Alle Sezioni Unite l'individuazione del giudice competente sul reclamo avverso i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno
12 Gennaio 2021
Massima
Va rimessa la causa al Primo presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, involgendo essa la seguente questione: se la competenza della corte d'appello sul reclamo, prevista dall'art. 720-bis c.p.c., sussista per qualsiasi provvedimento pronunciato dal giudice tutelare con riguardo alla misura dell'amministrazione di sostegno, in deroga all'art. 739 c.p.c., oppure se tale speciale competenza per l'impugnazione sussista unicamente per i provvedimenti del giudice tutelare aventi natura decisoria, ferma restando la competenza del tribunale, alla stregua della disposizione comune predetta. Il caso
Con ordinanza del 5.6.2018 la Corte d'appello di Catania, chiamata a pronunciarsi sul reclamo proposto avverso un decreto del giudice tutelare di apertura di un'amministrazione di sostegno e di scelta del soggetto a cui conferire l'incarico, ha sollevato conflitto negativo di competenza, rimettendo alla Corte di cassazione il compito di determinare quale sia il giudice competente a decidere sul reclamo. La Corte d'appello di Catania ritiene, infatti, che il Tribunale di Siracusa abbia erroneamente dichiarato la propria incompetenza, essendo l'oggetto del reclamo limitato all'individuazione della persona chiamata a svolgere le funzioni di amministratore di sostegno e non già diretto a contestare l'apertura della misura di protezione in questione. Non avendo natura decisoria, il provvedimento del giudice tutelare non può, dunque, secondo la Corte d'appello di Catania, essere impugnato innanzi alla medesima, non trovando applicazione l'art. 720-bis c.p.c., bensì l'art. 739 c.p.c.. La questione
Con l'ordinanza in esame la sesta sezione della Corte di cassazione rimette al Primo presidente, affinché valuti l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite, la questione circa l'interpretazione e il rapporto intercorrente tra l'art. 720-bis c.p.c., rubricato «norme applicabili ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno» che, al secondo comma, dispone che «contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d'appello a norma dell'articolo 739» e l'art. 739 c.p.c., rubricato “reclami delle parti”, ai sensi del quale «contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio». La sesta sezione osserva, infatti, come sussista un contrasto giurisprudenziale in seno alla stessa Corte di cassazione, tale da richiedere un intervento delle Sezioni unite volto a definire un orientamento uniforme, con il precipuo fine di assicurare la certezza del diritto, trattandosi di questione attinente all'interpretazione di una regola processuale ed essendo «il processo non un fine in sé, ma un puro strumento per l'affermazione, il più efficiente ed effettiva possibile, della tutela dei diritti e degli interessi». Le soluzioni giuridiche
Prima di affrontare il merito della questione, l'ordinanza in esame intende confermare l'ammissibilità del regolamento di competenza sollevato d'ufficio dal giudice remittente anche nel caso in cui il provvedimento impugnato non sia caratterizzato da decisorietà e definitività. La Suprema Corte ricorda, infatti, come il regolamento di competenza si configuri, nella specie, non già come un mezzo di impugnazione, bensì come uno strumento volto a sollecitare l'individuazione del giudice naturale precostituito per legge, al quale compete, ex art. 25 Cost., la trattazione dell'affare, in via interinale o provvisoria ma comunque esclusiva. Proprio tale peculiare funzione consente di escludere che sia necessario che l'atto reclamato che ha dato luogo al conflitto di competenza debba essere, al contempo, impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. o con regolamento di competenza ad istanza di parte. Chiarito tale aspetto, la pronuncia in esame si sofferma sul contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all'interpretazione dell'art. 720 bis c.p.c.. Secondo un primo orientamento, consolidatosi nel corso di un decennio e assolutamente maggioritario, la previsione di cui al secondo comma della norma de qua, che individua la corte d'appello quale giudice competente a decidere sull'impugnazione esperita avverso i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, deve ritenersi limitata a quei provvedimenti aventi carattere decisorio, come tali idonei ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus (Cass. sez. VI, 12 dicembre 2018 n. 32071; Cass. 28 settembre 2017 sez. I n. 22693; Cass. sez. I, 13 gennaio 2017 n. 784; Cass. sez VI, 29 ottobre2012 n. 18634). Secondo tale orientamento, occorre dunque distinguere tra provvedimenti di apertura