Donazioni indirette: non necessaria l'azione di simulazione per provarle
13 Gennaio 2021
Massima
La donazione indiretta è un contratto con causa onerosa, posto in essere per raggiungere una finalità ulteriore e diversa consistente nell'arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore; differisce dal negozio simulato in cui il contratto apparente non corrisponde alla volontà delle parti, che intendono, invece, stipulare un contratto gratuito. Ne consegue che ad essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione - che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo. Il caso
Tizio conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale la sorella Caia, affinché, previo inventario dei beni mobili ed immobili relitti, nonché dei titoli e delle somme di denaro appartenenti alla madre deceduta, fosse disposta la collazione dei beni entrati a vario titolo nella disponibilità della convenuta, con la condanna della stessa, previo rendiconto dell'eredità relitta, al pagamento del controvalore della sua quota di legittima. A sostegno della domanda, l'attore esponeva che la madre Sempronia con testamento aveva attribuito alla convenuta la legittima oltre che la disponibile, disponendo altresì che alla stessa dovessero esser assegnati tutti i beni mobili ed immobili caduti in successione, dovendo soddisfare in denaro la quota di legittima dell'attore. Si costituiva la convenuta che chiedeva determinarsi l'ammontare della quota di riserva dell'istante, previa però detrazione delle passività e dei debiti gravanti sullo stesso attore. All'esito dell'istruttoria, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea, rilevando che, avuto riguardo ai debiti dei quali la de cuius aveva effettuato riconoscimento, non poteva tenersi conto del valore della nuda proprietà dell'appartamento oggetto di vendita tra madre e figlia, posto che il prezzo pagato corrispondeva al reale valore del bene, sicché tenuto conto della dimostrazione dell'avvenuta estinzione del debito della figlia nei confronti della madre, e del credito invece vantato dalla de cuius nei confronti del figlio, non risultava alcuna lesione della quota di legittima, la quale era stata già tacitata per effetto della cessione a titolo gratuito di un'attività di tabaccheria effettuata dalla defunta in favore dello stesso attore. Avverso tale sentenza Tizio proponeva appello. La Corte d'Appello, in riforma della decisione gravata, determinava la quota di legittima dell'appellante, condannando l'appellata al pagamento del relativo importo oltre interessi a far data dall'apertura della successione, nonché al rimborso delle spese del doppio grado. La Corte distrettuale, riassunto il contenuto delle disposizioni di ultima volontà, riteneva fondate le doglianze dell'appellante quanto al fatto che il Tribunale avesse escluso dall'asse il valore dell'appartamento oggetto di vendita tra la madre e la figlia, includendo invece il valore dell'azienda ceduta sempre dalla defunta in favore dell'attore. Tale soluzione aveva, infatti, determinato un'ingiustificata disparità di trattamento, atteso che, pur potendosi ipotizzare che con entrambi gli atti, apparentemente posti in essere a titolo oneroso, la madre avesse inteso favorire i figli, cedendo loro un bene ad un valore notevolmente inferiore a quello reale, tuttavia l'inclusione dei beni nei calcoli successori presupponeva a monte la proposizione di una domanda di simulazione. Né l'attore, in relazione all'appartamento, né la convenuta, in relazione all'azienda di tabaccheria, avevano chiesto di accertare la simulazione, il che quindi non permetteva di imputare alla quota dell'attore la differenza tra il prezzo corrisposto ed il reale valore della stessa azienda ceduta. Né poteva valorizzarsi la volontà della de cuius, con la quale faceva obbligo all'attore di imputare alal sua quota di riserva il valore di detta azienda, trattandosi di dichiarazione finalizzata a far considerare tale bene ai fini della collazione, ma senza che potesse assurgere al valore di controdichiarazione (e ciò anche a prescindere dal fatto che la controdichiarazione per costituire valida prova della simulazione debba essere sottoscritta da entrambi i contraenti del negozio simulato). Per la riforma di tale sentenza, Caia ricorre in Cassazione. La questione
Alle donazioni indirette si applicano i limiti alla prova testimoniale in materia di contratti e simulazione? Le soluzioni giuridiche
