Conversione in legge del decreto Ristori e analisi delle disposizioni dell’art. 24

Daniele Grunieri
15 Gennaio 2021

Il decreto Ristori, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, è stato convertito in legge n. 176/2021. Per quanto riguarda il settore giustizia, va focalizzata l'attenzione sull'art 24, denominato "Disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Introduzione

Il decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (cd. decreto Ristori) recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, è stato convertito in legge con modificazioni.

La legge è la n. 176 ed è in vigore dal 25 dicembre 2020 e, fino al 30 aprile 2021 (la data del 31 gennaio 2021 è stata prorogata dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 2/2021).

L'obbligo di depositare le memorie, i documenti, le richieste e le istanze

Per quanto riguarda il settore giustizia, va focalizzata l'attenzione sull'art 24, denominato "Disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”.

La semplificazione ha riguardato in primo luogo l'obbligo di depositare le memorie, i documenti, le richieste e le istanze indicate dall'art. 415-bis, comma 3, c.p.p. presso gli uffici di Procura esclusivamente con deposito dal Portale del Processo Penale Telematico individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia e con le modalità stabilite nel medesimo provvedimento.

Si tratta in sostanza delle facoltà, esercitabili nel termine di venti giorni dal perfezionamento della notifica, che la norma citata conferisce all'indagato e che indica nell'avviso di conclusione delle indagini. Più specificatamente, si tratta della facoltà di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

È abbastanza evidente che si tratta di un atto rilevantissimo per l'indagato, nella maggior parte dei casi prodromico alla decisione del Pubblico Ministero di esercitare l'azione penale.

Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali secondo le modalità stabilite dal provvedimento.

Coordinando le norme dei diversi decreti emergenziali succedutisi durante l'emergenza epidemiologica, la norma in commento ha stabilito che, con uno o più decreti del Ministro della Giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per i quali sarà reso possibile il deposito telematico con le modalità appena descritte.

Permane l'ampia possibilità fino al 30 aprile 2021, disciplinata dal comma 4 della norma, di depositare con valore legale e con l'invio all'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati tutti gli atti, documenti e istanze - comunque denominati - ma diversi da quelli (ora) indicati nei commi 1 e 2.

Tali indirizzi PEC degli uffici giudiziari ove le parti possono depositare devono essere indicati in un apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel Portale dei Servizi Telematici.

Si ricorderà che il provvedimento del Direttore della D.G.S.I.A. del 9 novembre 2020 aveva previsto le specifiche tecniche che gli atti trasmessi via PEC: gli stessi devono essere in formato PDF; devono essere ottenuti da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti e senza possibilità di effettuare scansione di immagini; devono essere sottoscritti con firma digitale o firma elettronica qualificata.

Opportunamente la legge ha previsto che quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati (30 mega byte), il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata.

Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza.

I problemi interpretativi

La norma è noto aveva sollevato non pochi problemi interpretativi data la sua formulazione generica e onnicomprensiva.

Da più parti ci si era infatti chiesto se, contrariamente ad un orientamento diffuso della giurisprudenza di legittimità, fossero consentite anche impugnazioni inviate con tali modalità. Anche perché era apparso contraddittorio consentire la celebrazione “da remoto” delle udienze in Corte d'Appello e in Cassazione e non renderne possibile il deposito telematico dell'atto di impulso.

Sul punto, si ricorderà, la giurisprudenza era consolidata nel senso di escluderlo.

Ad esempio, è stata ritenuta inammissibile l'opposizione al provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata a mezzo di posta elettronica certificata, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell'assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica (Cass. sez. 4 sentenza n. 10682 del 19 dicembre 2019, dep. 27 marzo 2020). In tema di giudizio di appello, sono stati ritenuti inammissibili i motivi aggiunti trasmessi mediante posta elettronica certificata per l'assenza di un fascicolo telematico nel processo penale (Cass. Sez. 5 Sentenza n. 12949 del 5 marzo 2020, dep. 24 aprile 2020).

È stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dinanzi ad autorità giudiziaria diversa da quella competente a riceverlo e trasmessa a mezzo PEC all'ufficio competente da parte della cancelleria del giudice ove era stato depositato ai sensi dell'art. 582, comma 1, c.p.p. (Cass,. sez 6, 11 settembre 2019, n. 41283). Ciò sulla scorta del principio secondo cui l'art. 64 disp. att. c.p.p., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 c.p.p., tra i quali la PEC, riguarda solo la comunicazione degli atti del giudice; e non la trasmissione, a cura della cancelleria dell'ufficio giudiziario presso cui l'impugnazione è stata depositata, di un atto di parte, quale l'impugnazione.

Stessa “sorte” è stata sancita nella ipotesi in cui il difensore di fiducia del detenuto aveva inviato tramite PEC istanza di rinvio per legittimo impedimento (Cass. Sez. 1, 20 marzo 2019, n. 26877, dep. 18 giugno 2019). Oppure proposto via PEC impugnazione cautelare, sulla scorta del principio della tassatività delle modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p., espressamente richiamato dall'art. 309, comma 4, c.p.p. che, a sua volta, è richiamato dall'art. 310, comma 2, c.p.p., stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della PEC (Cass. Sez. 3, 13 aprile 2018, n. 38411, dep. 9 agosto 2018).

O, ancora, in caso di opposizione a decreto penale di condanna (Cass. Sez. 4, 23 gennaio 2018, n. 21056, dep. 11 maggio 2018; come noto assimilata alle impugnazioni.

Tali pronunce si fondavano sulla considerazione di carattere generale della assenza di una norma ad hoc regolatrice del processo penale telematico e della tassatività e non equipollenza dei mezzi di impugnazione, con tutte le ricadute immaginabili. Pur potendo il giudice, si era specificato, di fronte ad istanze definite “irricevibili”, comunque prenderle in considerazione, anche se trasmesse via PEC.

La fattispecie sulla quale la Corte si è pronunciata è relativa ad istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell'imputato (Cass. Sez. 6 Sentenza n. 2951 del 25 settembre 2019, dep. 24 gennaio 2020).

Di recente vi erano però state talune “aperture” giurisprudenziali (Cass. Sez. 2, 8 gennaio 2020, n. 4655, dep. 4 febbraio 2020): la richiesta di rinvio per adesione all'astensione dalle udienze proclamata dai competenti organismi della categoria può essere trasmessa anche a mezzo posta elettronica certificata alla cancelleria del giudice procedente. Ciò sulla base tra l'altro di una interpretazione conforme ai principi costituzionali in tema di diritto di difesa e diritto al contraddittorio e, comunque, di una interpretazione sistematica più rispondente alla evoluzione del sistema delle comunicazioni e notifiche e alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo. Si è però pure precisato che l'utilizzo di tale irregolare modalità di trasmissione, definita non irricevibile né inammissibile, comporta l'onere per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della e-mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all'attenzione del giudice procedente (Cass. Sez. 6, del 19 aprile 2017, n. 35217 ).

Ma, a ben vedere, si era trattato di aperture giurisprudenziali legate a specifici casi e dettate in una materia delicatissima quale l'esercizio delle facoltà processuali della parte privata.

Del resto, in una delle ultime sentenze della Suprema Corte (Cass. 2020/12949) si è ribadito con forza che, a differenza di quanto previsto per il processo civile (l'art. 366, comma 2, c.p.c. ammette la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati), nel processo penale la posta elettronica certificata non è idonea per il deposito di memorie o altri atti processuali. Per la parte privata, nel processo penale, l'uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è consentito, poiché l'art. 2, comma 6, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 lascia intendere che le disposizioni dettate presuppongono che sia operante il processo telematico; ove questo non sia instaurato, come nel processo penale, appare erroneo ipotizzare l'applicazione di talune delle norme che, nella volontà del legislatore, si inscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali.

