Indagini preliminari ed emergenza Covid-19: più ombre che luci

11 Gennaio 2021

A causa dell'emergenza sanitaria tuttora in corso e dell'aggravarsi delle condizioni di diffusione del virus verificatosi nel terzo trimestre del 2020, il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “decreto Ristori” (d.l. 28 ottobre 2020, n. 137) e, a distanza di pochi giorni, il “decreto Ristori bis” (d.l. del 9 novembre 2020, n. 149), volti a introdurre misure urgenti per la tutela della salute e per il sostegno ai lavoratori e ai settori produttivi, nonché in materia di giustizia e sicurezza connesse all'epidemia da Covid-19...
Abstract

A causa dell'emergenza sanitaria tuttora in corso e dell'aggravarsi delle condizioni di diffusione del virus verificatosi nel terzo trimestre del 2020, il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “decreto Ristori” (d.l. 28 ottobre 2020, n. 137) e, a distanza di pochi giorni, il “decreto Ristori bis” (d.l. del 9 novembre 2020, n. 149), volti a introdurre misure urgenti per la tutela della salute e per il sostegno ai lavoratori e ai settori produttivi, nonché in materia di giustizia e sicurezza connesse all'epidemia da Covid-19.

Questi provvedimenti oltre a porre una barriera alle estreme difficoltà economiche di questo periodo, dedicano dettagliate disposizioni ad alcuni aggiustamenti relativi alle modalità di accesso ai Tribunali, alla partecipazione alle udienze da parte dei privati e addetti ai lavori, nonché al rispetto del principio del contraddittorio e oralità. Tra i settori interessati vi è quello delle indagini preliminari ove è previsto che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono avvalersi di collegamenti da remoto, per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini si opponga, quando l'atto richiede la sua presenza.

Premessa: la seconda ondata del Covid-19 e gli ultimi interventi normativi

Nel XXXI capitolo dei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni scriveva: La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d'Italia.

Parole tristemente tornate di attualità a causa della pandemia determinata dal Covid-19, la cui rapida diffusione a livello planetario ha imposto al legislatore l'adozione di provvedimenti normativi diretti alla regolamentazione dell'attività giurisdizionale.

La pandemia da Covid-19 ha stravolto il mondo, colpendo anche il settore della giustizia interessata da un costante ed inevitabile da un trend di “smaterializzazione diffusa” del rito penale (S. LORUSSO): si è permesso non solo di svolgere in remoto, mediante applicativi telematici innovativi, una serie molto più ampia di fasi del procedimento, ma anche di celebrare le udienze in forma totalmente online, tramite applicativi, quali Microsoft Teams, Skype e Zoom, con tutti i soggetti, tra cui persino il giudice, collocati in luoghi diversi dalle aule dei tribunali e delle corti.

Infatti, il nuovo incremento e la notevole ingravescenza dei contagi da Covid-19 hanno indotto il Governo a intervenire nuovamente sulla disciplina dell'amministrazione della giustizia, adottando con decretazione d'urgenza una serie di misure tese a garantire l'essenzialità dei servizi giudiziari e a fronteggiare al contempo i rischi di aumento delle esposizioni a contagio da parte di tutti i suoi utenti (magistrati, avvocati, polizia giudiziaria, personale amministrativo, privati, indagati, imputati e condannati).

Le misure adottate resteranno in vigore fino allo scadere dello stato di emergenza, che, attualmente, è dichiarato sino al 31 gennaio 2021.

Il decreto Ristori (d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, in vigore dal 29 ottobre 2020) ha introdotto disposizioni in materia di: a) svolgimento delle indagini preliminari e delle udienze da remoto; b) celebrazione dei procedimenti presso la Corte di Cassazione; c) deposito di atti per via telematica o via PEC; d) concessione di licenze e permessi premio ai detenuti, esecuzione della pena detentiva presso il domicilio.

In particolare, agli artt. 23 e 24 del decreto sono state previste le specifiche misure per l'esercizio dell'attività giurisdizionale e per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, che, sostanzialmente, riprendono e in parte modificano le vecchie disposizioni contenute nell'art. 83 del d.l. n. 18 del17 marzo 2020, convertito con legge n. 27 del 24 aprile 2020 e nell'art. 221 del decreto legge 34 del 2020, convertito con legge n. 77 del 2020.

