Gli assetti organizzativi dell'impresa nell'attuale fase di pandemia

Luigi Amerigo Bottai
Luigi Amerigo Bottai
20 Gennaio 2021

Il nuovo Codice della crisi d'impresa riunisce le discipline del diritto dell'impresa, del diritto societario e del diritto concorsuale per regolamentare l'impresa nelle fasi crepuscolari e critiche della sua esistenza; ciò avviene mediante l'introduzione in questa branca del diritto il tema degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, di naturale competenza del diritto societario. L'Autore si sofferma sui modelli di assetti organizzativi adeguati e sul tema delle responsabilità collegate alla mancata o insufficiente azione da parte della governance.
Premessa sistematica

Il nuovo Codice della crisi d'impresa (d'ora innanzi, in breve, CCI), anche prima delle (lievi) modifiche introdotte con il D. Lgs. 26.10.2020 n. 147, riunisce le discipline del diritto dell'impresa, del diritto societario e del diritto concorsuale per regolamentare l'impresa nelle fasi crepuscolari e critiche della sua esistenza. E ciò avviene mediante l'introduzione anche in questa branca del diritto del tema degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, di naturale competenza del diritto societario (v. artt. 2086, comma 2, c.c. , 375 e 377 CCI; per le imprese individuali esiste solo un più tenue obbligo di approntare “misure idonee” ad intercettare la crisi, ex art. 3, primo comma, CCI), funzionalizzandoli alla tempestiva rilevazione dei segnali di crisi e al pericolo della perdita della continuità aziendale, affinché gli organi sociali si attivino senza indugio ad avvalersi degli strumenti di soluzione offerti dalla legge.

La constatazione di base è che, al manifestarsi di una situazione di “squilibrio economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza” – inteso, per le imprese,“come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (così la definizione di “crisi” di cui all'art. 2 CCI, come rettificata dal Decreto correttivo) -, gli amministratori della società siano tenuti ad una serie di doveri ed obblighi, a tutela degli interessi dei creditori prima (o in luogo) di quelli dei soci, fino a pochi anni orsono neppure immaginati. Dal complesso delle norme codicistiche sulla salvaguardia del capitale (artt. 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter c.c.) combinate con quelle “concorsuali(artt. 67 e 182-bis e 182 -sexies l.f.) e dall'unica disposizione penale in materia (artt. 217-bis l.f.) si ricavava già l'induzione dell'ordinamento a far adottare dagli amministratori gli istituti del piano attestato di risanamento, degli accordi di ristrutturazione e/o del concordato preventivo per conservare il residuo valore aziendale laddove possibile.

Con l'entrata in vigore dell'art. 378 CCI – il 16.3.2019 - quella “spinta gentile” verso la pronta reazione alla crisi diviene un obbligo legalmente sancito (e ulteriormente specificato negli artt. 4 cpv., 12 ss. e 18 ss. CCI) e punito con la responsabilità civile in caso di ritardi od omissioni: l'art. 378 CCI introduce, infatti, un terzo comma all'art. 2486 c.c. proprio per quantifi.c.are i danni cagionati dalle ritardate reazioni degli organi gestori e di controllo, sempre nell'ottica di salvare asset produttivi, rapporti contrattuali e diritti altrui, prima che la soluzione liquidatoria divenga l'unica modalità di gestione del patrimonio rimasto.

Ne consegue che l'assemblea dei soci non ha più d'innanzi a sé l'opzione secca “ricapitalizza o liquida”, bensì la triplice alternativa che comprende in via prioritaria l'imperativo “ristruttura”; oggi agevolato dalla sospensione di tali obblighi per effetto dei decreti d'urgenza emanati dall'inizio dell'emergenza sanitaria. Epperò non cambiano le regole di gestione dell'impresa sociale e, più in generale, i doveri degli amministratori e dei sindaci nella fase critica, secondo gli standard dei principi di corretta amministrazione (arg. ex artt. 2403 c.c. e 12 ss. CCI) prima della maturazione dell'insolvenza vera e propria o dello scioglimento della società (A. ROSSI, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di azione degli organi sociali nelle situazioni di crisi atipica, in Il fallimento, 2019, 292).

Il tutto discende dalla rilevanza che il problema del c.d. going concern (cioè la continuità aziendale) ha assunto sia a livello legislativo - art. 2423-bis c.c. (modificato nel 2015) e art. 2428 c.c. , secondo cui gli amministratori devono descrivere nella relazione sulla gestione “i principali rischi e incertezze cui la società è esposta”, debbono cioè dar conto espressamente della sostenibilità prospettica della situazione finanziaria e, quindi, della prospettiva di continuazione dell'attività -, sia nella normativa tecnica dei principi contabili e di revisione internazionali elaborati dalla scienza aziendalistica.