La ricorrente con il primo motivo di ricorso deduce che la sentenza ha erroneamente ravvisato una disparità di trattamento nella sentenza di primo grado quanto alla mancata inclusione nel donatum dell'appartamento oggetto della vendita intervenuta tra la de cuius e la ricorrente stessa ed invece la considerazione della cessione dell'azienda da parte della madre in favore dell'attore. Si evidenzia che in realtà le due situazioni sono in fatto notevolmente differenti, essendo insussistente la disparità tra il prezzo pagato per la nuda proprietà dell'appartamento ed il reale valore del bene, a fronte invece di un'evidente sproporzione tra il valore della tabaccheria e quanto invece risulta dal titolo di acquisto della controparte. Tale diversa situazione, anche ai fini del computo ai fini successori, emerge dalla dichiarazione resa dalla de cuius nel testamento, laddove esprime la volontà che l'assegnazione di tale azienda dovesse essere considerata quale liberalità. Si aggiunge poi che tale ipotesi di liberalità, realizzata tramite un negotium mixtum cum donatione, si configura alla stregua di una donazione indiretta, per il cui accertamento non è necessario, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte distrettuale, l'esercizio dell'azione di simulazione. La Suprema Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata. In particolare, i Giudici di legittimità ritengono la doglianza fondata nella parte in cui denuncia la violazione di legge in ordine alla qualificazione come negozio simulato della vendita dell'azienda di tabaccheria effettuata dalla madre in favore del figlio per un prezzo asseritamente incongruo rispetto al reale valore venale del bene. La vicenda deve più correttamente inquadrarsi nell'istituto del negotium mixtum cum donazione. Nei contratti di scambio, la donazione indiretta è configurabile solo a condizione che le parti abbiano volutamente stabilito un corrispettivo di gran lunga inferiore a quello che sarebbe dovuto, con l'intento, desumibile dalla notevole entità della sproporzione tra il valore reale del bene e la misura del corrispettivo, di arricchire la parte acquirente per la parte eccedente quanto pattuito. Infatti, nel negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indiretta. Pertanto, per la validità di tale negotium non è necessaria la forma della donazione ma quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti, sia perché l'art. 809 c.c., nel sancire l'applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c., non richiama l'art. 782 c.c., che prescrive la forma dell'atto pubblico per la donazione, sia perché, essendo la norma appena richiamata volta a tutelare il donante, essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l'intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità diverse. La differente modalità che con la donazione indiretta si intende percorrere per favorire l'arricchimento del donatario ha consentito lucidamente alla più risalente giurisprudenza di tracciare i confini che delimitano tale ipotesi da quella differente della simulazione, essendosi chiarito che col negozio mixtum cum donatione le parti addivengono ad una donazione indiretta valendosi del negozio che esse dichiarano di porre in essere, e che effettivamente stipulano, per ottenere uno scopo che diverge dalla causa o funzione tipica del negozio medesimo, mentre nella simulazione relativa si stipula apparentemente un negozio, mentre, in realtà, se ne pone in essere un altro con esso incompatibile. Alle due ipotesi corrispondono, per quanto attiene alla volontà delle parti, situazioni di fatto diverse. L'esonero per la donazione indiretta dalla necessità del rispetto del requisito della forma imposta a pena di nullità per la donazione, attesa l'effettiva conclusione del diverso contratto, tramite il quale le parti intendono conseguire il risultato pratico della donazione, rende ancor più evidente la differenza con la diversa ipotesi della simulazione relativa, realizzata mediante la conclusione di un contratto oneroso che in realtà dissimula una donazione, nella quale l'arricchimento investe l'intero valore del bene alienato, e non già, come nell'ipotesi qui in esame, la sola differenza tra il valore effettivo del bene ed il prezzo dichiarato ed effettivamente versato. Ciò spiega anche la ragione per la quale, ove sia posta in essere una simulazione relativa nei termini ora indicati, la forma imposta dalla legge per la donazione debba essere rivestita dal contratto simulato, a pena di nullità della donazione dissimulata. Nella simulazione le parti creano un'apparenza al fine di celare all'esterno quale è il loro effettivo programma negoziale, mentre nella donazione indiretta, sub specie di negotium mixtum, l'atto di vendita è effettivamente voluto, quanto meno per la parte coperta dal prezzo effettivamente versato, configurandosi la donazione solo per la parte di valore del bene consapevolmente e volutamente destinata a non trovare una corrispondenza nella controprestazione del donatario, che in tal modo viene arricchito. Avendo parte ricorrente chiaramente dedotto che in realtà il fratello era stato già beneficiato in vita di una donazione indiretta, il cui valore risultava in grado di tacitare i diritti alla quota di riserva, ed avendo lo stesso giudice di appello chiaramente ricondotto la fattispecie ad un'ipotesi di negotium mixtum cum donatione, è erronea la soluzione della Corte distrettuale che ha ritenuto tale accertamento precluso per la mancata proposizione dell'azione di simulazione, azione che invece non si addice alla vicenda sub iudice. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata.
