espresso dure critiche sull'operato del legislatore, definendolo frettoloso, maldestro e persino poco coraggioso. Eravamo, tuttavia, intimamente convinti che l'urgenza della pandemia giustificasse, almeno in parte, una certa frettolosità compilativa e una certa disattenzione tecnica. Insomma, ritenevamo che i dubbi evidenziati fossero “peccati” che il dibattito parlamentare avrebbe emendato senza esitazioni e senza troppe difficoltà. Constatare, però, che tutto è rimasto sostanzialmente immutato e che, come spesso accade, ancora una volta è all'interprete che si chiede di far funzionare la disciplina in modo razionale ed efficiente, lascia a dir poco amareggiati. Se poi tutto questo sia avvenuto per semplice negligenza o per scelta consapevole del Parlamento non è chi scrive a doverlo dire; ma il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è, secondo noi, l'ennesimo esempio della superficialità con cui il legislatore è solito intervenire su un meccanismo complesso come il processo penale.

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