La valenza sistematica delle norme del Codice della crisi, che presuppongono il particolare impegno da dedicare alle funzioni di “controllo di gestione” e di monitoraggio dell'andamento dell'attività d'impresa, si coglie essenzialmente nel mutamento del parametro-base di rilevazione della crisi, il quale da patrimoniale (ex artt. 2446 e 2447 c.c. ) diventa prettamente finanziario, incentrato sui flussi di cassa e sulla sostenibilità dei debiti (per almeno sei mesi, come le prospettive di continuità: art. 13 CCI). E', dunque, un parametro dinamico-prospettico, anziché storico (R. RANALLI, Una nota (parzialmente) critica al primato del piano d'impresa nell'ambito degli adeguati assetti, in questo portale, 5 agosto 2019).

È proprio la definizione di crisi, introdotta nell'art. 2, lett. a), CCI, quale “stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”- sulla scorta della legge delega (art. 2, lett. c: come probabilità di futura insolvenza) -, a rendere necessario il predetto mutamento di paradigma, poiché si deve poter prevedere il futuro andamento della gestione aziendale (obbligo per amministratori, sindaci e revisori ex art. 14 CCI) e ciò attraverso:

  • l'adeguato assetto organizzativo dell'impresa;
  • l'equilibrio economico e finanziario della stessa;
  • gli indici esplicitati nell'art. 13 CCI.

Già la riforma concorsuale del 2005/2007 aveva puntato sull'emersione anticipata della crisi per salvaguardare i valori produttivi aziendali; l'obiettivo, però, non è stato pienamente raggiunto e così il legislatore ha deciso di non lasciare il debitore libero di assumere provvedimenti per la regolazione della sua crisi, ponendolo “sotto tutela” degli organi di controllo interni e, in un secondo momento, anche di soggetti esterni qualificati affinché lo richiamino ai suoi doveri di corretta gestione anche a tutela di tutti gli stakeholders.

Anche a livello europeo, dapprima la Raccomandazione della Commissione UE del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza”, che perseguiva l'obiettivo primario di “garantire a imprese sane in difficoltà finanziaria (...) l'accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce, in modo da evitare l'insolvenza e proseguire l'attività”, e poi la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva (preventive restructuring frameworks) e l'esdebitazione, ribadiscono la necessità di “una cultura del salvataggio più forte, che aiuti le imprese economicamente sostenibili a ristrutturarsi e a continuare a operare, incanalando al contempo le imprese senza possibilità di sopravvivenza verso una rapida liquidazione, e che offra agli imprenditori onesti in difficoltà una seconda opportunità”.

Orbene, se si considera che:

i) i fattori tradizionali della produzione, capitale e lavoro, perdono la loro centralità in favore delle tecnologie digitali e dell'intelligenza artificiale;

ii) i metodi di produzione e distribuzione mutano per adattarsi alla globalizzazione dei mercati; e che

iii) il mondo della materia cede il passo al mondo della conoscenza, quale nuova fonte di ricchezza, occorre riconoscere come le moderne imprese della società post-industriale - la c.d. economia finanziaria - consistano in strutture dematerializzate (la rete internet, i contratti di accesso e utilizzo dei beni e servizi, le proprietà intellettuali), le quali presentano un patrimonio privo di capitali o di rilevanti immobilizzazioni materiali e difficilmente liquidabile a beneficio dei creditori. Costoro non possono, quindi, fare affidamento sui tradizionali cespiti, ma debbono sperare di realizzare attivo dal mantenimento (o dalla cessione) del know-how e dell'organizzazione produttiva, i.e. dalla continuità aziendale.

Per quanto concerne, in particolare, il tema degli assetti organizzativi societari, la Direttiva non contiene disposizioni specifiche, in quanto l'art. 19 – rubricato “Obblighi dei dirigenti qualora sussista una probabilità di insolvenza” – prevede unicamente che gli amministratori e gli alti dirigenti (directors in inglese) “tengano conto come minimo”:

a) degli interessi dei creditori e degli altri portatori di interesse;

b) della necessità di assumere misure per evitare l'insolvenza;

c) di evitare condotte che mettano in pericolo la sostenibilità economica dell'impresa (i.e. la continuità aziendale).