Osservazioni
Si ha negotium mixtum cum donazione quando in un negozio oneroso una delle prestazioni è notevolmente inferiore a quanto dovuto e chi la riceve volontariamente intende in tal modo arricchire l'altra. Fattispecie tipica di donazione mista è la vendita in cui le parti hanno volutamente stabilito un prezzo di gran lunga inferiore all'effettivo valore del bene, con l'intento, desumibile dalla notevole entità della sproporzione tra il valore reale del bene e la misura del corrispettivo, di arricchire la parte acquirente per la parte eccedente quanto pattuito (Cass. 19 marzo 2019, n. 7681). Il negotium mixtum cum donatione rientra nella più ampia categoria delle donazioni indirette in quanto anche in questa figura una delle parti ha l'intenzione di arricchire l'altra e realizza questo scopo attraverso un atto diverso dalla donazione tipica. Più precisamente, attraverso l'utilizzazione della compravendita, si realizza il fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo (Cass. 7 giugno 2006, n. 13337). In tal senso, ci si trova in presenza di una situazione giuridica particolare, connotata dal fatto che le parti adottano lo schema tipico di un contratto oneroso con l'ulteriore intento di far conseguire ad una di esse un arricchimento a titolo gratuito, in modo tale da piegare la causa tipica del contratto stipulato alla realizzazione di una finalità di liberalità (Cass. 17 novembre 2010, n. 23215). Tale principio è ormai consolidato e pacifico in giurisprudenza, ribadito recentemente anche da una nota pronuncia a Sezioni Unite, secondo cui “donazione indiretta può aversi anche quando le parti di un contratto oneroso fissino un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene trasferito ovvero un prezzo eccessivamente alto, a beneficio, rispettivamente, dell'acquirente o dell'alienante. In tal caso, infatti, il contratto di compravendita è stipulato dalle parti soltanto per conseguire - appunto, in via indiretta, attraverso il voluto sbilanciamento tra le prestazioni corrispettive - la finalità, diversa ed ulteriore rispetto a quella di scambio, consistente nell'arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che beneficia dell'attribuzione di maggior valore (Cass., Sez. Unite, 27 luglio 2017, n. 18725). Nel negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto mantiene dunque natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indiretta (Cass. 3 novembre 2009, n. 23297). In sostanza, l'eventuale sproporzione tra valore del bene alienato e prezzo aggiunge un motivo di liberalità, per la differenza, allo schema del negozio utilizzato, ma non esclude la natura onerosa dello stesso negozio ed ancor meno la stessa causa (Cass. 2 settembre 2009, n. 19099; Cass. 30 gennaio 2007, n. 1955). La giurisprudenza ha però chiarito che la vendita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non realizza, di per se stessa, un negotium mixtum cum donatione, essendo necessario non solo che sussista una sproporzione tra le prestazioni, ma anche che questa sia d'entità significativa, ed, inoltre, che la parte alienante sia stata consapevole dell'insufficienza del corrispettivo percepito rispetto al valore del bene ceduto e abbia, ciò nonostante, voluto il trasferimento della proprietà e l'abbia voluto allo specifico fine d'arricchire la controparte acquirente della differenza tra il detto valore e la minore entità del corrispettivo (Cass. 23 maggio 2016, n. 10614). In altri termini, il negotium mixtum cum donatione è caratterizzato dalla consapevolezza di una sproporzione di significativa entità tra le prestazioni e dalla sua volontaria accettazione da parte dell'alienante, in quanto indotto al trasferimento del bene pur a tale condizione da animus donandi nei confronti dell'acquirente (Cass. 29 settembre 2004, n. 19601). In tal caso l'oggetto della donazione è rappresentato esclusivamente dalla differenza fra il valore di mercato del bene ed il prezzo effettivamente versato (Cass. 17 aprile 2019, n. 10759; Trib. Napoli 1° marzo 2002); ne consegue, in caso di revocazione della liberalità, che solo quella differenza deve essere restituita al venditore-donante (Cass. 21 ottobre 1992, n. 11499). Analogamente, la Cassazione ha affermato che nella compravendita a prezzo di favore, integrante negotium mixtum cum donatione, la differenza tra il prezzo effettivo e il valore di mercato del bene trasferito, consapevolmente voluta, rappresenta la misura della liberalità in un contratto unitario di carattere esclusivamente oneroso; è dunque palese non solo la misura, ma anche l'oggetto stesso della donazione è da individuare - pure ai fini della futura collazione - in tale differenza di importi, la quale si rapporta a elementi