L'appello penale pandemico dopo la legge di conversione: continua la deroga al codice di procedura penale

28 Gennaio 2021

Il giorno di Natale 2020 è entrata in vigore la l. 176/2020 con la quale il Parlamento, con voto di fiducia, ha convertito in legge i decreti legge Ristori (il n. 137/2020, il n. 149/2020 e il 157/2020). La tecnica legislativa, esplicitata all'articolo 1 della legge, ha previsto la conversione del decreto legge n. 137/2020 e l'abrogazione degli altri due, il n. 149/2020 e il n. 157/2020. Tuttavia, le norme in materia di giustizia introdotte da quest'ultimi decreti sono state recepite nella legge di conversione con modifiche e alcune, importanti, novità.
Introduzione

Il giorno di Natale 2020 è entrata in vigore la l. 176/2020 con la quale il Parlamento, con voto di fiducia, ha convertito in legge i decreti legge Ristori (il n. 137/2020, il n. 149/2020 e il n. 157/2020).

La tecnica legislativa, esplicitata all'articolo 1 della legge, ha previsto la conversione del decreto legge n. 137/2020 e l'abrogazione degli altri due, il n. 149/2020 e il n. 157/2020. Tuttavia,

le norme in materia di giustizia

introdotte da quest'ultimi decreti

sono state recepite nella legge di conversione con modifiche e alcune, importanti, novità.

La legge è una sorta di normativa pandemica omnibus. Alle norme in materia di giustizia sono dedicati gli articoli 23, 23-bis, 23-ter, 23-quater, 23-quinquies e 24.

Il nuovo statuto legislativo dell'appello pandemico ha ribadito gli oneri a carico delle parti la cui inosservanza “scarta” la trattazione dell'appello sui binari cartolari, ma ha anche

introdotto ulteriori forme di inammissibilità delle impugnazioni

.

Il quadro normativo

La legge n.

176/2020

si compone di un solo articolo al quale è

allegato

il testo del decreto legge Ristori (il

n. 137/2020

) convertito con modificazioni (

art. 1 comma 1

cit.).

Non tragga in inganno il comma 2 dell'art. 1, che prevede l'abrogazione dei decreti legge nn. 149 e 157 del 2020.

Infatti, se da un lato, restano “validi gli atti e i provvedimenti adottati e … salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi”, dall'altro, la tecnica legislativa adottata, è stata quella della c.d. successione impropria con il recepimento nel nuovo testo normativo della disciplina prevista dagli originari decreti legge e, in particolare, per quel che qui rileva, dall'art. 23 del decreto legge n. 149/2020.

In questo contributo il focus sarà concentrato sugli articoli 23, 23-bis e 24 della l. 176/2020.

Le novità saranno affrontate con taglio pratico per fornire agli operatori del diritto alcune indicazioni sul

come orientarsi

e sul

come determinarsi

nelle strategie processuali.

Rimangono immutate le perplessità già segnalate in sede di commento alla normativa sull'appello pandemico introdotta dal Ristori bis (

L'appello penale

pandemico: poche norme stravolgono il codice di rito

)
, in particolare quelle sulla scelta del legislatore di “affidare” alla conversione con voto di fiducia lo stravolgimento dello statuto del processo di appello attraverso norme che derogano ai principi e alle regole dettate dal codice di rito.

Il tempo pandemico

Il punto di partenza è quello dell'orizzonte temporale della normativa emergenziale.

Sebbene lo scettico lettore sarà portato a supporre un consolidamento a regime delle

nuove regole

dell'appello penale, esse

si applicheranno dal 24 novembre 2020 sino al 30 aprile 2021 (prima della proroga la data era il 31 gennaio 2021).

Il tempo è però scandito dalla legge di conversione in tre fasi, due delle quali non più attuali ma destinate a perpetuare i propri effetti in ragione della “sanatoria” legislativa sia pure con qualche modifica rispetto al decreto legge.

La

prima fase

, è quella che va dal 9 novembre al 23 novembre 2020.

La

seconda fase

, è quella che va dal 25 novembre 2020 al 9 dicembre 2020.

La

terza fase

, è quella che va dal 10 dicembre 2020 al 30 aprile 2021 (dopo la proroga).