Data l'ovvietà di siffatte precauzioni è giocoforza risalire, per individuare obblighi specifici gravanti sull'organo gestorio, alle norme della Direttiva medesima in materia di “allerta precoce”, di cui all'art. 3. Gli strumenti di allerta in ambito comunitario sono assai più flessibili ed elastici (soft law) rispetto alle prescrizioni del CCI, poiché contemplano solo:

  • meccanismi di avvertimento nell'ipotesi di determinati inadempimenti;
  • servizi di consulenza da parte di organismi pubblici o privati;
  • incentivi rivolti a terzi (come contabili e autorità fiscali o previdenziali) affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi.

Se l'obiettivo è la ristrutturazione preventiva dell'impresa, i dirigenti dovrebbero dunque (v. Considerando n. 70) assumere iniziative tempestive per proteggere gli attivi della società in modo da massimizzarne il valore ed evitare perdite; valutare la sostenibilità economica dell'impresa e ridurre le spese; evitare di impegnare la società in tipi di operazioni (anomale, preferenziali e/o depauperatorie) che potrebbero essere oggetto di azioni revocatorie, a meno che sussista un'adeguata giustificazione commerciale; proseguire gli scambi commerciali nelle circostanze in cui ciò è opportuno per massimizzare il valore della continuità aziendale; avviare trattative con i creditori e procedure di ristrutturazione preventiva.

I modelli di assetti organizzativi

Con l'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa (dopo il Decreto correttivo n. 147/ 2020) la responsabilità patrimoniale degli imprenditori (e manager) nella fase crepuscolare assume una valenza ben definita, imponendosi a tutti costoro doveri vincolanti di i) valutazione delle prospettive di effettivo adempimento delle proprie obbligazioni (principio affermato sia nell'art. 2 legge n. 155/2017, sia negli artt. 3 e 4 CCI, nonché di ii) assunzione delle adeguate iniziative, tra quelle previste dal codice (artt. 12 e 14), in caso di squilibrio economico-finanziario o eccessivo indebitamento rispetto agli indici contenuti negli artt. 13-15 CCI.

Tali doveri possono ricondursi alle scelte di fondo che gli organi gestori e di controllo debbono rispettare e che concernono:

a) la scelta sull'organizzazione;

b) il ruolo dell'informazione e dei controlli;

c) i rischi assunti o assumibili;

d) l'importanza dei segnali d'allarme sulla inadeguatezza degli assetti.

In dottrina si è già osservato come nei principi generali del Codice della crisi siano trasfusi più doveri che obblighi, in quanto le condotte di base da adottare da parte dei debitori (ma pure dai creditori) si dirigono verso la collettività, disvelando un'attenzione apprezzabile verso i profili etici della regolazione della crisi; ma difetterebbero specifiche sanzioni. Tuttavia è evidente che anche la violazione dei doveri, allorché incida sui diritti dei terzi pregiudicandoli, apre il campo agli istituti della responsabilità e dei conseguenti risarcimenti (M. FABIANI, Il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza tra definizioni, principi generali e qualche omissione, in Foro it., 2019, 166).

Dal punto di vista soggettivo, le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi (artt. 12 ss. CCI) si applicano a tutti gli imprenditori, comprese le imprese agricole e quelle minori di cui all'art. 2, comma primo, lett. d), oltre che in parte a quelle soggette a liquidazione coatta amministrativa (v. art. 316 CCI), con le sole esclusioni elencate nei commi quarto e quinto dell'art. 12 (i.e. le grandi imprese, i gruppi di rilevante dimensione, le società quotate, banche, assicurazioni, intermediari finanziari e fiduciarie). Ai soggetti esclusi si applicano, però, le misure premiali dell'art. 25 CCI. Mentre piani attestati e accordi di ristrutturazione dei debiti sono riservati agli imprenditori, senza ulteriori specificazioni, purché – ovviamente ai fini dell'omologazione - non cancellati dal registro imprese (art. 33 CCI).

Dal punto di vista oggettivo, ciò che rileva è approntare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili “anche” ai fini della tempestiva percezione della crisi; ma occorre previamente determinare in cosa essi possano consistere in concreto, in base alle specifiche caratteristiche dell'impresa da considerare. Decisivo è pertanto assicurare il continuo flusso informativo dalla produzione/commercializzazione all'amministrazione e viceversa, nonché verso gli organi di controllo.

In buona sostanza si può affermare che ogni governance debba tenere quanto meno l'organigramma delle funzioni e il budget dell'esercizio in corso, oltre al piano di cassa o di tesoreria (art. 2381, comma 3); elevandosi il fatturato, occorrerà predisporre anche il forecast degli esercizi successivi (inesigibile per le realtà costituite da semplici esercizi commerciali o comunque per imprese di minori dimensioni).