perfettamente omogenei, in quanto entrambi espressi in termini pecuniari (Cass. 27 gennaio 2003, n. 1153). La Cassazione ha affermato con orientamento unanime – e lo ribadisce anche nella sentenza in commento – il principio secondo cui il regime formale della forma solenne (fuori dai casi di donazione di modico valore di cosa mobile, dove, ai sensi dell'art. 783 c.c., la forma è sostituita dalla traditio) è esclusivamente proprio della donazione tipica, e risponde a finalità preventive a tutela del donante, per evitargli scelte affrettate e poco ponderate, volendosi circondare di particolari cautele la determinazione con la quale un soggetto decide di spogliarsi, senza corrispettivo, dei suoi beni. Per la validità delle donazioni indirette, invece, non è richiesta la forma dell'atto pubblico, essendo sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l'art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c., non richiama l'art. 782 c.c., che prescrive l'atto pubblico per la donazione (ex multis, Cass. 28 febbraio 2018, n. 4682; Cass. 16 marzo 2004, n. 5333). La Suprema Corte nella sentenza in commento ribadisce il principio, anche di recente riaffermato, secondo cui la donazione indiretta differisce dal negozio simulato in quanto nel primo caso l'atto di vendita è effettivamente voluto, quanto meno per la parte coperta dal prezzo effettivamente versato, configurandosi la donazione solo per la parte di valore del bene consapevolmente e volutamente destinata a non trovare una corrispondenza nella controprestazione del donatario, che in tal modo viene arricchito; al contrario, nel caso della simulazione le parti creano un'apparenza al fine di celare all'esterno quale è il loro effettivo programma negoziale, cioè le parti concludono un contratto oneroso che in realtà dissimula una donazione, nella quale l'arricchimento investe l'intero valore del bene alienato. Il contratto apparente non corrisponde dunque alla volontà delle parti. In altri termini, nella donazione simulata si ha una divergenza tra volontà delle parti e dichiarazione, mentre nella donazione indiretta le parti hanno effettivamente voluto il negozio stipulato, ma la liberalità è stata attuata, anziché mediante il tipico negozio della donazione diretta, mediante un negozio oneroso (Cass. 18 luglio 2019, n. 19400). Ai fini della prova della sussistenza della donazione indiretta, la Suprema Corte ha precisato che solo nella donazione diretta l'animus donandi deve emergere direttamente dall'atto (pubblico: art. 782 c.c.) che (con salvezza della donazione di bene mobile di modico valore), sotto pena di nullità, la contiene; nella donazione indiretta, invece, la liberalità si realizza, anziché attraverso il negozio tipico di donazione, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l'effetto dell'arricchimento del destinatario, sicché l'intenzione di donare emerge non già, in via diretta, dall'atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall'esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne abbia interesse (Cass. 28 febbraio 2018, n. 4682). La diversa natura della donazione indiretta rispetto al negozio simulato incide significativamente sulla prova dell'animus donandi. La Cassazione precisa infatti - ed è questo a nostro avviso l'elemento di maggiore interesse nella pronuncia in commento - che alla donazione indiretta non si applicano i limiti alla prova testimoniale in materia di contratti e simulazione: “non possono alla donazione indiretta applicarsi i limiti alla prova testimoniale previsti per la simulazione né, dal momento che la disciplina della donazione indiretta prescinde dallo strumento giuridico adoperato dalle parti, possono ritenersi applicabili ad essa i limiti alla prova per testi previsti per il negozio giuridico realizzato dalle parti per conseguire il risultato indiretto (nel caso in esame, la compravendita), al fine di ricercare una volontà che è fuori da quel negozio, ispirantesi ad una causa diversa dalla donazione” (Cass. 15 gennaio 2003, n. 502). La Cassazione ha tuttavia più volte precisato che l'erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius, diretta a dissimulare, in realtà, una donazione, agisce per la tutela di un proprio diritto ed è terzo rispetto alle parti contraenti, sicché la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limiti quando, sulla premessa che l'atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di riserva, proponga contestualmente all'azione di simulazione una domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso (Cass. 22 settembre 2014, n. 19912; Cass. 4 aprile 2013, n. 8215; Cass. 9 maggio 2019, n. 12317; Cass. 31 luglio 2020, n. 16535).
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