Le prime due fasi

rilevano solo ai fini della

sanatoria

: l'articolo 1 comma 2 della l. 176/2020 fa infatti salvi gli “atti e i provvedimenti adottati” nonché “gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti” sulla base del decreto legge n. 149/2020.

Ne segue che:

  • per la

    prima fase

    , cioè per i processi di appello celebrati nel periodo compreso tra il

    9 e il 23 novembre 2020, nulla è cambiato.

    Tali processi furono “trattati” secondo le regole ordinariamente previste dal codice di procedura penale e l'art. 23-bis comma 5 della l. 176/2020 dispone che «Le disposizioni [pandemiche] non si applicano nei procedimenti nei quali l'udienza per il giudizio di appello è fissata entro il termine di quindici giorni

    a far data dal 9 novembre 2020

    »;
  • per la

    seconda fase

    , cioè per i processi di appello trattati nel periodo compreso tra il

    24 novembre e il 9 dicembre 2020

    vige(va) il

    regime “derogatorio della deroga”

    , ora disciplinato dall'art. 23-bis comma 6 della l. 176/2020: la parte che intende(va) fare istanza di discussione orale doveva presentare richiesta entro cinque giorni (il termine era perentorio, ma non era libero).
  • per la

    terza fase

    , quella che va dal

    10 dicembre 2020 al 30 aprile 2021

    , la parte che voglia fare richiesta di discussione orale deve presentare l'istanza entro quindici giorni liberi (dunque sedici giorni prima) ex art. 23-bis comma 4 l. 176/2020.

Il regime pandemico e l'imputato

. La medesima “possibilità” accordata al difensore è riservata all'imputato, che può chiedere, per il tramite del difensore, la discussione orale della causa nei termini che si sono da ultimo esaminati (art. 23-bis comma 4 ultima parte l. 176/2020).

Fanno naturalmente eccezione i processi con imputati detenuti a qualsiasi titolo: ai sensi dell'art. 23 comma 4 l. 176/2020 «la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale».

Il tempo “confuso” del legislatore frettoloso

La legge di conversione prevede espressamente che

gli effetti decorrono “a far data dal 9 novembre 2020

.

È ora, dunque, evidente che i termini dell'appello pandemico relativi alle prime due fasi devono essere fissati, rispettivamente al 23 novembre 2020 e al 9 dicembre 2020 (

dies a quo computatur

:a far data dal 9 novembre…).

Ma il testo originario, quello cioè del decreto legge, aveva una diversa “formulazione”: l'art. 23 comma 5 del d.l. 149/2020 dispone(va) infatti che la novella non si applica(va) ai giudizi di appello fissati «entro il termine di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Com'è evidente, quindi, nella previsione del decreto d'urgenza, diversamente che da quella della legge di conversione, dies a quo

non computatur

. Poiché il decreto legge è entrato in vigore il 9 novembre 2020, sino a tutto il 24 novembre 2020 compreso (prima fase), e sino a tutto il 10 dicembre 2020 compreso (seconda fase), nulla cambia(va) sulla base delle previsioni del decreto legge.

Si pone dunque il

problema

di stabilire cosa ne sia delle

udienze di appello del 24 novembre 2020

al fine di verificare, rispettivamente, se esse andassero trattate secondo le regole ordinarie ovvero secondo il regime “pandemico”.

Analogo problema

si pone anche con riferimento

alle udienze del 10 dicembre 2020

quanto al termine di scadenza dell'istanza di discussione orale.

La questione non è di poco momento, giusta l'evidente differenza sui “termini” che la legge di conversione ha introdotto rispetto al decreto legge.

In altre parole, stando alla lettera della legge di conversione, in assenza dell'istanza di discussione orale presentata dalle parti, il 24 novembre 2020 la trattazione avrebbe dovuto essere cartolare; e così, analogamente cartolare, avrebbe dovuto essere la trattazione dell'udienza del 10 dicembre 2020, in assenza di un'istanza di discussione orale presentata entro il 24 novembre (quindici giorni liberi prima).

Riteniamo, tuttavia, che si sia

in presenza dell'ennesima “schizofrenia” legislativa

, figlia del pressappochismo con il quale vengono “concepite” norme dirette a incidere su questioni esiziali.