Contestualmente si deve monitorare, attraverso un costante controllo di gestione, l'andamento aziendale, affinché gli indicatori di crisi di cui all'art. 13, comma 1, CCI (ossia gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario) non arrivino ad evidenziare la non “sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi” e/o l'assenza di “prospettive di continuità aziendale per l'esercizio in corso” o per i sei mesi successivi.

A tali fini sono indici significativi la (in)sostenibilità degli oneri di indebitamento con i flussi di cassa e/o l'(in)adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi, oltre ai reiterati ritardi nei pagamenti.

Se, dunque, il dogma diviene “l'auto-controllo” onde evitare la tardiva emersione della crisi, ovviamente in proporzione ai volumi e alle complessità aziendali rilevabili, ecco che un percorso standard, fondato sulle best practices – non esistendo prescrizioni puntuali valide per ciascun tipo di attività imprenditoriale - appare necessariamente da seguire.

Qualora la singola impresa non ritenga adeguati detti indici, per via delle proprie caratteristiche peculiari, ne deve specificare le ragioni nella nota integrativa al bilancio e al contempo indicare gli indici considerati idonei a configurare la crisi, i quali dovranno essere attestati come tali da un professionista indipendente (e l'asseverazione allegata alla nota integrativa; v. art. 13, comma 3, CCI).

Orbene, in estrema sintesi il quadro può essere delineato in maniera semplice: - nelle s.p.a. gli amministratori delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia consono alla natura e dimensioni dell'impresa e presentano, almeno ogni sei mesi, una relazione al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale (non al revisore contabile, il quale non è organo della società) sul come la gestione si è svolta e come prevedibilmente si svolgerà;

- il consiglio di amministrazione valuta la relazione degli organi delegati e quindi anche l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2381, comma 3, c.c.),

- mentre il collegio sindacale vigila attraverso un controllo periodico, non in astratto, ma sul suo concreto funzionamento (art. 2403 c.c.).

Per le società a responsabilità limitata va ricordato che le regole contenute nell'art. 2381, a partire dal 16 marzo 2019, si applicano anche a detta tipologia societaria “in quanto compatibili”, in virtù del rinvio operato dall'art. 377, comma 2, CCI, anche là dove queste abbiano nominato solo un amministratore unico. L'art. 2381, ai commi 3 e 5, delega agli amministratori delle condotte e la redazione di taluni documenti, tra i quali “i piani strategici, industriali e finanziari” e le relazioni almeno semestrali “sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione”, che sono evidentemente anche strumenti contabili (fra gli altri ABBADESSA P., Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, a cura di Abbadessa e Portale, Milano, 2007, 498, in merito alla locuzione “quando elaborati”, riferita ai menzionati piani, precisa: “sarebbe assolutamente inesatto concludere che la redazione dei piani in esame sia una semplice facoltà, rimessa comunque alla libera scelta degli amministratori, dovendo, all'opposto, ritenersi che essa divenga doverosa quando le dimensioni dell'impresa e/o le politiche gestionali prescelte rendano opportuno, nell'interesse della società, l'istituzione di un processo programmatorio formalizzato”).

Siccome lo strumento che esprime il generale andamento della gestione è il bilancio, la norma impone la redazione periodica, almeno semestrale, di un bilancio di periodo, che seppur senza nota integrativa e rendiconto finanziario, dovrà mostrare con sufficiente attendibilità e correttezza la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico del semestre trascorso. Analogamente, la prevedibile evoluzione della gestione troverà la propria sede naturale nel budget, da rivedere almeno semestralmente, con la necessaria comparazione tra flussi di cassa in entrata e flussi in uscita allo scopo di percepire tempestivamente eventuali segnali di crisi.

Per quanto concerne le imprese di minori dimensioni l'esigenza di una preliminare definizione di un congruo “protocollo organizzativo”, quale a priori della corretta gestione imprenditoriale, anche per la successiva verifica del concreto funzionamento di tale assetto parrebbe attenuata; agli amministratori di siffatte entità sarà consentita una valutazione di adeguatezza che riguardi persino l'effettiva necessità della relativa predisposizione, in contesti nei quali, di norma, i soci-amministratori sono in grado di monitorare l'evoluzione della gestione sociale e l'eventuale emersione di segnali di crisi mediante la semplice predisposizione di budget semestrali (ABRIANI, ROSSI, Nuova disciplina della crisi d'impresa e modificazioni del Codice civile: prime letture, in Soc., 2019, 396).

