Principi di diritto in tema di atti persecutori e misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa

Vittoria Marzucco
18 Gennaio 2021

Il delitto di cui all'art. 612-bis si configura solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a causare uno degli eventi alternativi previsti dalla norma: un evento di danno, consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita, un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l'incolumità proprio o di un prossimo congiunto. Ne consegue che, anche in sede cautelare, non è sufficiente l'accertamento di un quadro indiziario relativo alla sussistenza di atti molesti, ma occorre altresì valutare elementi indiziari relativi al nesso causale e all'evento.

Il delitto di cui all'art. 612-bis si configura solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a causare uno degli eventi alternativi previsti dalla norma: un evento di danno, consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita, un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l'incolumità proprio o di un prossimo congiunto. Ne consegue che, anche in sede cautelare, non è sufficiente l'accertamento di un quadro indiziario relativo alla sussistenza di atti molesti, ma occorre altresì valutare elementi indiziari relativi al nesso causale e all'evento.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 1541/21, depositata il 14 gennaio.

Atti persecutori e misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa dal reato. La sentenza in commento affronta contenuto e limiti interpretativi del reato di atti persecutori e della misura cautelare che spesso accompagna l'accertamento del predetto reato, ossia il divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da questa frequentati. Nella specie, la misura cautelare veniva applicata all'indagato per il reato di cui all'art. 612-bis, perché con condotte reiterate di molestia, con cadenza quotidiana interrompeva la fornitura del fratello ed alzava il volume della musica, disturbando il figlio nei suoi studi ed in generale inducendo nella famiglia della persona offesa un'alterazione delle proprie abitudini di vita. Sulla scorta di tale provvedimento, a seguito della conferma del Tribunale in funzione di Giudice di appello cautelare, il ricorrente propone ricorso per Cassazione, censurando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza posti alla base della misura.

Condotta persecutoria, nesso causale, evento: elementi ex art. 612-bis che devono sempre emergere dal ragionamento del giudice. La Suprema Corte accoglie il ricorso, fornendo altresì importanti principi di diritto dal carattere pratico. Nella specie, osservano i Giudici di legittimità, il tribunale aveva individuato le condotte persecutorie nei plurimi interventi dell'indagato sull'impianto di erogazione della fornitura idrica, nonché nelle immissioni sonore provenienti dalla sua abitazione, che avrebbero inciso sulle abitudini di vita della famiglia della persona offesa. Tale prospettazione è, secondo la Suprema Corte, insufficiente per supportare la fondatezza della tesi accusatoria sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto previsto dall'art. 612-bis. Quest'ultimo, essendo un reato di natura abituale e di danno, necessita della reiterazione dei comportamenti molesti i quali, inserendosi in una sequenza causale, determinano l'evento quale risultato della condotta persecutoria nel suo complesso. L'essenza dell'incriminazione si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa. In ragione di tali elementi caratterizzanti la fattispecie, si è affermato che il criterio distintivo tra reato di atti persecutori e quello di molestia o disturbo alle persone consiste proprio diverse conseguenze della condotta molesta, nel senso che il delitto di cui all'art. 612-bis si configura solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a causare uno degli eventi alternativi previsti dalla norma: un evento di danno, consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita, un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l'incolumità proprio o di un prossimo congiunto. Ne consegue che, anche in sede cautelare, non è sufficiente l'accertamento di un quadro indiziario relativo alla sussistenza di atti molesti, ma occorre altresì valutare elementi indiziari relativi al nesso causale e all'evento. Il suddetto evento è rinvenibile nel fatto che la persona offesa sia costretta, come conseguenza delle condotte persecutorie, a una alterazione delle proprie abitudini di vita, escludendo dunque quei fatti percepiti dalla vittima come fastidiosi o che l'abbiano portata a degli irrilevanti cambiamenti di vita. È evidente che una consistente alterazione delle abitudini di vita non può essere ravvisata - come invece ritenuto dal tribunale - nel disagio familiare conseguente alla intermittente erogazione dell'acqua e alle difficoltà del figlio della persona offesa nello studio.

Profili di legittimità della misura ex art. 282 ter c.p.p.. Sotto il profilo della legittimità della misura applicata, la Suprema Corte accoglie le doglianze difensive, censurando il provvedimento cautelare in diversi aspetti. In primo luogo, la misura di cui all'art. 282-ter prescrive all'indagato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una certa distanza da tali luoghi o dalla persona offesa stessa. La ratio della norma è quella di ampliare lo spazio di protezione della vittima a fronte di possibili contatti con l'aggressore. Al contempo, le esigenze di cautela contemplate dalla norma devono conciliarsi con i diritti della persona sottoposta a misura, nel senso che la compressione della libertà di movimento deve essere quella strettamente necessaria a tutelare la vittima nonché sufficientemente determinata, affinché sia chiaro all'obbligato la portata delle prescrizioni impostegli.
Nella vicenda in esame, invece, la funzione della misura è stata del tutto snaturata, giacché il divieto di avvicinamento è stato disposto non già con riferimento ai luoghi frequentati dalla persona offesa bensì con riguardo a quello ove è collocato l'impianto di erogazione dell'acqua, con il palese scopo di impedire l'accesso a tale luogo.

Fonte: Diritto e Giustizia

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