Il decreto Ristori Bis (d.l. 9 novembre 2020, n. 149, in vigore dal 9 novembre 2020) ha, invece, introdotto norme relative: a) alla celebrazione dei giudizi di appello; b) alle ipotesi di sospensione del procedimento per effetto di obblighi di quaranta o isolamento fiduciario; c) alle conseguenti ipotesi di sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare.

I cc.dd. decreto Ristori e Decreto Ristori bis hanno introdotto diverse nuove disposizioni in materia di procedimenti penali da applicare dalla data di entrata in vigore dei rispettivi decreti – 29 ottobre e 9 novembre – fino al 31 gennaio 2021.

Si tratta, in buona parte, della reintroduzione e del ripristino, con alcune lievi correzioni, di misure già adottate in passato, la cui vigenza era stata limitata nel tempo in ragione della ritenuta transitorietà dell'emergenza epidemiologica da Covid-19.

In altri termini, al fine di garantire il distanziamento sociale e il contenimento dei contagi, il nuovo decreto legge riprende molte delle disposizioni sul c.d. processo penale telematico già previste dall'art. 83 d.l. n. 18/2020, le quali – cessate di efficacia lo scorso 30 giugno 2020 – sono rivitalizzate per consentire quanto più possibile lo svolgimento “da remoto” di attività processuali, sia in sede di indagini preliminari che in fase dibattimentale.

Stesso è a dirsi per le misure previste dall'art. 221 d.l. n. 34/2020, destinate ad esaurirsi il prossimo 31 dicembre 2020, che sono riprese ed implementate.

Viene in rilievo, rispetto alla normativa prevista per la cd. prima ondata, l'assenza, allo stato, di una ipotesi di temporanea sospensione generale delle attività di udienza: nel rispetto delle più specifiche norme stabilite dai due citati decreti, la giustizia penale prosegue.

Sicché il 24 dicembre 2020 sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 è stata pubblicata la conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19.

In particolare, è stata approvata, con voto di fiducia, in via definitiva la legge di conversione del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, il cosiddetto decreto Ristori, incorporando altresì i decreti a questo successivi (Ristori-bis; -ter, -quater), che sono stati contestualmente abrogati (legge che è entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, quindi, a far data dal 25 dicembre 2020).

Lo svolgimento delle indagini preliminari da remoto

Le norme contenute negli articoli da 23 a 30 riguardano lo svolgimento dell'attività giurisdizionale.

Col presente contributo si tenterà di dare una prima lettura del provvedimento legislativo relativamente alla disciplina delle indagini preliminari da remoto.

In particolare, l'articolo 23 disciplina l'attività giurisdizionale per il periodo di emergenza con la reintroduzione della possibilità di svolgere indagini preliminari e udienze con collegamento da remoto.

L'art. 23 comma 2 d.l. n. 137/2020 prevede ora – così come già faceva, ma con significative differenze, l'art. 83, comma 12-quater d.l. n. 18/2020 – che il P.M. e la polizia giudiziaria, nel corso delle indagini preliminari, possano avvalersi di “collegamenti da remoto”, individuati e regolati con provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi e Automatizzati del Ministero della Giustizia (D.G.S.I.A.), «per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone», ma ciò sarà possibile – a differenza di quanto previsto in origine dall'art. 83 cit. – «salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini non si opponga, quando l'atto richiede la sua presenza».

Com'è ovvio, tale correttivo costituisce una modifica significativa in termini di tutela del diritto alla salute dei soggetti chiamati a partecipare a un atto di indagine della polizia.

In virtù del novum normativo, essi potranno, infatti, recarsi presso il più vicino ufficio della P.G., dotato di collegamenti da remoto, senza doversi spostare su una porzione più ampia del territorio nazionale, il che aumenterebbe senz'altro il rischio di contagio.

Nella bozza di articolato normativo circolata nei giorni precedenti l'adozione del decreto legge poi convertito, la disposizione prevedeva molto più opportunamente – vista la chiara finalità dell'intervento normativo in oggetto, esplicitata nel suo preambolo, ossia garantire «la tutela della salute in connessione all'emergenza epidemiologica da Covid-19» – che tali facoltà, da parte del P.M. e della P.G., fossero esercitabili nei confronti dei soggetti sopra indicati proprio «nei casi in cui la presenza fisica di costoro non può essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento della diffusione del virus Covid-19».

Nulla più, adesso, la norma prevede in tal senso, sfuggendo la ratio dell'eliminazione di un simile inciso.