Per l'ordinarietà dei casi, più in particolare, va notato che per assetto organizzativo si può intendere sia il modello di strutturazione dell'attività di governo dell'impresa, che risiede nella efficace pianificazione del business (il piano industriale), anche in ordine all'impatto prognostico delle decisioni sull'equilibrio finanziario e sulla sostenibilità del debito; sia – più limitatamente - l'organizzazione del lavoro: dall'organigramma si deve individuare agevolmente la distribuzione delle mansioni e le connesse responsabilità, per poi indirizzarsi verso i sistemi operativi che guidano il comportamento dei singoli dipendenti (dev'essere chiaro chi produce i dati, chi li elabora e chi trae le conclusioni da inserire nel piano industriale). Le Norme di comportamento del collegio sindacale confermano l'assunto giacché considerano l'“Organigramma aziendale”, con ruoli e funzioni dei vari soggetti, il primo e indefettibile elemento costitutivo degli assetti.

La procedimentalizzazione dell'attività d'impresa rappresenta il filo conduttore di tutta la più recente legislazione d'impresa: tale prospettiva informa le disposizioni in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008), l'apparato legislativo sulla privacy (fin dal d.lgs. 196/2003, con l'obbligo di predisporre un documento programmatico sulla sicurezza) e, soprattutto, le citate norme sulla responsabilità delle persone giuridiche (d.lgs. n. 231/2001).

L'assetto organizzativo, quindi, è l'insieme delle procedure interne all'impresa per l'acquisizione e l'elaborazione dei dati previsionali, quali i volumi e i prezzi di vendita, le marginalità, i tempi di incasso dei crediti e di rigiro del magazzino, di pagamento dei fornitori, gli investimenti possibili, la stagionalità delle attività e i flussi di cassa liberi al servizio del debito; è da tali dati, comparati con lo scenario di riferimento, che si evince l'affidabilità del business plan. E il costante conseguimento degli obiettivi prefissati è la riprova della bontà dell'assetto costruito.

Il sistema amministrativo e contabile deve adeguatamente corrispondere alle esigenze della struttura aziendale e deve essere capace di fornire tutte le informazioni in tempi relativamente brevi (E. CECCHERINI, L'imprenditore deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi: riflessioni sul riformato art. 2086 c.c., in questo portale, ), occorrendo che i software relativi permettano sia la riclassificazione dei dati contabili, sia l'analisi di bilancio per indici, sia – ancora – una rendicontazione dei risultati (ovviamente provvisori) su base perlomeno mensile, oltre ad elaborare budget e previsioni con riferimento tanto all'ordinaria attività d'impresa, quanto ai possibili esiti degli investimenti.

L'art. 13, comma 1, CCI – come anticipato – dà rilievo agli indicatori e indici della crisi (squilibri finanziari e reddituali), per verificare i quali si debbono utilizzare i parametri della sostenibilità dei debiti e della continuità aziendale per un periodo di almeno sei mesi; sono considerati significativi gli indici che misurano la sostenibilità di interessi ed oneri finanziari con i flussi di cassa che l'impresa è capace di generare e l'adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. In proposito si è individuato il rapporto, denominato indice di indipendenza finanziaria o di solidità patrimoniale o equity/debt, che misura la capacità dell'azienda di far fronte ai propri debiti: più alta è la percentuale, maggiori sono le capacità dell'azienda di rispettare le proprie obbligazioni. Tuttavia la prassi aziendalistica suole confrontare, perché di gran lunga di maggiore utilità, sia il patrimonio netto più il passivo a media-lunga scadenza con l'attivo immobilizzato, sia il passivo a breve scadenza con l'attivo circolante (gli indici di liquidità primaria e secondaria). Il rapporto varia a seconda del settore cui appartiene l'impresa, essendo evidente che un'azienda industriale richiede maggiore capitale proprio (da investire in immobilizzazioni) rispetto ad un'impresa commerciale o di servizi, come pure maggiori investimenti richiede di solito l'impresa che vende al pubblico rispetto a quella che vende all'ingrosso. In Italia, essendo le aziende notoriamente sottocapitalizzazione, il passivo (capitale di finanziamento) è quasi sempre superiore al capitale proprio. L'indice, comunque, al pari degli altri, è utile se comparato con quelli emersi nei periodi precedenti, giacché mostra la tendenza all'indebitamento dell'imprenditore (G. VERNA, Strumenti per il nuovo assetto organizzativo delle società, in Società, 2019, 929).

Gli indicatori di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti sono, infine, rappresentati all'art. 24:

  • debiti per retribuzioni scadute da oltre sessanta giorni, che superano la metà delle retribuzioni complessivamente dovute nello stesso periodo;
  • debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per importo superiore a quello dei debiti non scaduti;
  • indici di bilancio o comunque rilevati ogni tre mesi che superano i valori indicati dal CNDCEC.