e chiusura della procedura, assimilabili per loro natura alle sentenze emesse nei procedimenti di interdizione e inabilitazione, e quelli riguardanti le modalità di attuazione della tutela e la concreta gestione del patrimonio del beneficiario. Solo nei confronti dei primi, in quanto incidenti sullo status e sui diritti fondamentali della persona beneficiaria, troverebbe applicazione l'art. 720-bis c.p.c., con conseguente competenza della corte d'appello. Negli altri casi, trattandosi di decreti aventi portata meramente ordinatoria e amministrativa, sempre modificabili e revocabili in base ad una rinnovata valutazione degli elementi acquisiti, troverebbe applicazione la più generale disposizione di cui all'art. 739 c.p.c., che prevede la proponibilità del reclamo dinanzi al tribunale in composizione collegiale. Tra questi provvedimenti rientrerebbero anche quelli di designazione, revoca e sostituzione dell'amministratore di sostegno, in quanto non incidenti sullo status o su diritti fondamentali del beneficiario della tutela, ma volti esclusivamente a individuare il soggetto cui è demandata in concreto la cura della sua persona e dei suoi interessi; peraltro, secondo tale orientamento, nessun rilievo può assumere l'eventualità (piuttosto frequente) che tale individuazione abbia luogo contestualmente all'apertura della procedura e con il medesimo provvedimento, dovendosi in tal caso distinguere, nell'ambito di quest'ultimo, le determinazioni adottate dal giudice tutelare in ordine, rispettivamente, alle ragioni che giustificano il riconoscimento della tutela e quelle relative alla scelta della persona dell'amministratore di sostegno, affinché possa essere conseguentemente individuato il corretto regime di impugnazione (in tal senso, Cass. sez. VI, 12 dicembre 2018 n. 32071). Tale tesi si fonda principalmente su tre argomenti, di natura letterale, sistematica e teleologica:
A tale granitico orientamento si è posta in consapevole contrasto una recente pronuncia della prima sezione civile della Corte di cassazione (11.12.2019 n. 32409), la quale ha ritenuto non condivisibili gli approdi cui era giunta la giurisprudenza, anche di legittimità, in punto di interpretazione dell'art. 720-bis c.p.c., con conseguente superamento della bipartizione di competenza delineata in precedenza. Tale pronuncia fonda le proprie affermazioni sul carattere speciale della previsione contenuta nell'art. 720-bis c.p.c. rispetto alla disciplina generale risultante dall'art. 739 c.p.c.. Con l'art. 720-bis c.p.c., dedicato ai decreti del giudice tutelare "in materia di amministrazione di sostegno", il legislatore avrebbe infatti inteso concentrare presso la corte d'appello, mediante una disposizione che viene definita come “insuscettibile di una diversa interpretazione”, le impugnazioni avverso i provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, senza necessità di dover indagare la natura (decisoria o ordinatoria) dei relativi provvedimenti. Tale indagine sarebbe infatti necessaria solo rispetto alla eventuale successiva valutazione di ammissibilità del ricorso per cassazione, rispetto al quale verrebbe in rilievo la diversa tematica riguardante l'interpretazione dell'art. 111, comma 7, Cost. in relazione all'art. 720-bis, comma 3,c.p.c.. Osservazioni
L'ordinanza in esame affronta un tema di particolare rilievo per gli operatori del diritto che si confrontano quotidianamente con l'istituto dell'amministrazione di sostegno e con una disciplina che si rivela, talvolta, frammentaria e incompleta. Tale incompletezza normativa emerge in maniera evidente nel caso di specie, laddove la mancanza di un coordinamento tra l'art. 720-bis c.p.c., introdotto con legge n. 6/2004 istitutiva dell'amministrazione di sostegno, e il già esistente art. 739 c.p.c., ha indotto la giurisprudenza a intervenire mediante l'individuazione di un criterio interpretativo idoneo a delimitare il campo di applicazione delle predette disposizioni. Il criterio di riparto della competenza delineato nel corso degli anni dalla giurisprudenza maggioritaria e fondato sul binomio decisorietà-ordinatorietà, pur avendo il pregio di circoscrivere la competenza della corte di appello ai provvedimenti maggiormente significativi, ossia a quelli idonei ad incidere sullo status e sulla capacità delle persone, sconta tuttavia un certo margine di incertezza, in quanto rimette all'interprete una valutazione circa la natura decisoria o ordinatoria del provvedimento assunto dal giudice tutelare. Sebbene prima facie tale distinzione appaia piuttosto chiara e di agevole attuazione, la concreta incertezza che può sorgere in sede di interpretazione dei decreti del giudice tutelare risulta evidente laddove si pensi ad alcune pronunce