La frequentazione abituale del figlio maggiorenne presso la casa familiare ne giustifica l'assegnazione al genitore collocatario

19 Gennaio 2021

Il regolare ritorno del figlio maggiorenne non autosufficiente nella casa familiare integra il requisito della coabitazione con il genitore collocatario e giustifica il mantenimento dell'assegnazione dell'immobile
Massima

Sussiste l'ipotesi di convivenza rilevante agli effetti dell'assegnazione della casa familiare allorché il figlio maggiorenne non autosufficiente torni con frequenza settimanale presso la casa familiare.

Il caso

Il Tribunale di Rimini, con la sentenza definitiva resa a conclusione del giudizio di divorzio, aveva disposto l'assegnazione della casa coniugale alla moglie convivente con il figlio – maggiorenne ma non economicamente indipendente – e aveva onerato il marito di versare un assegno divorzile in favore della moglie e un contributo per il figlio comprensivo anche delle spese straordinarie. L'uomo aveva impugnato la decisione chiedendo la revoca dell'assegnazione della casa e dell'attribuzione dei contributi economici, asserendo che la condizione di non indipendenza del figlio dipendesse da un suo comportamento colposo e che la moglie fosse in realtà autosufficiente; chiedeva inoltre che fosse disposto che ciascun genitore doveva contribuire pro quota al mantenimento degli altri figli maggiorenni e, in via subordinata, che fosse ridotto l'importo degli assegni. La Corte d'appello di Bologna accoglieva parzialmente la richiesta e riducendo l'importo dell'assegno divorzile. Avverso tale decisione la donna ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'articolo 5, comma 6 della legge n. 898/70 in quanto la corte territoriale non avrebbe tenuto conto dei criteri indicati dalla norma, come interpretata dalla decisione delle sezioni unite n. 18287/2018, non considerando il contributo dato dalla stessa alla formazione dl patrimonio del coniuge. Il marito ha depositato controricorso e ricorso incidentale con il quale ha insistito per la revoca dell'assegnazione della casa coniugale e dell'assegno in favore del figlio, chiedendo la riforma della decisione anche in punto di spese.

La questione

Quale sia il concetto di convivenza rilevante ai fini dell'assegnazione della casa familiare e quali siano gli effetti del nuovo orientamento della corte di cassazione in tema di assegno divorzile sulle decisioni precedenti.

Le soluzioni giuridiche

La ricorrente, per quanto è dato comprendere dalla motivazione, ha censurato la sentenza della corte d'appello invocando quanto stabilito dalla pronuncia delle sezioni unite n. 18287/2018 in tema di assegno divorzile, affermando che la decisione di ridurre l'importo dell'assegno in suo favore sarebbe stata assunta senza tenere conto del fatto che i criteri indicati dall'articolo 5 comma 6 della norma, devono considerarsi equiordinati.

A tale riguardo, la moglie ha sostenuto che la Corte non avrebbe valutato la durata del matrimonio, la sperequazione dei redditi e il contributo dalla medesima fornito alla formazione del patrimonio del marito.

La Corte ha dichiarato infondato il motivo, in quanto, sebbene la decisione censurata fosse stata emessa prima della pronuncia delle sezioni unite, dalla lettura della motivazione sarebbe emerso che, comunque, la corte d'appello aveva analizzato e comparato la situazione economica, patrimoniale e reddituale dei coniugi - così da poter valutare la sussistenza di uno squilibrio tra le parti - aveva poi accertato l'incidenza di tutti i criteri enunciati dalla norma nella concreta determinazione dell'assegno, rispettando quindi le indicazioni fornite dalla nota decisione delle Sezioni Unite.

Gli ermellini hanno inoltre dichiarato la manifesta infondatezza dei motivi del ricorso incidentale del padre rilevando, in primo luogo, che nel giudizio di merito era stato accertato che il figlio tornava presso la casa familiare con regolare cadenza settimanale e che, pertanto, non era mai venuta meno la convivenza con la madre, requisito indispensabile per l'attribuzione di un contributo per il mantenimento del figlio in favore della donna. Il padre aveva infatti sostenuto che, una volta raggiunta la maggiore età del figlio, non vi fosse più alcun valido motivo garantirgli la possibilità di restare nell'ambiente domestico in cui era cresciuto e assicurargli così il mantenimento delle proprie consuetudini di vita.

Il padre aveva inoltre sostenuto che l'assegnazione della casa familiare al coniuge convivente con il figlio - maggiorenne ma non indipendente – determinasse una ingiustificata discriminazione degli altri figli - maggiorenni ed economicamente autosufficienti – e, sotto altro profilo, determinasse una ingiustificata compressione del diritto di proprietà del genitore. Aveva infine affermato che l'avere attribuito alla madre un contributo per il mantenimento del figlio comprensivo anche delle spese straordinarie avrebbe violato il principio di determinabilità dell'assegno, rendendolo di fatto arbitrario.

Anche tali motivi sono stati dichiarati manifestamente infondati in quanto le condizioni dei figli della coppia erano radicalmente diverse proprio in ragione della raggiunta indipendenza economica di quelli più grandi e che, pertanto, non vi era alcuna violazione del principio di uguaglianza, mentre la onnicomprensività dell'assegno non aveva determinato alcun pregiudizio per l'onerato.