Quanto alla periodicità delle rilevazioni dei dati e della pianificazione delle attività, il documento elaborato dal CNDCEC sugli indici della crisi, in esecuzione della delega di cui al comma secondo dell'art. 13 Codice della crisi, ravvisa l'esigenza di una periodicità addirittura trimestrale, in coerenza con l'obbligo, posto dall'art. 14 in capo all'organo amministrativo, di valutare costantemente l'equilibrio finanziario, nonché con il presupposto per il riconoscimento delle misure premiali di cui all'art. 25 (della presentazione agli OCRI dell'istanza di composizione assistita entro tre mesi dal superamento degli indici).Tale valutazione, in assenza di un bilancio approvato, dovrà essere condotta sulla base di una situazione infrannuale, redatta dall'impresa per la stima dell'andamento economico e finanziario in base alle indicazioni dell'OIC 30.

Si può concludere sottolineando la contraddizione di fondo in cui è incorso il legislatore, che, da un lato, ha operato per ridurre le spese professionali di consulenza prima e durante lo svolgimento delle procedure concorsuali, ma, dall'altro, ha gravato la generalità delle imprese di impegni, monitoraggi e costi diretti ed indiretti alquanto elevati.

Giova, da ultimo, rammentare come a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 379 d.lgs. 14/2019 (“Codice della crisi d'impresa”) e del d.l. 32/2019 (“Decreto sblocca canteri”, conv. in legge n. 55/2019) sia stato nuovamente modificato l'art. 2477, comma 2, lett. c), c.c., che fissa le soglie per l'obbligo di nomina dell'organo di controllo – che può essere costituito da un solo membro effettivo- o di revisione legale dei continelle società a responsabilità limitata e nelle cooperative (costituite in forma di Srl), a decorrere dal 18 giugno 2019, al superamento per due esercizi consecutivi di almeno uno dei seguenti limiti:

  • totale dell'attivo dello stato patrimoniale 4 milioni di euro;
  • ricavi delle vendite e delle prestazioni 4 milioni di euro;
  • dipendenti occupati in media durante l'esercizio 20 unità.

Il nuovo art. 2477, comma 5, c.c. prevede, come rimedio, che se l'assemblea non dà luogo alla nomina (dell'organo di controllo e/o del revisore) entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio in cui vengono superati i limiti stabiliti, “provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato o su segnalazione del conservatore del registro delle imprese”.

Con una recente circolare Unioncamere ha comunicato che ciascuna Camera di Commercio disporrà di un elenco delle società, aventi sede nel rispettivo territorio, chiamate ad ottemperare immediatamente all'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore; ma ha aggiunto che non si provvederà all'immediata segnalazione al tribunale da parte dei conservatori, poiché si determinerebbe un improvviso incremento del carico di lavoro degli uffici giudiziari di non agevole gestione (sarà, quindi, inviata alle società, obbligate alla nomina, una comunicazione per sensibilizzarle sulla necessità di adeguarsi alla nuova disciplina).

Il problema della responsabilità

Dalla sintetica ricostruzione della nuova disciplina sull'organizzazione aziendale, tarata essenzialmente sulle PMI, emerge come problema centrale il tema delle responsabilità collegate alla mancata o insufficiente azione da parte della governance.

Gli elementi alla base dell'adeguato assetto organizzativo, fermo il principio di proporzionalità per dimensione e natura delle imprese, sono costituiti:

a) dal sistema dei controlli interni e di comunicazione dei flussi informativi;

b) dai protocolli di conformità (compliance), ormai annoverati fra gli elementi tipici di una organizzazione adeguata.

I suddetti elementi, già ampiamente diffusi tra le aziende di maggiori dimensioni, riflettono il trend degli anni in cui si è passati da una tradizionale accezione del controllo ex post a quella di un controllo dell'attività d'impresa in itinere e previsionale (cfr. d.lgs. 231/2001 e d.lgs. 175/2016). Il principio di proporzionalità assume importanza in quanto la dimensione e il settore di operatività dell'azienda rappresentano fattori decisivi per l'istituzione e la valutazione del sistema dei controlli edei report informativi.

Ma le carenze organizzative sull'allestimento dei sistemi informativi, informatici e di monitoraggio, che ritardino la rilevazione dei segni della crisi incipiente, investono direttamente la responsabilità vuoi degli organi delegati (che devono curare l'organizzazione dell'impresa), vuoi degli amministratori deleganti tenuti a valutare l'adeguatezza in termini di efficienza e funzionalità del sistema di controllo interno (art. 2381, comma 5, c.c.), vuoi pure degli organi di controllo incaricati di vigilarne l'adeguatezza (art. 2403, comma 1; art. 2409-terdecies, comma 1, lett. c); art. 2409-octiesdecies, comma 5, lett. b), c.c.).

