La legge di conversione del d.l. Ristori e l'impatto sul procedimento penale

Luigi Giordano
18 Gennaio 2021

l 24 dicembre 2020 è stata pubblicata la legge 18 dicembre 2020, n. 176 di conversione del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, cd. “Decreto Ristori”.In sintesi, per quello che riguarda il procedimento penale questa legge: ha apportato alcune modifiche all'art. 23 del decreto-legge n. 137 del 2020, che disciplina le “Disposizioni per l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”;ha introdotto nel decreto-legge suddetto l'art. 23-bis, che ha introdotto le...
Premessa

Il 24 dicembre 2020 è stata pubblicata la legge 18 dicembre 2020, n. 176 di conversione del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, cd. “Decreto Ristori”.

In sintesi, per quello che riguarda il procedimento penale questa legge:

  • ha apportato alcune modifiche all'art. 23 del decreto-legge n. 137 del 2020, che disciplina le “Disposizioni per l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”;
  • ha introdotto nel decreto-legge suddetto l'art. 23-bis, che ha introdotto le “Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19”. In tale norma, nel riproporre il contenuto dell'art. 23 del decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149, cd. decreto “Ristori bis” (che è stato abrogato dall'art. 1, comma 2, della legge di conversione, con l'espressa previsione che “restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti”), è stato inserito il nuovo comma 7;
  • ha introdotto nel decreto-legge suddetto l'art. 23-ter, che disciplina le “Disposizioni sulla sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali, nonché sulla sospensione dei termini nel procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19”, ricalcando l'art. 24 del decreto-legge n. 149 del 2020 che, come si è detto, è stato abrogato;
  • ha apportato alcune – rilevanti - modifiche all'art. 24 del decreto-legge n. 137 del 2020, che regola le “Disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”. In questa norma, infatti, sono state inseriti una serie di commi, da 6-bis a 6-undecies, destinati a disciplinare specificamente la presentazione dell'impugnazione in via telematica.

Fonte: ilprocessotelematico.it

L'efficacia temporale delle nuove norme

Pare opportuno iniziare l'analisi delle novità normative indicando l'orizzonte temporale delle norme.

L'art. 23, comma 1, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito dalla legge n. 176 del 2020, delimita l'ambito temporale delle disposizioni dettate nei successivi commi da 2 a 9-quater, richiamando il termine previsto dall'art. 1 d.l. n. 19 del 2020, convertito nella legge n. 35 del 2020 che è fissato al 30 aprile 2021 (la data del 31 gennaio 2021 è stata prorogata dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 2/2021).

Alcune “marginali” modifiche alla disciplina delle udienze penali

Tra le modificazioni che la legge di conversione ha apportato al decreto-legge n. 137 del 2020 quella del comma 5 dell'art. 23 sulla disciplina delle udienze penali.

L'art. 23 cit., come è noto, stabilisce che possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia le udienze penali che non richiedono la partecipazione:

  • di soggetti diversi dal pubblico ministero;
  • dalle parti private;
  • dai rispettivi difensori;
  • dagli ausiliari del giudice.

La norma prevede una mera possibilità, che deve essere esercitata “con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti”. Quest'ultima previsione, sebbene potrebbe apparire una mera affermazione di principio, perché la legge non avrebbe potuto autorizzare la trattazione di un giudizio penale nel quale, in violazione dell'art. 111 Cost., non fosse garantito il rispetto dei principi fondamentali, costituisce una sorta di promemoria per il giudice che deve accertarsi che sia sempre attivo ed efficace il collegamento con la postazione remota delle parti, essendo comunque tenuto alla rinnovazione degli atti qualora tale collegamento non fosse stato in concreto idoneo a permettere l'interlocuzione ai soggetti del giudizio.

Sul piano organizzativo, poi, prima dell'udienza, il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento.