È evidente, infatti, che la facoltà di fare ricorso ai collegamenti “da remoto” per il compimento di attività di indagine (assunzione a S.I.T. di persone informate sui fatti, interrogatori e conferimenti di incarichi a c.t.) sia funzionale proprio a diminuire al massimo grado il rischio di contagi tra i vari soggetti coinvolti nell'attività di indagine.

Pertanto, la norma consente -si tratta di una facoltà e non di un obbligo- lo svolgimento, con collegamenti da remoto, di atti di indagine che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, dei relativi difensori, di consulenti, di esperti o di altre persone.

È stata eliminata la condizione prevista dall'art. 83 d.l. n. 18/20202 che la presenza fisica del difensore e dell'indagato non potesse essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento della diffusione del Covid-19.

Pertanto nel periodo di vigenza della norma è stata demandata alla discrezionalità del PM o alla Polizia Giudiziaria (al riguardo si evidenzia la mancata previsione dell'autorizzazione del magistrato in relazione ai casi in cui procede la Polizia Giudiziaria) la facoltà di avvalersi del collegamento da remoto.

Sebbene la norma non contenga un elenco degli atti di indagine che possono essere effettuati con collegamento da remoto essi possono essere dedotti comunque in ragione del fatto che si potranno effettuare gli atti per i quali è richiesta la partecipazione della persona sottoposta alle indagini o di altre persone.

È pensabile ritenere che tra essi rientrino le sommarie informazioni della persona sottoposta alle indagini richieste dalla Polizia Giudiziaria di cui all'articolo 350 c.p.p. e quelle di cui all'art. 351 c.p.p.; l'assunzione di informazioni da parte del Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 362 c.p.p.; l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini e di quella imputata in un procedimento connesso, effettuati dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 363 c.p.p.

Potranno essere svolti con la predetta modalità anche i confronti ex art. 211 c.p.p.; le attività di cui agli artt. 359 e 360 c.p.p.

Al riguardo si osserva che è di difficile praticabilità l'attività di indagine, seppur possibile, con l'individuazione di persone e cose nella forma di cui al comma dell'art. 361 cpv c.p.p. Come sconsigliabile sarebbe ai fini di una corretta acquisizione l'attività relativa alla raccolta delle sommarie informazioni da soggetti di cui al comma 1 ter dell'art. 351 c.p.p. ed al comma 1 bis dell'art. 362 c.p.p. (M. AGOSTINI-M. PETRINI)

Sicché i problemi si pongono, più precisamente, per quegli atti di indagine – come le ispezioni o l'individuazione – che, pur non risultando ontologicamente incompatibili con l'utilizzo di modalità a distanza, rischiano però di essere assai meno affidabili se svolti in forma telematica.

Tuttavia, la mancanza di un divieto normativo in proposito porta a ritenere che l'art. 23, comma 2, d.l. 187/2020 autorizzi in astratto l'autorità a compiere pure tali indagini in remoto; il che, peraltro, non toglie che gli operatori giudiziari debbano sempre compiere una valutazione particolarmente stringente in concreto con riguardo all'attendibilità di siffatte investigazioni, ove siano effettivamente svolte in remoto.

Sempre l'art. 23, comma 2, d.l. n. 137/2020 contempla, inoltre, una serie di previsioni – alcune delle quali già previste dall'art. 83 cit., altre invece di nuova introduzione – volte a garantire che nello svolgimento delle attività di indagine “da remoto” sia rispettato sia il contraddittorio tra le parti, sia un più efficace distanziamento sociale, disponendosi invero che: a) le persone chiamate a partecipare all'atto sono tempestivamente invitate a presentarsi presso l'ufficio di polizia giudiziaria più vicino al luogo di residenza, che abbia in dotazione strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto; b) il compimento dell'atto avviene in presenza di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria che redige il verbale dà atto nello stesso delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137 comma 2 del codice di procedura penale; c) il compimento dell'atto avviene con modalità idonee a salvaguardarne, ove necessario, la segretezza e ad assicurare la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di consultarsi riservatamente con il proprio difensore; d) il difensore partecipa da remoto mediante collegamento dal proprio studio, salvo che decida di essere presente nel luogo ove si trova il suo assistito; e) la partecipazione delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, così come la partecipazione delle medesime persone all'interrogatorio di garanzia ai sensi dell'art. 294 c.p.p. da parte del G.I.P., sia assicurata con le stesse modalità previste per la partecipazione di tali persone alle attività di udienza.