Infatti,

l'articolo 1 comma 2 della l. 176/2020

fa salvi

gli “atti e i provvedimenti adottati” nonché “gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti” sulla base del decreto legge n. 149/2020. Ne segue che,

gli effetti

del regime eccezionale disciplinato

dalla decretazione d'urgenza devono essere posposti di un giorno

- rispettivamente sino a tutto il 24 novembre e sino a tutto il 10 dicembre 2020 - come avevamo segnalato nel precedente contributo (

L'appello penale

pandemico: poche norme stravolgono il codice di rito

).

La disciplina del nuovo appello penale: scenari e mappe di orientamento

Ecco, per punti,

gli scenari alternativi

secondo i quali si celebrerà il giudizio di appello

sino al 30 aprile 2021

.

A) Prima ipotesi di giudizio di appello: tutto come prima.

Ha

appellato il pubblico ministero

(e/o la parte civile) per motivi attinenti alla

valutazione della prova

(art. 603 comma 3-bis c.p.p.):

l'udienza

si celebrerà secondo le regole tradizionali della

trattazione orale

previste dal codice di rito.

Sarà un'udienza orale e pubblica (salva la celebrazione a porte chiuse a causa delle restrizioni sanitarie, art. 23 comma 3 l. cit.) e le parti non dovranno far altro che attendere la notifica dell'avviso ex art. 601 comma 5 c.p.p. Indi interverranno all'udienza discutendo la causa, more solito.

Infatti, ai sensi dell'art. 603 comma 3-bis c.p.p., in casi simili, il giudice di appello

deve

rinnovare l'istruttoria e l'art. 23-bis comma 1 della l. 176/2020 deroga alla disciplina transitoria «fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». Se, infatti, è ben vero che il giudice di appello non sia tenuto sempre a disporre la “riassunzione” della prova, in quanto potrebbe ritenerla superflua ai fini della conferma assolutoria secondo la regola del dubbio ragionevole, riteniamo che il contraddittorio debba essere innescato in udienza orale, dal momento che l'art. 23-bis comma 1 cit, non lascia spazio ad altre interpretazioni.

Va da sé che deve procedersi analogamente, e previo contraddittorio orale, anche nell'ipotesi in cui l'atto di appello non contenga la obbligatoria richiesta di rinnovazione dell'istruttoria. In casi del genere, infatti, il giudice deve dichiarare in via preliminare inammissibile l'appello ai sensi degli articoli 581 comma 1 lett. c) c.p.p. e 591 comma 1 lett. c) c.p.p., sulla (mera) constatazione che mancano i requisiti legali dell'atto.

Sono però esclusi dalla trattazione “tradizionale e codicistica” gli atti di appello del pubblico ministero e della parte civile che devolvano alla cognizione del giudice di appello questioni diverse da quelle attinenti alla valutazione della prova

come, ad esempio, questioni sull'illegalità della pena ovvero, per la parte civile, questioni attinenti al quantum risarcitorio ovvero alla formula assolutoria.

In casi simili, la corte d'appello potrebbe procedere nelle forme cartolari meglio indicate al punto che segue.

B) Seconda ipotesi: il nuovo appello emergenziale.

In tutti gli altri casi di appello, la corte d'appello procede con la

"trattazione scritta"

(art. 23 comma 1 l. 176/2020), secondo il

nuovo, ordinario, statuto dell'appello penale

.

Vediamo come "funziona" la trattazione scritta.

Ai sensi dell'art. 601 comma 5 c.p.p. il presidente della Corte fa notificare alle parti l'avviso dell'udienza.

A questo punto

il pubblico ministero formula le conclusioni con atto scritto

trasmesso alla cancelleria del giudice entro il decimo giorno precedente l'udienza.

La cancelleria

, a sua volta,

trasmette

le conclusioni

immediatamente

(id est: subito) ai difensori delle altre parti, i quali entro il quinto giorno precedente l'udienza possono presentare le conclusioni con atto scritto trasmesso secondo le (obbligatorie) modalità introdotte dall'art. 24 della l. 176/2020 (si veda, infra,

Cosa e come si deposita: le nuove forme di impugnazione a mezzo pec e le inammissibilità

).

Nel silenzio della norma, continua a non esser chiaro cosa ne sia dell'ordine (art. 523 c.p.p.) della "discussione scritta", atteso che, a rigore, quella della difesa dell'imputato deve seguire, per ultima, quella delle altre parti. Neppure la legge di conversione ha risolto i dubbi sui tempi di trasmissione delle discussione scritte delle parti private che, com'è previsto dal codice, devono precedere quelle della difesa dell'imputato. Rimane, infine, ancora dubbio quando la cancelleria debba dare avviso alle parti che è stata presentata un'istanza di discussione orale.