I difensori attestano l'identità dei soggetti assistiti, assumendo una funzione di pubblico ufficiale che non rappresenta una novità (Ai sensi dell'art. 83, comma 3, c.p.c., il difensore certifica l'autografia della sottoscrizione della procura rilasciatagli dal proprio assistito, svolgendo una funzione essenzialmente pubblicistica, come rilevato, ad esempio, da Cass. civ., 2 settembre 2015, n. 17473; per il reato configurabile nel caso di falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione della procura, si veda Cass. pen, 26 novembre 2020, n. 3135).

Gli imputati, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all'udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore. La partecipazione all'udienza dallo stesso luogo del difensore e dell'imputato pare rappresentare una delle regole minime per garantire il contraddittorio e per permettere lo svolgimento delle prerogative difensive, seppur potrebbe incidere sul diritto alla salute del difensore.

In caso di custodia dell'arrestato o del fermato in uno dei luoghi indicati dall'art. 284, comma 1, cod. proc. pen., la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all'udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile.

In tal caso, l'identità della persona arrestata o fermata è accertata dall'ufficiale di polizia giudiziaria presente. In questo caso, sul piano organizzativo, l'ausiliario del giudice partecipa all'udienza dall'ufficio giudiziario e dà atto nel verbale d'udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'art. 137, comma 2, cod. proc. pen. o di vistarlo, ai sensi dell'art. 483, comma 1, cod. proc. pen.

La formulazione della norma, che ricalca quella già prevista nei precedenti decreti-legge emergenziali, pare concedere al giudice di autorizzare una mera alternativa alla presenza in aula della persona ristretta agli arresti domiciliari (“anche”), comunque tale da consentire il collegamento con luoghi alternativi. Sembra allora possibile che la persona ristretta agli arresti domiciliari possa anche essere autorizzata a partecipare all'udienza recandosi presso il difensore, il quale deve essere munito delle attrezzature necessarie.

Con la legge di conversione del d.l. n. 137 del 2020 è stato stabilito che le disposizioni di cui all'art. 23, comma 5, si applicano, qualora le parti vi acconsentano, anche alle udienze preliminari e dibattimentali.

Resta esclusa, in ogni caso, l'applicazione delle disposizioni del presente comma alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonché alle ipotesi di cui agli articoli 392, 441 e 523 cod. proc. pen.

La riformulazione di questa parte della norma conduce definitivamente ad affermare che:

  • il collegamento da remoto è possibile, con il consenso delle parti, per le udienze preliminari e dibattimentali.

Al contrario, deve affermarsi che:

  • il collegamento da remoto non è mai possibile per le udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti;
  • il collegamento da remoto non è mai possibile per le udienze di discussione nei giudizi abbreviati e nel dibattimento;
  • il collegamento da remoto non è mai possibile per le udienze dedicate all'assunzione di un incidente probatorio (quest'ultima è una specificazione che è stata proprio introdotta dalla legge di conversione).

Dall'esame di questa disposizione consegue che residua uno spazio per lo svolgimento del giudizio di primo grado da remoto con imputati liberi alquanto stretto. Pare infatti che le sole udienze che possano essere svolte, per giunta con il consenso delle parti, sono quelle di mero rinvio (o dedicate alla mera ammissione delle prove) o quelle, talvolta previste da alcuni protocolli tra le parti, in certe sedi giudiziarie, di “mero smistamento”.

Sempre con il consenso delle parti, inoltre, è possibile trattare l'udienza preliminare (e questo sebbene in tali udienze nella maggior parte dei casi normalmente non debbano essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti).

La necessità del consenso, invero, pare implicare un interpello delle parti.

Non sembra che occorra necessariamente il consenso di tutte le parti, in quanto, nel rispetto della ratio della norma, che è quello di limitare i contatti, ben può verificarsi che l'udienza si svolga, in parte, “in presenza” e, in parte, con collegamenti “da remoto”.