La scelta così compiuta pecca di eccessiva prudenza, se solo si ponga mente alla circostanza che nella bozza di provvedimento circolata nei giorni antecedenti la sua adozione si era invero ipotizzato che le persone chiamate a partecipare alle attività di indagine, fossero la persona offesa o l'indagato ovvero piuttosto i consulenti tecnici e gli esperti di cui si avvalgono il P.M. e la P.G., potessero partecipare agli atti o essere sentite, rispettivamente, anche in collegamento dallo studio del difensore che li assiste oppure dal proprio studio professionale.

Sfugge, anche in questo caso, la ratio di un simile ripensamento, dal momento che tali previsioni avrebbero certamente incrementato il tasso di tutela della salute dei vari operatori chiamati ad intervenire alle attività di indagine, sempre in quell'ottica di contenimento dei contagi a cui è dichiaratamente ispirato il nuovo intervento normativo.

Una menzione a parte merita l'interrogatorio ai sensi dell'art. 294 c.p.p.

La norma infatti prevede che “con le medesime modalità di cui al presente comma il giudice può procedere all'interrogatorio di cui all'art. 294 del codice di procedura penale”.

Invero trattandosi di attività non rientrante tra gli atti di indagine in quanto come è noto si tratta dell'interrogatorio di garanzia che segue l'applicazione di misura cautelare coercitiva o interdittiva, tale inserimento risulta poco armonico rispetto al tenore dispositivo della norma che peraltro costituisce una novità rispetto al comma 12 quater del Decreto Legge n. 18/2020 che non prevedeva tale ipotesi.

In quel caso la norma prevedeva una generica indicazione per la quale anche il Giudice poteva svolgere atti di indagine con collegamento da remoto.

Un limite della norma va individuato nella circostanza che da tale formulazione risulta obliterato l'interrogatorio previsto dall'art. 289 c.p.p., preliminare all'applicazione della misura della sospensione da un pubblico ufficio o servizio.

L'eliminazione dall'art. 23 comma 2 della figura del Giudice quale soggetto che può compiere determinati atti in remoto nel corso delle indagini preliminari sembrerebbe, quindi, espressione della volontà del legislatore di escludere la possibilità di espletare, a distanza, le udienze ove l'escussione della persona offesa o del testimone avviene con le forme dell'incidente probatorio.

La possibilità per il Giudice di compiere attività a distanza nel corso delle indagini preliminari sarebbe, dunque, limitata all'interrogatorio di cui all'art. 294 c.p.p., in relazione al quale è stato necessario prevedere una specifica autorizzazione.

È dunque consentito (ma non dovuto) alla pubblica accusa e alla polizia giudiziaria di ricorrere a collegamenti da remoto, così come saranno previsti e disciplinati dal direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia con apposito provvedimento, per porre in essere gli atti per cui è richiesta la partecipazione dell'indagato, della vittima, dei rispettivi difensori, nonché di consulenti, esperti e altre persone (se necessario).

La facoltà di veto al compimento di atti di indagine da remoto da parte del difensore

Rispetto alla precedente normativa emergenziale risulta di rilievo l'introduzione della facoltà concessa al difensore della persona sottoposta alle indagini di opporsi allo svolgimento dell'atto di indagine con collegamento da remoto, relativamente agli atti per i quali sia richiesta la presenza del proprio assistito.

Va inoltre precisato che la facoltà in commento è attribuita al difensore e solo al difensore e non anche alla parte a privilegio della difesa tecnica.

Tuttavia, non si comprende il senso dell'introduzione di un siffatto penetrante “potere di veto” da parte della difesa dell'indagato sul compimento “da remoto” degli atti di indagine, né come esso si giustifichi razionalmente in chiave di coerenza sistematica rispetto all'intera disciplina, deputata appunto al contenimento della diffusione dei contagi. Se, infatti, esigenza manifesta della nuova normativa è quella di garantire il “contenimento della diffusione del virus Covid-19” e di evitare, quindi, che tali esigenze siano frustrate e messe a rischio proprio dall'esercizio “in presenza” delle attività di indagine e di udienza, non si comprende perché e sulla base soprattutto di quali motivi, in un'ottica di adeguato bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco con la cennata esigenza sanitaria, possa essere consentito alla difesa dell'indagato di paralizzare il compimento delle attività di indagine “da remoto”.