Con questa "forma" di

pseudo contraddittorio scritto

, il giudice di appello procede in camera di consiglio e fa comunicare il provvedimento reso alle parti (art. 23-bis comma 3 l. cit.).

Il legislatore non ha tenuto conto delle critiche alla “remotizzazione” delle Camere di consiglio

; critiche che in molti distretti hanno comportato l'adozione di una protocollazione in deroga al regime normativo.

Tuttavia, anche nella legge di conversione, si continua a parificare alla Camera di consiglio il “luogo da cui si collegano i magistrati” (art. 23 comma 9 l. cit.), così, di fatto, “pixelizzando” la collegialità con ogni intuibile detrimento della “qualità” del momento decisionale.

C) Terza ipotesi:l'istanza di discussione orale.

Ecco la

rivoluzione copernicana

introdotta dal legislatore “pandemico”.

Le parti che intendono veder celebrato il giudizio di appello nel pieno rispetto delle previsioni codicistiche,

devono fare richiesta di discussione orale

entro il termine perentorio di quindici giorni liberi (cioè sedici, ndr) previsto a pena di decadenza (art. 23-bis comma 4 l. 176/2020).

Costituisce una

novità della legge di conversione

(art. 23 comma 7 l. cit.), che non era prevista dal decreto legge Ristori bis, l'estensione del regime pandemico anche ai

procedimenti

per le misure di

prevenzione

e agli

appelli cautelari

, con la sola eccezione che deriva dalle peculiarità dei procedimenti camerali:

in questi casi l'istanza di discussione orale deve essere presentata cinque giorni liberi

(cioè sei, ndr) prima dell'udienza, a pena di decadenza.

Cosa e come si deposita: le nuove forme di presentazione dell'impugnazione a mezzo pec e le nuove inammissibilità

L'aspetto più innovativo e delicato

della legge di conversione, soprattutto per le conseguenze sull'inammissibilità, è costituito dalle

nuove forme di presentazione a mezzo pec delle impugnazioni

disciplinate dall'art. 24 commi da 6-bis a 6-decies della l. 176/2020.

Il legislatore continua a emanare

novità che disciplinano il deposito

degli atti e, ora, anche

delle impugnazioni

, per le quali sono state previste

forme di inammissibilità ulteriori

rispetto a quelle codificate.

La faccenda si è enormemente complicata

sebbene, per ironia della sorte, la rubrica della norma rechi “disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, mentre

non è dato sapere

cosa ne sia di quel

generale principio

, a tutti noto, che va sotto il nome di

favor impugnationis

.

Dove eravamo rimasti

: nella breve vigenza del decreto legge Ristori (il n. 137/2020) non era chiaro se con il lemma «tutti gli atti» si fosse inteso far riferimento anche alle impugnazioni e ai motivi nuovi. Per di più la Corte di Cassazione Sez. I, n. 2840 del 3 novembre 2020, con una sentenza che aveva avuto larghissima eco e diffusione, aveva escluso l'ammissibilità del deposito dei motivi nuovi a mezzo pec. Per tali ragioni, il consiglio che si era dato in un primo momento era quello di evitare di inviare a mezzo pec gli atti di impugnazione. Quel consiglio va oggi rivisto alla luce della legge di conversione.

Quel che non cambia.

Continua a essere possibile il deposito delle impugnazioni alla “maniera tradizionale”, cioè nelle forme cartacee previste dal codice di procedura penale, come chiaramente si ricava dalla lettera della norma che, al comma 6-bis dell'art. 24 l. cit., fa salva la disciplina codicistica (“fermo quanto previsto dagli articoli 581, 582, comma 1, e 583 del codice di procedura penale “).

A questa forme tradizionali s'aggiunge ora la

novità del deposito a mezzo pec delle impugnazioni

. Occorre prestare particolare attenzione alle nuove disposizioni per effetto delle

inammissibilità

che esse recano e che autorizzano, addirittura, il

giudice a quo

a dichiararle (art. 24 comma 6-septies l. cit.).