A tale riguardo la Corte ha evidenziato la improprietà della citazione di precedenti arresti da parte del controricorrente, chiarendo che le pronunce che hanno censurato la attribuzione di assegni di natura omnicomprensiva hanno precisato che erano potenzialmente pregiudizievoli per la prole, ma non certamente per il genitore onerato. Tutte le decisioni in merito, infatti, si fondano sul rilievo che, talvolta, le condizioni economiche del genitore beneficiario dell'assegno cumulativo possono non consentire l'accesso a cure necessarie o ad altri servizi di natura essenziale. Si vedano in tale senso oltre a Cass. civ. sez. VI, 17 gennaio 2018, n.1070 e Cass. civ. sez. I, 8 settembre 2014, n.18869 citate dal controricorrente (l'inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo", di cure necessarie o di altri indispensabili apporti), anche Cass. civ. sez. I, 9 giugno 2015, n.11894 (Questa Corte ha avuto occasione di precisare che devono intendersi spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dalla legge e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare pregiudizio alla prole, che potrebbe essere privata di cure necessarie o di altri indispensabili apporti. Cass. n. 8 giugno 2012 n. 9372).

Osservazioni

Con la decisione in commento la corte ha ribadito che il mutamento nell'interpretazione della norma non costituisce di per sé motivo di censura, in quanto, ove dall'esame della motivazione emessa in epoca antecedente alla più recente esegesi della legge, risulti che, comunque, nel caso specifico il giudice si è attenuto comunque ai principi indicati dalla giurisprudenza più attuale, non sussistono i presupposti per una modifica del provvedimento.

A seguito del controricorso del marito, inoltre, il giudice di legittimità è stato chiamato a pronunciarsi anche su una questione assai ricorrente nelle aule dei Tribunali: nel momento in cui figli, divenuti ormai maggiorenni, decidono di seguire corsi di laurea “fuori sede”, il genitore non convivente e proprietario della casa familiare, assegnata all'altro ai sensi dell'art. 337-sexies c.c. o dell'art. 6 legge n. 898/1970, chiede la modifica delle condizioni asserendo che sia venuta meno la coabitazione con l'assegnatario.

Nel caso in esame il padre non si è limitato a una siffatta considerazione, ma ha anche sostenuto che quando i figli hanno raggiunto la maggiore età non è più necessario garantire loro di continuare a vivere nell'ambiente in cui sono cresciuti.

Ora è noto che l'ordinamento offre una particolare tutela ai figli delle coppie disgregate, consentendo che possano continuare a vivere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, che costituisce un centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, e che dunque concorre allo sviluppo e alla formazione della loro personalità, ma non è detto che il legame del figlio con la casa familiare venga necessariamente meno in conseguenza della scelta – spesso obbligata - di dover trascorrere fuori casa dei periodi, anche lunghi, per poter seguire corsi di studio o di formazione professionale.

Generalmente, infatti, gli studenti mantengono comunque uno vincolo stretto con la propria abitazione, alla quale fanno ritorno con una certa regolarità e ciò comporta che spesso il genitore che vi continua ad abitare sia comunque tenuto a farsi carico delle necessità delle sue necessità in misura maggiore rispetto all'altro.

È esperienza comune peraltro che, nei casi in cui la sede universitaria sia abbastanza vicina alla residenza, il figlio vi rientri dopo un'assenza di tre - quattro, in altri casi può rientrare con cadenza quindicinale o mensile e, nel caso in cui le distanze sono notevoli, trascorre comunque con il genitore assegnatario i periodi in cui le lezioni sono sospese.

Dunque, se indubbiamente le esigenze di un figlio divenuto maggiorenne sono diverse rispetto a quelle di un bambino in tenera età, è altresì vero che anche il figlio maggiorenne ha necessità di avere un punto di riferimento al quale fare ritorno quando il trasferimento non abbia quale carattere di stabilità tale da far ritenere che il suo ambiente domestico sia diverso dalla casa del genitore.

La decisione della Cassazione conferma tale interpretazione, rigettando il motivo con una motivazione assai sintetica che si limita a rilevare che i giudici di merito avevano dato atto del fatto che il figlio rientrasse regolarmente a casa.

In realtà, già con la sentenza Cass. n. 5174/2012 , la prima sezione della Cassazione aveva statuito che in sede di divorzio il giudice può disporre l'assegnazione della casa familiare «in favore del coniuge che non vanti alcun diritto - reale o personale - sull'immobile e che sia affidatario della prole minorenne o sia convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri, essendo irrilevante l'età del figlio maggiorenne, perché ciò che assume rilievo è la convivenza con il coniuge assegnatario e la condizione di non autosufficienza del figlio».

Più recentemente, Cass. civ. sez. VI – 7 giugno 2017, n. 14241 ha affermato: «In tema di assegnazione della casa coniugale, la circostanza che la prole non conviva con il genitore, per frequentare un corso universitario in altra città, ma si rechi non appena possibile nella residenza familiare, non esclude il requisito della convivenza, ogniqualvolta permanga il collegamento stabile con l'abitazione del genitore, atteso che, la coabitazione può non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile».

Sembra, in conclusione, che a parere degli ermellini si debba dare rilievo non tanto alla frequenza dei rientri (criterio peraltro mutevole a seconda delle circostanze), ma al fatto che il figlio vi rientri ogni volta in cui ne abbia la possibilità, enfatizzando quindi il legame affettivo della prole con l'abitazione.

In tal senso anche la pronuncia Cass. n. 16134/2019 della sesta sezione, in cui si afferma che l'assegnazione della casa coniugale non può essere revocata allorché la coabitazione «ancorché non quotidiana, sia compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché vi faccia ritorno appena possibile e l'effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese)», mentre non vi è ragione per mantenerla quando il ritorno, sia pur regolare, si possa definire raro, “configurandosi in tal caso, invece, un rapporto di mera ospitalità”.

Riferimento

Frezza G., Trattato di diritto di famiglia, (diretto da) Paolo Zatti – Volume VII – Aggiornamenti – paragrafo 18 ter

Fasano A. Figone A., Assegnazione della casa familiare, in La crisi delle relazioni familiari, Pratica professionale Fam. (a cura di) Annamaria Fasano - Alberto Figone

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