Come rilevato da tempo in dottrina, nell'emergenza della crisi si crea una situazione di azzardo morale in quanto si genera nei managers un incentivo molto forte ad assumere rischi irragionevoli, atteso che i soci possono perdere relativamente poco o nulla perché già sanno che il capitale in caso di liquidazione o fallimento non sarà loro restituito. In tale situazione di rilevante asimmetria informativa con il mercato gli amministratori possono essere incoraggiati a intraprendere iniziative economiche molto rischiose. Si determina, pertanto, una distorsione del rapporto tra gestori dell'impresa e creditori, che giustifica la necessità di predisporre vincoli più stringenti nei confronti degli amministratori (ZOPPINI A., Emersione della crisi e interesse sociale (spunti dalla teoria dell'emerging insolvency), in AA.VV. Diritto societario e crisi d'impresa (TOMBARI, a cura di), Torino, 2014. Cfr. anche DE SENSI V., Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Riv. Soc., 2017, 311).

Sorgono allora doveri fiduciari in capo agli amministratori verso i creditori (v. artt. 2394 e 2485-2486 c.c.), veri “proprietari” dell'impresa insolvente, suscettibile di essere espropriata legalmente tramite una procedura concorsuale diretta da organi di nomina giudiziaria.

Precedentemente, nella fase di emerging insolvency, vige una disciplina che sospende gli effetti previsti dalle norme sulla riduzione del capitale sociale qualora l'impresa proponga domanda di concordato preventivo di omologazione di un accordo di ristrutturazione (art. 182-sexies l.f., oggi art. 89 CCI).

Ciò in quanto la tutela dei creditori in siffatto frangente non è affidata alle regole formali a salvaguardia dell'integrità del capitale sociale, ormai di fatto perduto, quanto piuttosto alle regole sostanziali e procedurali connesse alla predisposizione e all'esecuzione, sotto il controllo del tribunale, di piani idonei al salvataggio (anche in relazione ai pagamenti di fornitori strategici o alle operazioni di finanziamento autorizzate dal giudice siccome idonee ad assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori (art. 182-quinquies l.f.). Al medesimo fine consente di giungere la disciplina penale prevista dall'art. 217-bis l.f.

Proprio la clausola - divenuta generale per diversi aspetti dei concordati preventivi - del miglior soddisfacimento dei creditori induce una considerazione di metodo in ordine al corretto modello di assetti organizzativi nella situazione di crisi: esso deve essere tale da far confrontare i benefici e i pregiudizi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa anche in capo ai creditori e, di conseguenza,gli amministratori andranno esenti da responsabilità, in applicazione della business judgement rule nella fase dell'emersione dell'insolvenza, se tale valutazione comparativa è correttamente istruita e compiuta (A. ZOPPINI, op. cit.).

Il problema della responsabilità per l'istituzione di adeguati assetti è stato di recente indagato in dottrina, pervenendosi a opinioni discordanti: a chi sostiene l'invocazione della regola della discrezionalità anche in tale ambito, per via della riconducibilità delle decisioni organizzative degli amministratori alla business judgment rule, si contrappone la tesi – che appare, invero, più solidamente supportata - secondo la quale le scelte organizzative in materia di controlli e di assetti amministrativi e contabili sono scrutinabili alla luce dei parametri di correttezza e, in specie, di corretta amministrazione, come richiamati dall'art. 2403 c.c., dei quali gli assetti costituiscono una possibile concretizzazione (P. MONTALENTI, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, 62 ss.).

In concreto, la scienza aziendalistica, evocando i principi di buona amministrazione, asserisce che usualmente (nelle aziende non “micro”) verso la metà di ogni mese l'amministratore riceve ed esamina il bilancio di verifica del mese precedente, il quale riflette solo gli accadimenti di gestione e non le operazioni da effettuare in sede di redazione del bilancio annuale o intermedio (quali la valutazione delle rimanenze e delle partecipazioni, nonché il calcolo degli ammortamenti, del presumibile valore di realizzo dei crediti, dei ratei e dei risconti e del fondo di fine rapporto di lavoro). La diligenza richiede agli amministratori – e più ancora ai sindaci e ai revisori - di valutare, sulla base della differenza fra componenti positive e negative di gestione e di una stima “a spanne” delle rettifiche da apportarvi in forza delle menzionate operazioni valutative di fine periodo, se la perdita de qua si è verificata o, quanto meno, se sussiste il sospetto che essa si sia verificata, per cui occorre non fermarsi al bilancio di verifica, ma passare alle più complesse operazioni di rettifica che si maturano in sede di chiusura dei conti. Sul piano pratico le operazioni di rettifica ed integrazione da apportare al bilancio di verifica infrannuale sono tecnicamente fattibili con trascurabile approssimazione (G. VERNA, Perdita del capitale e perdita di continuità aziendale: un'improvvida equipollenza, in Giur. Comm., 2019, 632, in nota a Trib. Milano, 27 marzo 2018, n. 3554).