Forme dell'atto

. L'atto di impugnazione dev'essere innanzitutto un documento informatico sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate dal DGSIA e dev'essere inviato agli indirizzi PEC rilasciati dal medesimo DGSIA (v. modalità e indirizzi).

In parole semplici

: l'

atto di impugnazione

dev'essere formato con un qualsiasi documento di elaborazione testi (word, pages odt etc.) e dev'essere poi convertito in pdf (c.d. pdf nativo). A questo punto, il pdf dev'essere firmato digitalmente mediante l'utilizzo di un programma di firma digitale (art. 24 comma 6-bis l. cit.).

Se l'atto di impugnazione reca

allegati

, essi devono essere espressamente indicati nell'atto stesso e devono essere trasmessi “in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale”.

In parole semplici

: gli allegati devono essere scannerizzati; al documento dev'essere aggiunta la formula “per conformità all'originale cartaceo conservato ai miei atti ai sensi dell'art. 24 comma 6 bis l. 176/2020”; esso deve quindi essere sottoscritto con firma digitale secondo le modalità che si sono esaminate sopra per la firma dell'atto di impugnazione principale.

Così formati, l'atto di impugnazione e gli eventuali allegati

potranno essere trasmessi utilizzando una pec inserita presso il registro generale

degli indirizzi certificati di cui all'art. 7 del regolamento del Ministero della giustizia 21 febbraio 2011 n. 44.

Per gli avvocati

, com'è noto, sussiste l'obbligo (art. 16 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con mod. dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2), di comunicare all'Ordine di appartenenza il proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Gli indirizzi vengono poi comunicati dal COA al Registro Generale. In accordo con quanto regolamentato dal DM 44/2011, il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della Giustizia, contiene i dati identificativi nonché l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni ovvero: 1) appartenenti ad un ente pubblico; 2) professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge; 3) ausiliari del giudice non appartenenti ad un ordine di categoria o che appartengono ad ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l'albo al Ministero della giustizia (questo non si applica per gli avvocati, il cui specifico ruolo di difensore implica che l'invio dell'albo deve essere sempre fatto dall'ordine di appartenenza o dall'ente che si difende).

In sintesi,

quindi, occorre

utilizzare la pec che è stata già comunicata al proprio Ordine di appartenenza

(e solo quella!), avendo cura di verificare che essa non sia scaduta.

Quanto all'

indirizzo pec del destinatario dell'atto di impugnazione

, esso va individuato con particolare

cautela

.

Infatti, l'atto di impugnazione

va inviato solo

- e soltanto -

all'indirizzo pec

dell'

ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato utilizzando gli indirizzi dedicati e appositamente indicati dal DGSIA

(al link gli indirizzi da utilizzare), ex art. 23 comma 6-ter l. cit.

Per

esemplificare

occorre utilizzare gli indirizzi del tipo

depositoattipenali.tribunale.LUOGO@giustiziacert.it, mentre

non è consentito l'utilizzo di indirizzi pec diversi

, quali ad esempio quelli delle cancellerie del giudice che ha emesso il pro vv edimento impugna to (penale.tribunale.LUOGO@giustiziacert.it).

Un'avvertenza non di poco momento

: nel caso di

presentazione

degli atti di impugnazione

a mezzo pec non si applica l'art. 582 comma 2 c.p.p.

Anche

le parti private

, pertanto, dovranno sempre inviare l'atto a mezzo pec all'indirizzo del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato

e non potranno

, come avviene nel caso di deposito cartaceo,

depositare

l'atto a mezzo pec

presso la cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano

(art. 24 comma 6-ter, ult. parte, l. cit.)

.

Per quel che qui rileva, le medesime regole di applicano alle altre impugnazioni (opposizioni ex artt. 410, 461, 667 comma 4 c.p.p.).

Una deroga

è invece prevista per il

riesame

e per l'

appello

in materia di misure

cautelari

personali. In casi simili l'atto di impugnazione a mezzo pec, in deroga al regime previsto dal comma 6ò-ter che abbiamo appena esaminato, va trasmesso

all'indirizzo pec del tribunale distrettuale

individuato ai sensi del comma 7 dell'art. 309 c.p.p. (ex art. 24 comma 6-quinquies l. 176/2020).

Un'ulteriore avvertenza va però fatta per le misure cautelari reali.