La discussione “da remoto” nel giudizio disciplinare dei magistrati

L'art. 23, comma 9-ter, del d.l. n. 137 del 2020, introdotto dalla legge di conversione stabilisce che, in ragione delle limitazioni poste dalle misure anti-pandemiche, l'incolpato e il suo difensore possono partecipare all'udienza di cui all'art. 18 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, mediante collegamento da remoto, a mezzo dei sistemi informativi individuati e resi disponibili con provvedimento del direttore dell'ufficio dei sistemi informativi del Consiglio superiore della magistratura. Prima dell'udienza, la sezione disciplinare fa comunicare all'incolpato e al difensore, che abbiano fatto richiesta di partecipare da remoto, giorno, ora e modalità del collegamento.

Il giudizio penale di appello

L'art. 1, comma 2, della legge n. 176 del 2020 di conversione del decreto-legge n. 137 del 2020 ha disposto l'abrogazione del decreto-legge n. 149 del 2020, meglio conosciuto come decreto “Ristori bis”. Questo decreto aveva introdotto importanti disposizioni che riguardano il giudizio penale di appello.

Fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 d.l. n. 19/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35/2020, cioè fino al 31 gennaio 2021 (fino al 30 aprile 2021 ex art. 1, comma 1, d.l. n. 2/2021), “fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale”, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire.

La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della Corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2 (di fatto, per mezzo di PEC). Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza

La legge di conversione ha stabilito che le disposizioni sulla trattazione cd. “cartolare” del processo di appello si applicano, “in quanto compatibili”, anche nei procedimenti di prevenzione di cui agli artt. 10 e 27 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, e all'art. 310 cod. proc. pen.

In quest'ultimo caso, la richiesta di discussione orale di cui al comma 4 deve essere formulata entro il termine perentorio di cinque giorni liberi prima dell'udienza.

Le norme che permettono le conclusioni per iscritto delle parti, evitando la lor presenza in aula, non sembrano applicano al procedimento di esecuzione, che ai sensi dell'art. 666, comma 4, cod. proc. pen. presuppone la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero.

Le norme che permettono le conclusioni per iscritto delle parti, evitando la loro presenza in aula, non sembrano applicano al procedimento di esecuzione, che ai sensi dell'art. 666, comma 4, cod. proc. pen. presuppone la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero.

L'art. 23-bis, d.l. n. 137 del 2020, inoltre, ripropone la formulazione della norna previgente (“per la decisione sugli appelli contro le sentenze di primo grado”), che pare escludere l'applicazione del procedimento “cartolare” ai giudizi in tema di:

  • riparazione della ingiusta detenzione;
  • revisione;
  • mandato di arresto europeo.

Anche dopo la legge di conversione, infine, restano aperti una serie di quesiti interpretativi che erano stati evidenziati fin dai primi commenti, tra cui quello relativo alle conseguenze dell'omessa formulazione delle conclusioni “entro il decimo giorno precedente l'udienza” da parte del pubblico ministero (e sulla natura di tale termine, se “libero” e se “perentorio” o “ordinatorio” - come in verità sembra dover essere qualificato).

La presentazione dell'impugnazione in via telematica

La principale innovazione determinata dalla legge di conversione riguarda l'introduzione di norme specificamente destinate alla presentazione in via telematica dell'impugnazione.

L'art. 24, comma 4, del d.l. c.d. ristori, come è noto, ha previsto che “Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”.

Il successivo comma 5 ha stabilito che “Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità' della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio”.

Per l'attuazione di queste disposizioni, in data 9 novembre 2020, è stato adottato il “Provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, e le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”.

Questo provvedimento individua gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, del decreto-legge28 ottobre 2020, n. 137, e detta le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio (art. 1).

L'atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare per mezzo del servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari indicati nell'art. 2, è in formato PDF; è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata. I documenti allegati all'atto del procedimento in forma di documento informatico sono in formato PDF; le copie per immagine di documenti analogici hanno una risoluzione massima di 200 dpi (art. 3).

A seguito dell'introduzione del decreto-legge n. 137 del 2020 era stato prospettato che, almeno “fino alla scadenza del termine di cui all'art 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35”, e dunque, fino al 31 gennaio 2021 (fino al 30 aprile 2021 ex art. 1, comma 1, d.l. n. 2/2021), potesse essere spedita una impugnazione a mezzo PEC.