La norma, al contrario, non tipizza e non disciplina alcuna ipotesi specifica in cui sia possibile esercitare tale potere inibitorio, salvo limitare l'opposizione della difesa ai soli casi in cui sia necessaria la presenza del difensore allo svolgimento delle attività di indagine, cosicché appare lecito avanzare più di qualche riserva sulla ragionevolezza intrinseca del dettato normativo, tenuto conto altresì del fatto che i casi in cui il difensore potrà opporsi a tali modalità non sono pochi (si pensi, tra tutti, agli interrogatori e agli accertamenti tecnici irripetibili ex art. 360 c.p.p.).

La stonatura risulta, peraltro, tanto più evidente se confrontata con la mancata previsione di analogo “potere di veto” sullo svolgimento dell'attività giudiziaria “da remoto” nell'ipotesi in cui, a partecipare alle medesime attività di indagine o finanche alle attività di udienza siano persone arrestate, fermate, sottoposte a custodia cautelare, internate o comunque detenute, dal momento che – a parità di situazione sanitaria e alla luce della medesima esigenza di contenimento dei contagi – non si comprende perché, per gli uni, valga l'obbligatorietà del ricorso al collegamento “da remoto”, mentre, per gli altri, vi sia la possibilità per la difesa di paralizzare lo svolgimento di simili attività (G. PESTELLI).

In dottrina non sono, tuttavia, mancate voci favorevole al riconoscimento della facoltà di veto accordata ai difensori, evidenziandosi che trattasi di una garanzia del tutto inedita di particolare importanza per gli indagati, che si sono visti così riconoscere il diritto di ottenere lo svolgimento “fisico” di una serie di atti d'indagine particolarmente delicati, tra cui in primis l'interrogatorio (M. GIALUZ-J. DELLA TORRE).

Ad ogni modo, indipendentemente dalla valutazione della facoltà di veto non può essere obliterata la circostanza che la norma presenta almeno due aspetti problematici.

In primo luogo, a causa della formulazione non cristallina, non è chiaro se la stessa possa operare soltanto allorquando sia la persona indagata a dover partecipare in prima persona all'atto, oppure anche laddove sia solo il suo difensore a essere chiamato ad assistervi.

Da un punto di vista letterale, infatti, la locuzione “quando l'atto richiede la sua presenza” può riferirsi tanto al soggetto della fase precedente (ossia il difensore dell'indagato), quanto al termine collocato immediatamente innanzi alla stessa (ossia, per l'appunto, la persona sottoposta alle indagini).

Per di più, anche nel caso in cui si propenda per la prima soluzione, non è neppure scontato stabilire che cosa l'esecutivo abbia voluto intendere con la locuzione “quando l'atto richiede la sua presenza”.

L'utilizzazione da parte del verbo richiedere all'indicativo potrebbe, infatti, far propendere per la tesi per cui la norma de qua operi soltanto nel caso in cui la partecipazione dell'avvocato del prevenuto sia per forza obbligatoria, il che restringerebbe di molto l'ambito di applicazione della stessa, la quale, ad esempio, potrebbe operare in ipotesi quali quella dell'art. 350 comma 3 c.p.p., ma non per una pluralità di altri atti investigativi.

Per contro, però, la circostanza per cui il legislatore emergenziale non abbia utilizzato nell'art.23 comma 2 d.l. n. 137/2020 locuzioni quali “quando è necessaria la sua presenza”, come, invece, fa il codice Vassalli allorquando vuole cristallizzare fattispecie in cui l'atto deve sempre compiersi con l'assistenza contestuale di un difensore, potrebbe, invece, portare a preferire un'esegesi diversa, secondo cui l'avvocato sia titolare del diritto di opposizione anche laddove egli abbia una semplice facoltà di assistere all'atto di indagine.

A parere di chi scrive si tratta di facoltà di opposizione da parte del difensore limitata agli atti per i quali la presenza dell'indagato è necessaria e quindi agli interrogatori o confronti.

Non pare che tale facoltà sia concessa relativamente alle attività per le quali la presenza è solamente facoltativa.

Un ulteriore profilo di incertezza riguarda, invece, la sussistenza o meno di tale potere di opposizione degli avvocati anche laddove i loro assistiti si trovino in vinculis.

Sono ovviamente possibili soluzione diverse.