In definitiva, nel procedimento penale non esiste il fascicolo telematico, strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti, così l'uso del mezzo informatico per la trasmissione di atti endoprocessuali è consentito nei soli casi espressamente previsti dalla legge (Cass. Sez. 4, 23 gennaio 2018, n. 21056 ). Solo in presenza del fascicolo telematico gli atti inviati a mezzo pec dalle parti confluiscono nel fascicolo e sono automaticamente consultabili dall'autorità giudiziaria e dalle parti. A tal fine occorrerebbe che l'indirizzo di posta elettronica fosse presidiato mediante la destinazione di apposito personale che dovrebbe controllare costantemente l'arrivo dei messaggi e poi attivarsi per portare l'atto a conoscenza del giudice competente.

Questo lo “stato dell'arte” fino alla emergenza epidemiologica che, volente o nolente, ha influenzato in maniera rilevante il legislatore dell'emergenza che aveva “aperto” al deposito telematico di “tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati”, dizione che come anticipato aveva sollevato numerosi problemi interpretativi.

Si pensi tra i tanti alla proposizione del riesame avverso le misure cautelari personali.

Per affrontare la suddetta problematica interpretativa è opportunamente intervenuto il legislatore, inserendo nel provvedimento in esame i commi dal 6-bis al 6-undecies.

Le impugnazioni

Il comma 6-bis prevede che, fermo quanto previsto per la forma, la presentazione e la spedizione delle impugnazioni ordinarie (artt. 581, 582, comma 1, e 583 c.p.p.) quando il deposito di cui al comma 4 ha ad oggetto un'impugnazione (ma anche i motivi nuovi e le memorie ex comma 6 quater), l'atto in forma di documento informatico è presentato con la firma digitale secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale.

A pena di inammissibilità quindi l'impugnazione va redatta in forma di documento informatico:

  • sottoscritto digitalmente
  • con eventuali allegati prodotti anch'essi con firma digitale del difensore.

Con tali modalità e specifiche tecniche l'impugnazione deve essere trasmessa, tramite PEC, dall'indirizzo del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 4.

In tal caso, precisa la norma, non si applica la disposizione di cui all'art. 582, comma 2, c.p.p., che consente il deposito dell'impugnazione anche in un tribunale diverso da quello emittente il provvedimento che si sta impugnando (ossia le presentazione della impugnazione nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si “trovano” le parti private e i difensori, e non nella cancelleria del tribunale emittente il provvedimento gravato).

Quindi il comma 6-quinquies introduce una norma ulteriormente estensiva, dando la possibilità di firmare, trasmettere e proporre tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e, in quanto compatibili:

  • le opposizioni all'archiviazione,
  • le opposizioni a decreto penale di condanna,
  • l'opposizione in sede esecutiva per il caso in cui vi sia dubbio sull'identità fisica del condannato,
  • tutti i reclami previsti dalla legge sull'ordinamento penitenziario.

La norma apre quindi alla possibilità di procedere al deposito telematico delle:

  • richieste di riesame e di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali.

In tali casi, richiamando l'art. 309, comma 7, c.p.p., l'impugnazione, a pena di inammissibilità, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, è trasmessa all'indirizzo PEC del tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata di corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza impugnata.

Il richiamo al solo art. 309, comma 7, c.p.p., salvo una diversa interpretazione o correzione, appare riferirsi alle sole impugnazioni delle misure cautelari personali, sì da ritenere che allo stato le impugnazioni delle misure cautelari reali, la cui competenza è prevista su “base provinciale” - e non “distrettuale” come per le personali -, seguano la strada ordinaria.

L'impugnazione via PEC è inammissibile:

  • quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;
  • quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale;
  • quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui al comma 4;
  • quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;
  • quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'art. 309, comma 7, c.p.p. dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4.

In tali ipotesi lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato - si badi non il giudice della impugnazione ma il giudice che aveva emesso il provvedimento gravato - dichiara, anche di ufficio e con ordinanza, l'inammissibilità dell'impugnazione e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato.

Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti trasmessi tramite PEC ai sensi dei commi da 6-bis a 6-quinquies e della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo, la cancelleria provvede ad annotare nel registro la data di ricezione dell'atto e ad inserire nel fascicolo copia analogica dell'atto ricevuto, con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio.

Il comma 6-decies si è infine preoccupato di far salvi gli effetti delle impugnazioni proposte con tali modalità – in formato elettronico e con firma digitale – dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 137 (29 ottobre 2020).

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