Era stato ritenuto, infatti, che, nel periodo emergenziale gli argomenti addotti a sostegno dell'inammissibilità della spedizione dell'impugnazione a mezzo PEC fossero ormai superati.

La Corte di cassazione, tuttavia, non pareva aver recepito tale interpretazione. È stato affermato, infatti, che l'art. 24, comma 4, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da Covid-19, trova applicazione esclusivamente in relazione agli atti di parte per i quali il codice di procedura penale non disponga specifiche forme e modalità di presentazione, stante la natura non derogatoria del suddetto comma rispetto alle previsioni sia del codice di procedura penale, sia del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla l. 22 febbraio 2010, n. 24, e sia anche del regolamento delegato adottato con decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, concernente le regole tecniche per il processo civile e penale telematici (Cass. pen., 3 novembre 2020 n. 32566, in una fattispecie in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto inammissibili i motivi nuovi trasmessi mediante posta elettronica certificata dal procuratore generale nell'ambito di giudizio ex art. 311 cod. proc. pen.).

La disciplina introdotta dalla legge di conversione del decreto-legge n. 137 del 2020

La legge di conversione del decreto-legge n. 137 del 2020 è intervenuta sul tema, introducendo una specifica disciplina per la spedizione in via telematica dell'impugnazione.

L'art. 24, comma 6-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, come introdotto dalla legge di conversione, infatti, ha stabilito che “Fermo quanto previsto dagli articoli 581, 582, comma 1, e 583 del codice di procedura penale, quando il deposito di cui al comma 4 ha ad oggetto un'impugnazione, l'atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale”.

La nuova norma, dunque, ha chiarito che tra “gli atti, documenti e istanze”, di cui all'art. 24, comma 4, dello stesso d.l. devono ricomprendersi anche gli atti di impugnazione.

Per tali atti, tuttavia, è necessario che:

  • l'atto in forma di documento informatico sia sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 (cioè, con firma digitale o firma elettronica qualificata, secondo le tipologie PAdES e CAdES; gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante (art. 3, comma 3, del provvedimento DGSIA citato).
  • l'impugnazione contenga la specifica indicazione degli allegati, che sono anche essi trasmessi in copia informatica per immagine. La copia deve essere sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale.

L'art. 24, comma 6-ter, del d.l. n. 137 del 2020, prevede che “L'impugnazione è trasmessa tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 4, con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate. Non si applica la disposizione di cui all'art. 582, comma 2, cod. proc. pen.".

Tale norma, quindi, ha chiarito che:

  • l'atto di impugnazione deve provenire dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore e deve essere inviato a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato. L'indirizzo PEC del difensore, come individuato dall'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, è quello “inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44”;
  • l'atto deve essere inviato all'indirizzo PEC dell'Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento che è quello indicato in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici.

La sottoscrizione con firma digitale e l'esclusivo utilizzo dell'indirizzo PEC del legale esclude qualsiasi incertezza sulla provenienza dell'atto, permettendo la verifica necessaria ai fini della valutazione della legittimazione del proponente.

La stessa disposizione, poi, ha precisato che non si applica la disposizione di cui all'art. 582, comma 2, cod. proc. pen., cioè la possibilità di presentare l'impugnazione nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace in cui si trovano le parti private o i difensori. Dell'applicazione di questa norma, invero, nel caso di spedizione dell'impugnazione in via telematica, non sussiste alcuna necessità.

Dal provvedimento DGSIA dapprima citato si desume che l'atto di impugnazione debba essere in formato PDF e debba essere ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti.

L'art. 24, comma 6-quater, del d.l. n. 137 del 2020, quindi, ha stabilito che “I motivi nuovi e le memorie sono proposti, nei termini rispettivamente previsti, secondo le modalità indicate nei commi 6-bis e 6-ter, con atto in formato elettronico trasmesso tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio del giudice dell'impugnazione, individuato ai sensi del comma 4”.