Si afferma un tanto, dal momento che la previsione in esame prevede che l'intervento di tali categorie di individui alle indagini in remoto avvenga «con le modalità» stabilite dal comma 4 dell'art. 23 d.l. n. 137/2020, ossia la norma generale che regola la partecipazione alle udienze tramite collegamenti audiovisivi delle persone detenute. Ebbene, il problema consiste nel fatto che l'appena menzionato comma 4 non stabilisce in alcun modo un analogo diritto di opposizione all'utilizzo delle modalità di collegamento a distanza.

Da un lato, si potrebbe ritenere che il richiamo al comma 4 dell'art. 23 dia vita a una disciplina speciale, in grado di far venir meno pure il diritto di opposizione del legale dell'assistito; il che potrebbe giustificarsi alla luce dell'obiettivo di limitare al massimo la circolazione del virus negli istituti di pena.

Del resto, proprio al fine di raggiungere tale scopo, il menzionato comma 4 ha espresso un chiaro favor per la partecipazione a distanza, in ogni caso possibile, di una lunga schiera di soggetti privati della libertà personale (tra cui sono stati aggiunti espressamente, in modo innovativo, anche i fermati e gli arrestati), abrogando il dettato dell'art. 222, comma 9, del d.l. 34/2020, il quale prevedeva, per contro, quale requisito di operatività proprio il consenso delle parti (e quindi anche del prevenuto).

Da un altro lato, invece, una conclusione diversa potrebbe essere fondata sulla formulazione letterale dell'art. 23 comma 2. A un'analisi attenta, ci si renderà, infatti, conto di come esso rinvii soltanto alle modalità di cui al comma 4 del medesimo articolo, sembrando, pertanto, riferirsi unicamente al quomodo e non all'an dello svolgimento dell'atto di indagine in remoto.

Com'è ovvio, propendendo per tale lettura si arriverebbe al risultato di ritenere che la previsione generale del primo periodo dell'art. 23, comma 2, la quale proclama anche il diritto di opposizione del legale dell'indagato, operi anche nei confronti dei soggetti in vinculis.

Ne consegue che tale facoltà può essere esercitata anche in relazione all'espletamento dell'interrogatorio ai sensi dell'art. 294 c.p.p., sebbene esso atto non possa definirsi atto di indagine ai quali appare limitata la facoltà di opposizione del difensore.

Quale disciplina applicabile alle indagini difensive?

Deve osservarsi come il legislatore non ha dettato alcuna previsione in tema di indagini difensive da remoto.

Nonostante il silenzio della disciplina speciale, pare che il dettato testuale degli artt. 391-bis e 391-ter c.p.p. sia sufficientemente ampio (non facendo la stessa riferimento a luoghi fisici predefiniti) da ritenere che anche i legali possano avvalersi di strumenti come Skype o Teams al fine di assumere elementi di prova dichiarativi.

Appare evidente che tale interpretazione estensiva del dettato codicistico risulta essere costituzionalmente orientata, poiché in grado di evitare una sperequazione irragionevole tra poteri del pubblico ministero e dei soggetti privati, di dubbia compatibilità con il principio di parità delle parti.

Le modalità di deposito degli atti nella fase delle indagini preliminari

Sempre in materia di indagini preliminari, è stabilito che, in “deroga a quanto prevista dall'articolo 221,comma 11, del decreto-legge n. 34 del 2020 convertito con modificazioni dalla legge 77 del 2020, fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall'articolo 415-biscomma 3 del codice di procedura penale presso gli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali avviene, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità stabilite nel decreto stesso, anche in deroga alle previsioni del decreto emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24” (art. 24 comma 1, primo capoverso, d.l. n. 137/2020) fermo restando che:

1) il “deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento” (art. 24 comma 1, secondo capoverso, d.l. n. 137/2020);

2) con “uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per quali sarà reso possibile il deposito telematico nelle modalità di cui al comma 1” dell'art. 24 del d.l. n. 137/2020) (art. 24comma 2 d.l. n. 137/2020);

3) gli “uffici giudiziari, nei quali è reso possibile il deposito telematico ai sensi dei commi 1 e 2, sono autorizzati all'utilizzo del portale, senza necessità di ulteriore verifica o accertamento da parte del Direttore generale dei servizi informativi automatizzati” (art. 24 comma 3 d.l. n. 137/2020).