Sebbene il comma 6 quinquies cit. faccia riferimento anche alle cautele reali, al frettoloso legislatore è sfuggito che, in casi simili, il codice di procedura penale prevede la competenza del tribunale circondariale, capoluogo di provincia. Ne segue che

l'impugnazione va trasmessa nelle forme ordinarie previste dal comma 6 ter

all'indirizzo pec dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato e non a quello del tribunale.

Ultima notazione

: sfuggono alle regole del deposito degli atti disciplinato dall'art. 24 l. 176/2020 cit., quelle relative al deposito delle memorie ex art. 415-bis comma 3 c.p.p. alle quali, ai sensi dell'art. 24 cit., commi 1 e 2, si applica il diverso regime di deposito del portale degli atti penali (v. il Manuale in allegato) e per i quali è vietato ricorrere all'invio a mezzo pec che abbiamo sin qui esaminato (ex art. 24 comma 6 l. cit.).

Gravi conseguenze sono previste per l'omessa osservanza delle disposizioni in materia di invio degli atti a mezzo pec.

Il comma 6-sexies dell'art. 24 l. cit., prevede infatti che

in aggiunta alle cause di inammissibilità

previste dal codice (art. 591 c.p.p.)

l'impugnazione è altresì inammissibile

(art. 24 comma 6 sexies l. cit.) quando:

a

) non è sottoscritta digitalmente;

b

) gli allegati non sono autenticati digitalmente;

c

) l'atto è trasmesso da un indirizzo pec non presente sul ReGIndE;

d

) l'atto è trasmesso da un indirizzo pec non intestato al difensore (non è dunque possibile servirsi della pec di un collega);

e

) quando l'atto è trasmesso ad una pec dell'ufficio destinatario diversa da quella consentita.

Come detto, in casi simili, è il giudice a quo che dichiara inammissibile l'impugnazione.

Infine, una sanatoria è prevista per tutti gli atti trasmessi prima dell'entrata in vigore della legge, purché inviati secondo le modalità previste dal comma 4 (art. 24 comma 6-decies l. cit.).

In conclusione

Avevamo già segnalato le numerose aporie della decretazione d'urgenza (M. Siragusa, L'appello penale pandemico: poche norme stravolgo il codice di rito). Qui preme evidenziare come la legge di conversione abbia perso l'occasione di porre rimedio alla frettolosità del legislatore dell'esecutivo.

Occorre denunciare il pressappochismo legislativo

, certamente covato da ideologici che non hanno mai frequentato le aule di giustizia.

Ancora una volta

siamo in presenza di un'occasione mancata

e di una tecnica normativa inosservante i fondamentali del diritto processuale penale.

Il principio del favor impugnationis

è stato sacrificato sull'altare di un burocratico sistema delle impugnazioni a mezzo pec.

Il sistema delle impugnazioni è stato a sua volta “

appesantito

” da un sistema sanzionatorio processuale, quello sulle

nuove inammissibilità

, di chiaro

stampo autoritario

.

Se l'intenzione fosse stata quella di semplificare per le ragioni di emergenza sanitaria (come recita la rubrica dell'art. 24 l. 176/2020) sarebbe stato sufficiente recepire l'emendamento all'art. 24 del decreto legge Ristori bis proposto dalla Camera Penale di Trapani e fatto proprio dai Senatori Balboni, Calandrini, De Carlo e de Bertoldi. Quell'emendamento, senza inutili sanzioni processuali, equiparava al deposito degli atti penali in cancelleria l'invio (del documento informatico, firmato digitalmente) mediante PEC verso l'indirizzo dedicato dell'autorità giudiziaria legittimata a riceverlo in via cartacea (v. l'emendamento).

Sono noti gli ispiratori di queste riforme, come ne sono note le ideologie e gli obiettivi. E non è un caso che il bersaglio contro il quale è stata rivolta l'azione restauratrice sia il sistema delle impugnazioni e, in particolare, l'appello penale, cioè l'ultimo istituto, in un sistema non più (e forse mai) accusatorio, destinato a contenere il rischio dell'errore giudiziario.

In conclusione, queste riforme

allontanano l'idea di un processo liberale e garantista

, e

introducono la burocrazia processuale.

Siamo ormai avviati verso un sistema nel quale prevalgono inutili forme e balzelli, impicci e trappole, con il compito di far

prevalere la deflazione della forma sulla garanzia della sostanza.

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