Tale norma, dunque, ha opportunamente esteso anche ai motivi nuovi e alle memorie la disciplina dell'invio telematico degli atti di impugnazione, evitando qualsiasi dubbio potesse ingenerarsi al riguardo.

L'art. 24, comma 6-quinquies, del d.l. n. 137 del 2020, inoltre, ha previsto che “Le disposizioni di cui ai commi 6-bis, 6-ter e 6-quater si applicano a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli articoli 410, 461 e 667, comma 4, del codice di procedura penale e ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, l'atto di impugnazione, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, è trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale”.

Tale norma, dunque, ha definito l'area operativa della presentazione dell'impugnazione in via telematica, prevedendo che essa si applichi:

  • a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati;
  • alle opposizioni di cui agli artt. 410, 461 e 667, comma 4, cod. proc. pen.
  • ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, che disciplina l'ordinamento penitenziario;

Nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, tuttavia, l'atto di impugnazione non va inviato all'indirizzo PEC dell'Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento, ma, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, va trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale distrettuale per il riesame di cui all'art. 309, comma 7, cod. proc. pen.

La formulazione di questa disposizione, invero, suscita notevoli incertezze.

Essa, infatti, fa riferimento alla spedizione in via telematica di una richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari non solo personali, ma anche reali. E' tuttavia indicato come ufficio giudiziario destinatario il solo tribunale di cui all'art. 309, comma 7, cod. proc. pen., cioè, il tribunale del luogo nel quale ha sede la Corte di appello o la sezione distaccata della Corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza) e non quello di cui all'art. 324, comma 5, cod. proc. pen., ossia, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento.

Sembra trattarsi di una mera svista.

Non avendo senso far trasmettere ad un Tribunale incompetente tali atti (quanto meno nei casi in cui il tribunale di cui all'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. non coincida con quello previsto dall'art. 324, comma 5, cod. proc. pen., competente in tema di impugnazione avverso i provvedimenti cautelari reali), pare preferibile ritenere che, in tema di impugnazione di provvedimenti cautelari reali, non possa trovare applicazione l'art. 24, comma 6-quinquies, d.l. n. 137 del 2020. Non potendo applicare questa norma, che espressamente deroga a quanto disposto dal precedente comma 6-ter, deve ritenersi applicabile quest'ultimo, con la conseguenza che l'impugnazione cautelare reale va trasmessa all'indirizzo di posta elettronica dell'ufficio che ha emesso il provvedimento.

L'art. 24, comma 6-sexies, del d.l. n. 137 del 2020, ancora, ha stabilito che “Fermo quanto previsto dall'art. 591 del codice di procedura penale, nel caso di proposizione dell'atto ai sensi del comma 6-bis l'impugnazione è altresì inammissibile:

a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;

b) quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale;

c) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui al comma 4;

d) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;

e) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4”.

Questa norma, dunque, ha integrato la disciplina dell'inammissibilità dell'impugnazione, presidiando il rispetto degli obblighi formali che sono imprescindibili per il funzionamento del sistema posto in essere, con particolare riguardo alla certezza della provenienza dell'impugnazione (derivante – si ribadisce - dalla sottoscrizione digitale e dall'impiego dell'indirizzo PEC del difensore come determinato in precedenza) e della conformità all'originale degli atti inviati a sostegno del gravame.

L'art. 24, comma 6-septies, del d.l. n. 137 del 2020, ha aggiunto che “Nei casi previsti dal comma 6-sexies, il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato dichiara, anche d'ufficio, con ordinanza l'inammissibilità dell'impugnazione e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato”.

È dunque il giudice che riceve l'impugnazione a mezzo PEC a dover dichiarare l'inammissibilità della stessa. L'espressione adoperata (“anche d'ufficio”) parrebbe lasciar presumere che possa essere accolta una segnalazione della controparte o possa essere provocata una interlocuzione con le altre parti.