Gli aspetti tecnici relativi al collegamento da remoto

Le modalità tecniche dei collegamenti sono individuate con provvedimento del D.G.S.I.A. del Ministero della Giustizia.

Il 21 maggio 2020 è stato emanato il provvedimento contenente le modalità tecniche per lo svolgimento delle udienze civili e penali da remoto applicabile anche alle indagini preliminari.

La norma prevede che le persone chiamate a partecipare all'atto si portino presso il più vicino ufficio di polizia attrezzato per il collegamento. L'identificazione sarà curata dall'ufficiale di polizia giudiziaria.

Il difensore della persona sottoposta alle indagini potrà collegarsi da remoto, ovvero anche dal proprio studio, avendo comunque la facoltà di partecipare in presenza dal luogo dove si trova il suo assistito e quindi l'ufficio di polizia o il luogo di custodia laddove comunque è garantita la partecipazione a mezzo videoconferenza o collegamenti da remoto.

Dal combinato disposto della norma in esame con l' art. 137 comma 2 c.p.p. e l'art. 146 delle norme di attuazione, afferente appunto la disciplina della partecipazione al dibattimento a distanza, si deduce che il Pubblico Ministero, allorché personalmente l'atto di indagine, sia presente nel proprio ufficio unitamente al pubblico ufficiale che curerà la verbalizzazione ed attesterà l'approvazione del contenuto in luogo della sottoscrizione da parte dei soggetti posti nelle località diverse (art. 137 comma 2 c.p.p.).

In tale contesto risulta di rilievo la previsione di consentire che la persona sottoposta alle indagini possa consultarsi riservatamente con il proprio difensore qualora il difensore partecipi all'atto da località diversa.

Sotto altro aspetto la scelta sui “luoghi del collegamento in indagini” suscita molteplici perplessità.

Per un verso, il comma 2 dell'art. 23 obbliga gli indagati liberi a recarsi per forza presso gli uffici della polizia giudiziaria per il compimento degli atti di indagine a distanza che richiedano la loro presenza, mentre il comma 5 della medesima disposizione autorizza, invece, il prevenuto non in vinculis a partecipare alle udienze anche dallo studio del difensore, che ne accerta l'identità.

Ebbene, non è chiaro il senso di questa differenziazione.

Per altro verso, pare non coerente imporre a tutti i soggetti, chiamati a partecipare ad atti di indagini in remoto, di recarsi fisicamente nei commissariati o nelle questure.

Un obbligo così stringente non sembra, infatti, ragionevole, né dal punto di vista della tutela del diritto di cui all'art. 32 Cost., visto che pure la salute degli ufficiali e agenti di polizia deve essere salvaguardata esattamente come quella dell'autorità giudiziaria, né sotto il profilo strettamente identificativo, dal momento che, salvo casi eccezionali, è ben possibile comunque provvedere ad accertare le generalità del dichiarante.

Più ombre che luci nella disciplina delle indagini preliminari da remoto

Il decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, negli artt. 23 e 24 relativi alla gestione dell'emergenza COVID nel settore giustizia, suscita forti perplessità circa il metodo che ha condotto alla sua adozione.

Al riguardo si osserva che la tecnica del legislatore italiano è stata molto diversa da quella di altri suoi omologhi europei (e non solo) che hanno adottato un compendio normativo in materia di giustizia virtuale valido per tutta la durata della crisi sanitaria, mentre il legislatore nostrano ha scelto di attribuire alle previsioni sul punto una durata cronologicamente molto più contenuta, informatizzando il processo, in modo più o meno esteso, a seconda dell'aumentare o del ridursi del numero dei malati.

Tale modo di procedere ha avuto quale effetto collaterale quello di portare allo stratificarsi di una selva, difficilmente governabile, di provvedimenti emergenziali sul punto, di cui il d.l. 28 ottobre n. 137 (c.d. decreto Ristori), rappresenta soltanto l'ultimo approdo.

D'altra parte, per rendersi conto delle storture che ha prodotto il susseguirsi continuo di novelle, è sufficiente ricordare come il più recente provvedimento normativo sia stato emanato a soli venti giorni di distanza dal d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, il quale aveva prorogato fino al 31 dicembre 2020 la vigenza di una disposizione, oggi abrogata dal d.l. 137/2020, che, in quanto pensata per regolare la fase recessiva del contagio avutasi nell'estate, contemplava un'informatizzazione assai meno intensa della giustizia penale di quella che vedremo caratterizzare le norme da ultimo approvate.

