La buona fede pone limiti all'esercizio dei diritti, anche in relazione ai contratti della P.A.

Redazione Scientifica
14 Gennaio 2021

La buona fede pone limiti all'esercizio di un diritto, con la conseguenza che la titolarità dello stesso non conferisce...

La buona fede pone limiti all'esercizio di un diritto, con la conseguenza che la titolarità dello stesso non conferisce in nessun caso un potere incondizionato di porre in essere comportamenti formalmente consentiti; all'opposto, in base al principio di solidarietà e di buona fede oggettiva, il diritto conferisce un potere che conosce sempre un limite funzionale dato dalla ragione per cui l'ordinamento riconosce quel diritto: i comportamenti oggetto della posizione giuridica riconosciuta in base al tenore letterale della norma sono solo, quindi, consentiti in quanto obbedienti alla ratio che giustifica la generazione e la tutela della posizione stessa, al contempo delimitandone i confini. Quindi, l'esercizio del diritto è abusivo e pertanto non meritevole di protezione da parte dell'ordinamento, se il titolare di quel diritto tiene comportamenti, pur formalmente consentiti, ma per il perseguimento di finalità eccentriche rispetto a quelle in funzione delle quali l'ordinamento ha riconosciuto quello stesso diritto, e in particolare dove l'uso delle modalità attraverso le quali esso venga esercitato siano arbitrarie, si crea in altri termini uno iato tra il dato formale per cui il comportamento è consentito dalla legge o dal contratto ed il dato funzionale per cui le finalità perseguite, ovvero le modalità utilizzate dal soggetto, entrano in conflitto con il fine principe che, solo, giustifica la creazione di un diritto e con essa la meritevolezza della sua tutela da parte del tessuto ordinamentale.

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