L'art. 24, comma 6-octies, del d.l. n. 137 del 2020, ha previsto che “Le disposizioni del comma 6-sexies si applicano, in quanto compatibili, agli atti indicati al comma 6-quinquies”.

In forza di questa norma, dunque, le cause di inammissibilità si applicano “in quanto compatibili”, anche alle opposizioni di cui agli artt. 410, 461 e 667, comma 4, cod. proc. pen. ed ai reclami giurisdizionali in tema di disciplina penitenziaria previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354.

Va segnalato, poi, che la richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, come è stato indicato, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, va trasmessa all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale distrettuale per il riesame di cui all'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. In forza della clausola che limita l'applicazione dell'art. 24, comma 6-octies, del d.l. n. 137 del 2020, agli atti indicati al comma 6-quinquies “in quanto compatibili” e della stretta connessione della previsione dell'art. 24, comma 6-sexies, al comma precedente, pare corretto ritenere che sia lo stesso tribunale distrettuale, limitatamente all'impugnazione di provvedimenti cautelari personali, a dover dichiarare l'eventuale inammissibilità nei casi in esame (per quelli reali, invece, si è precisato che non pare possa ritenersi che l'impugnazione debba essere spedita a mezzo PEC al tribunale distrettuale di cui all'art. 309, comma 7, cod. proc. pen., quanto meno nei casi in cui questo ufficio non coincida con quello previsto dall'art. 324, comma 5, cod. proc. pen., competente in tema di impugnazione avverso i provvedimenti cautelari reali).

L'art. 24, comma 6-novies, del d.l. n. 137 del 2020, poi, ha stabilito che “Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti trasmessi tramite posta elettronica certificata ai sensi dei commi da 6-bis a 6-quinquies e della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo, la cancelleria provvede ai sensi del comma 5”.

Questa disposizione, sul piano pratico, impone alla cancelleria di provvedere:

  • ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico (alludendosi, evidentemente, al sistema TIAP-Document@);
  • all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio e dell'intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza.

Questo impegno richiesto alla cancelleria non costituisce una novità.

Nel caso di utilizzo delle forme “tradizionali”, infatti, l'art. 164 disp. att. cod. proc. pen. impone a coloro che propongono impugnazioni alcuni oneri. Le parti devono depositare le copie dell'atto di impugnazione occorrenti per la notificazione prevista dall'art. 584 del codice (comma 1), oltre a due copie dello stesso atto nel caso di appello e cinque copie nel caso di ricorso per cassazione (comma 2). Qualora questo onere non sia rispettato, la cancelleria provvede a realizzare le copie necessarie dell'atto pervenuto “a spese di chi ha presentato l'impugnazione”, come è testualmente previsto (art. 164, comma 3, disp. att. cod. proc. pen.).

Una particolare segnalazione merita il contenuto dell'art. 24, comma 6-decies, del d.l. n. 137 del 2020, secondo cui “Le disposizioni di cui ai commi da 6-bis a 6-novies si applicano agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Fino alla suddetta data, tuttavia, “conservano efficacia gli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, gli atti di opposizione e i reclami giurisdizionali in formato elettronico, sottoscritti digitalmente, trasmessi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente, ai sensi del comma 4”.

Molto opportunamente, dunque, la legge di conversione ha previsto l'esplicita salvezza delle impugnazioni proposte in via telematica dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 137 del 2020, purché l'atto sia stato sottoscritto in modo digitale (dunque, non sorga incertezza sul soggetto da cui proviene) e sia stato inviato alla PEC dell'ufficio giudiziario competente a riceverlo.

L'art. 24, comma 6-undecies, del d.l. n. 137 del 2020, inoltre, ha previsto che “Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le sole risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”.

La legge di conversione del d.l. n. 137 del 2020, infine, ha modificato anche l'art. 24, comma 4, del d.l. n. 137 del 2020, stabilendo che “Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al presente comma, il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza”.

Si tratta di una importante precisazione che permette di superare un notevole problema determinato dal superamento del limite di 30 MB fissato al momento nel provvedimento del Direttore della DGSIA.

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