che, pur aderendo alla tesi maggioritaria, hanno inteso estendere la portata di tale criterio interpretativo sino a ritenere impugnabili innanzi alla corte di appello provvedimenti ben diversi da quelli di mera apertura o chiusura della misura di protezione dell'amministrazione di sostegno. Il riferimento è in particolare all'interpretazione del criterio fornita dalla stessa giurisprudenza di legittimità in materia sanitaria e di cure mediche: la Suprema Corte ha infatti affermato la competenza della corte di appello a decidere sul reclamo, ai sensi dell'art. 720-bis c.p.c., nel caso in cui ad essere impugnato sia il provvedimento con cui il giudice tutelare si pronuncia sulla domanda di autorizzazione ad esprimere, in nome e per conto dell'amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche. In questo caso la competenza a conoscere del reclamo spetta, secondo la Corte di cassazione, alla corte di appello e non al tribunale, in quanto, pur non trattandosi di provvedimento incidente sullo status della persona beneficiaria (già attinto dal provvedimento di apertura della misura), trattasi di provvedimento idoneo a incidere su un diritto personalissimo di quest'ultima, assumendo, in tal senso, carattere senz'altro decisorio (sul punto, Cass. civ. sez. I, 7 giugno 2017, n.14158). Pur condivisibili, gli approdi cui giunge la giurisprudenza di legittimità in materia sanitaria e di cure mediche rappresentano la fonte di ulteriori dubbi interpretativi, considerato che i provvedimenti del giudice tutelare sono destinati ad incidere, potenzialmente, su ulteriori e differenti diritti fondamentali della persona, quali, ad esempio, il diritto di agire in giudizio, di contrarre matrimonio, di redigere testamento o di decidere il luogo ove porre il proprio domicilio. Su un altro fronte, giova rilevare come appaia contrario al principio di economia processuale prevedere che un medesimo provvedimento - quello di apertura della misura di protezione - possa al contempo essere oggetto di reclamo innanzi alla corte di appello e innanzi al tribunale in composizione collegiale, qualora contenga anche la nomina del soggetto incaricato e si intenda contestare non solo la sussistenza dei presupposti per l'adozione della misura, ma in via subordinata anche la scelta della persona dell'amministratore di sostegno. In tale ipotesi, una possibile soluzione sarebbe quella di ritenere applicabile il principio generale di concentrazione delle domande, il quale, rispondendo a esigenze di economia processuale e di rispetto del principio del simultaneus processus ispirato dall'art. 111 Cost., impone di individuare un unico giudice che sia competente a conoscerle entrambe. Nella scelta tra il tribunale e la corte di appello imposta dall'adesione alla soluzione testé prospettata, pare potersi sostenere che sia quest'ultima a essere chiamata a decidere in merito a tutte le domande proposte, dovendosi ritenere che nell'ipotesi in esame, lato sensu affine a quella di cui all'art. 40 c. 6 c.p.c. relativa alla connessione di cause di competenza del giudice di pace e del tribunale, la corte d'appello sia, non solo il giudice ontologicamente superiore, ma anche quello chiamato a decidere su una questione - la sussistenza dei presupposti per l'apertura della misura – il cui esito potrebbe automaticamente determinare la cessazione della materia del contendere in relazione alla scelta dell'amministratore di sostegno. Alla luce delle criticità esposte, sembra dunque doversi accogliere con favore l'interpretazione fornita dalla recente pronuncia della prima sezione della Corte di cassazione (Cass. 11 dicembre 2019 n. 32409), laddove, eliminando ogni margine di incertezza, attribuisce alla Corte di appello ogni decisione sui reclami proposti avverso i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno. A parere di chi scrive, tale interpretazione risulta preferibile, in quanto maggiormente aderente alla rubrica dell'art. 720-bis c.p.c. (che fa specifico riferimento all'amministrazione di sostegno), alla sua ratio legis e al dato letterale, oltre che giustificata, nel rapporto tra lo stesso art. 720-bis e l'art. 739 c.p.c., dalla specialità e posteriorità del primo rispetto al secondo. Del resto, il rinvio presente nel secondo comma dell'art. 720-bisall'art. 739 c.p.c. sembra confermare la volontà del legislatore di individuare, per l'amministrazione di sostegno, un giudice diverso da quello ordinariamente deputato a conoscere dei reclami avverso i decreti del giudice tutelare. Non potrà dunque che accogliersi con favore un intervento delle Sezioni unite teso a risolvere il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare.
Corte di Cassazione, sez. VI civile, 5.6.2020 – 26.8.2020 n. 17833 |