La giurisprudenza di merito ha avuto modo di enunciare come la condotta dell'amministratore di società che, in caso di crisi dell'impresa, non si attivi prontamente per adottare i rimedi necessari a superare quello stato, compromettendo così in modo rilevante le prospettive di ordinata uscita dalla crisi, possa configurare inosservanza del dovere di cui al novellato art. 2086, ovvero grave irregolarità ex art. 2409 c.c., specialmente laddove si limiti alla mera ricerca di finanziatori o acquirenti di taluni cespiti aziendali (cfr. Trib. Milano, 18.10.2019, giurisprudenzadelleimprese.it).

Mentre il non dotare la società di procedure contabili idonee alla ricostruzione delle operazioni aziendali (da farsi successivamente), con conseguente necessità di sostenere spese non trascurabili a tal fine, determina la responsabilità degli amministratori quanto meno per il danno consistente negli esborsi suddetti (Trib. Torino, 20.11.2018, ibidem).

Si è, peraltro, notato che qualora l'inadeguatezza dell'assetto contabile e organizzativo dell'impresa determini l'omessa attivazione dei rimedi approntati dalla legge per risolvere la crisi, si potrebbe ipotizzare la responsabilità dell'amministratore che avesse “lasciato fallire la società senza fare ricorso a soluzioni alternative, quando ve ne sarebbero state invece le condizioni e si possa dimostrare che ciò avrebbe meglio salvaguardato i valori del patrimonio sociale (R. RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, 671 ss. Cfr. anche Cass., 15.5.2019, n.12994).

Oltre al profilo risarcitorio sussistono, comunque, altri rimedi efficaci accordati dal codice civile in presenza di rilevanti violazioni del criterio di adeguatezza, quali:

  • l'annotazione del dissenso del singolo amministratore, ex art. 2392 cpv., alla delibera assunta dal CdA, con conseguente suo esonero da responsabilità e correlativa informazione al collegio sindacale dei fatti occorsi;
  • la denuncia ex art. 2409 c.c. da parte dei sindaci e dei soci qualificati, nel caso in cui le irregolarità gestorie afferenti il profilo di adeguatezza degli assetti siano di tale rilevanza, per dimensione o reiterazione, da assumere il carattere della gravità. Al riguardo si rammenta che la disciplina dettata dall'art. 2409 c.c. è stata estesa anche alle s.r.l., pur se prive di organo di controllo, dal secondo comma dell'art. 379 CCI (che ha introdotto al fine il sesto comma all'art. 2477);
  • la revoca per giusta causa degli amministratori (ex art. 2383, comma 3, c.c.) e dei sindaci (ex art. 2400, comma 2, c.c.), entrambe esperibili su iniziativa dell'assemblea dei soci;
  • l'avocazione da parte del CdA-organo delegante delle deleghe conferite agli organi delegati (ex art. 2381, comma 3, c.c.);
  • la denuncia al collegio sindacale, ex art. 2408 c.c., dei fatti censurabili relativi alla violazione del criterio di adeguatezza o all'organizzazione e gestione dei relativi flussi informativi.

Certamente gli strumenti di allerta interna ed esterna previsti dal Codice della crisi e gli indicatori e indici a tal fine rilevanti riducono notevolmente il margine di discrezionalità imprenditoriale nell'adempimento del dovere di creazione di assetti adeguati, di cui all'art. 2086, comma 2, c.c. in funzione di prevenzione dell'insolvenza. Eppure, come ebbe ad intuire un Maestro del diritto commerciale a proposito della riscrittura societaria del 2003, era già l'art. 2381 a costituire di per sé la più importante novità, il vero banco di prova dell'attuazione della riforma medesima, per il fatto che apprestare un assetto organizzativo adeguato non costituisce un optional, bensì il nerbo e il corpus dell'ente società (V. BUONOCORE, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull'art. 2381, commi terzo e quinto, del Codice civile, in Giur. Comm., 2006, 5).

(Fonte: IlFallimentarista)

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