Inoltre, il decreto è stato anticipato, infatti, da un documento congiunto, sottoscritto dall'Unione delle Camere Penali Italiane e da alcuni Procuratori di importanti distretti, recependone in modo quasi pedissequo i contenuti, alcuni dei quali appaiono del tutto inadeguati a fronteggiare la diffusione del contagio nei Tribunali.

Il documento bilaterale in questione, oltre a richiedere opportuni interventi normativi finalizzati a gestire in modo più sicuro la fase delle indagini e le interlocuzioni tra PM e difesa, si avventura, senza alcun coinvolgimento della magistratura giudicante, nell'indicazione delle modalità ritenute apoditticamente più opportune per la gestione della ben più complessa fase del giudizio.

Al punto 4, in particolare, pur ipotizzando l'accesso ad una trattazione cartolare o da remoto di alcune udienze, ne limita drasticamente la portata, richiedendo, nella sostanza, che, nonostante l'indubbia acutizzazione dei contagi negli ambienti giudiziari, i processi vengano comunque trattati, nella quasi totalità, con la modalità ordinaria.

Inoltre, occorre evidenziare che, il continuo ricorso alla decretazione d'urgenza, con disposizioni dettate a più riprese, addirittura a distanza di pochissimi giorni tra un intervento e l'altro, oltre a manifestare l'evidente mancanza di un chiaro disegno ispiratore – con risultati evidenti sotto il profilo della coerenza sistematica dei provvedimenti emanati – non faccia altro che determinare il negativo effetto di un caotico affastellamento normativo, costringendo l'interprete a districarsi in una vera e propria selva di disposizioni eterogenee, prive di unitarietà, razionalità e, soprattutto, come vedremo, di effettività.

In conclusione il nuovo intervento legislativo, oltre a mancare di organicità rispetto al quasi coevo intervento di cui al d.l. n. 137/2020 , non solo non ha previso misure ben più incisive, che colmino le lacune e correggano le storture del precedente, ma ha complicato ancora di più il già complesso panorama normativo, senza prevedere misure logiche, coerenti ed efficaci che consentano lo svolgimento dell'attività giudiziaria nell'attuale fase di recrudescenza dell'emergenza sanitaria.

Tra le criticità relative alla fase delle indagini preliminari si evidenzia: a) la mancata eliminazione del “potere di veto” delle difese sulle attività di indagine “da remoto”; b) la mancata introduzione della possibilità che in fase di indagini preliminari la persona offesa, l'indagato, i consulenti tecnici e gli esperti di cui si avvalgono il P.M. e la P.G. possano partecipare agli atti o essere sentite, rispettivamente, anche in collegamento dallo studio del difensore che li assiste oppure dal proprio studio professionale; c) la mancata previsione espressa del deposito telematico degli atti anche da parte della polizia giudiziaria; d) la mancata autorizzazione ai soggetti privati (non detenuti) a partecipare agli atti di indagine anche da luoghi diversi dagli uffici della P.G.

Ciò fornisce, insomma, una precisa riprova di come il legislatore processuale ha “navigato a vista”, trovandosi costretto a inseguire la curva pandemica.

Guida all'approfondimento

M. AGOSTINI-M. PETRINI, Decreto legge Ristori le disposizioni emergenziali per l'esercizio dell'attività giurisdizionale, in www.giustiziainsieme.it;

G. DE LUCIA, Diritto penale e garanzie costituzionali supreme, in www.dirittoconsenso.it;

M. GIALUZ-J. DELLA TORRE, D.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale: sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza, in www.sistemapenale.it;

D. GRUNIERI, Decreto ristori: analisi delle norme che il interessano il settore penale, in www.ilprocessotelematico.it;

S. LORUSSO, Il cigno nero del processo penale, in www.sistemapenale.it;

A. MARANDOLA, Il “pacchetto giustizia” del d.l. Ristori: nuove misure per limitare gli effetti pandemici nelle aule di giustizia, in www.ilpenalista.it;

G. PESTELLI, d.l. 137/2020 (c.d. Ristori): i nuovi interventi sulla procedura penale e l'ordinamento penitenziario, in www.quotidianogiuridico.it;

M. REALI, Decreto ristori in G.U.: le novità apportate al processo da remoto, in www.quotidianogiuridico.it.

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