Lo sviamento di potere nel nuovo reato di abuso d'ufficio: un ritorno al passato

03 Febbraio 2021

La Cassazione nella sentenza riafferma un principio consolidato in giurisprudenza, secondo il quale l'esercizio del potere discrezionale che “trasmodi in una vera e propria disfunzione funzionale dei fini pubblici, cosiddetto sviamento di potere, laddove risultino perseguiti nel completo svolgimento delle funzioni e del servizio interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali il potere discrezionale è stato attribuito”, ricade nella previsione di cui all'art. 323 c.p.
Premessa

La sentenza della Cassazione Sez. VI del 9/12/2020 n. 442 si rivela estremamente interessante, perché affronta uno dei nodi principali della riforma del reato di abuso d'ufficio.

All'imputato, quale commissario straordinario e direttore generale di un'azienda ospedaliera, veniva contestato il reato di abuso d'ufficio, perché con delibera del 22/12/2010 aveva illegittimamente dequalificato il servizio di prevenzione e protezione da struttura complessa a struttura semplice, depotenziando la posizione giuridica ed economica del suo direttore e privandolo dell'indennità di posizione.

Sia in primo che in secondo grado i giudici di merito avevano ritenuto l'imputato responsabile del reato di abuso d'ufficio, perché, in assenza di urgenti esigenze riorganizzative dell'azienda, aveva destrutturato l'organigramma dell'azienda al fine di danneggiare la posizione economica del direttore della struttura complessa.

Nonostante la prescrizione del reato la Corte di Cassazione affronta il profilo giuridico, alla luce della riforma dell'abuso d'ufficio introdotta con la legge 11/9/2020 n. 120, che ha sostituito le parole norme di legge e di regolamento con quelle di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità.

Ritorno al passato

La Cassazione nella sentenza riafferma un principio consolidato in giurisprudenza, secondo il quale l'esercizio del potere discrezionale che “trasmodi in una vera e propria disfunzione funzionale dei fini pubblici, cosiddetto sviamento di potere, laddove risultino perseguiti nel completo svolgimento delle funzioni e del servizio interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali il potere discrezionale è stato attribuito”, ricade nella previsione di cui all'art. 323 c.p.

Ancora una volta l'eccesso di potere, nella forma dello sviamento, torna ad assumere un ruolo centrale nella dinamica del reato di abuso d'ufficio.

Eppure dalla lettura della norma sembrerebbe che il legislatore, nel riformulare l'art. 323 c.p., abbia introdotto un principio innovativo, secondo il quale la violazione di specifiche regole di condotta caratterizzate da margini di discrezionalità, non dovrebbe integrare il reato di abuso d'ufficio, con ciò statuendo il venir meno della rilevanza penale dell'esercizio del potere discrezionale (VICICONTE-RIDARELLI, Il nuovo abuso d'ufficio e la difficile convivenza tra diritto penale e diritto amministrativo, in ilPenalista, 29/09/2020).

In altre parole sembrerebbe che, con la riforma, si sia voluto neutralizzare le forme più gravi e diffuse di sfruttamento dell'ufficio o di favoreggiamento affaristico ai fini privati, che rappresentano le manifestazioni più significative dell'uso scorretto del potere discrezionale.

Infatti lo sviamento del potere, quale l'inserimento di una prospettiva privatistica nell'esercizio di una funzione pubblica, che fa deviare l'atto dalla sua causa tipica, costituisce la manifestazione patologica del potere discrezionale.

La discrezionalità amministrativa consiste nella facoltà, accordata al funzionario pubblico, di scegliere tra più comportamenti giuridicamente leciti ed è finalizzata al soddisfacimento dell'interesse pubblico previsto dal legislatore. Interesse che costituisce il limite fondamentale dell'attività amministrativa, che non può essere indirizzata alla realizzazione di un interesse privato, attuabile, peraltro, solo in via indiretta, in quanto sia soddisfatto l'interesse pubblico.

La scelta deve corrispondere agli scopi per cui il potere viene esercitato e non deve collidere con l'interesse per cui il potere è stato conferito (si veda CORINGELLA, Corso di diritto amministrativo, profili sostanziali e processuali, Tomo II, V edizione, Milano, 1312, secondo cui ogni potere attribuito all'amministrazione è in via preventiva funzionalizzato dal legislatore stesso al perseguimento di un fine prestabilito: non si può adottare un atto che esercita un certo potere (ad esempio atto di destituzione dell'impiego per carenza dell'idoneità fisica) per conseguire un fine che avrebbe richiesto l'adozione di un diverso atto, costituente esercizio di un diverso potere (destituzione per motivi disciplinari).

L'attività discrezionale della pubblica amministrazione è però caratterizzata dal fatto che l'interesse pubblico coesista spesso, per non dire sempre, con l'interesse collettivo e privato di cui la pubblica amministrazione deve tenere conto. Da qui la distinzione tra interesse pubblico, cioè primario di cui la P.A. è portatrice, e interessi secondari che attengono agli interessi collettivi o privati dei quali la P.A. (GIOVANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1988, II, 483), nel momento in cui esercita il potere discrezionale, è tenuta a compiere una valutazione comparativa con l'interesse primario.

In conclusione la discrezionalità amministrativa si manifesta come attività di scelta fra più soluzioni possibili, ma secondo direttive che impongono il perseguimento dell'interesse pubblico, anche se nella realtà si deve tener sempre conto degli interessi secondari che ad esso si contrappongono.

Ad esempio in tema di espropriazione per pubblica utilità l'amministrazione è titolare di un ampio potere discrezionale nella scelta dell'area da espropriare per realizzare un'opera pubblica. Nell'esercizio di questo potere discrezionale la P.A., il cui interesse primario riguarda l'esecuzione dell'opera pubblica, non deve sacrificare inutilmente la posizione dei privati, espropriando l'area di sua proprietà senza valutare soluzioni alternative, quando si dimostri che l'opera pubblica poteva essere realizzata senza effettuare quell'esproprio.

Ma soprattutto la pubblica amministrazione, o meglio il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio nell'esercizio del loro potere discrezionale, nel momento in cui operano la scelta dell'area da espropriare, non devono favorire persone a loro legate, da ragioni di interesse, in danno di altri soggetti.

Sempre di scelta discrezionale si dovrà parlare a proposito di un appalto che viene aggiudicato dall'impresa amica del pubblico ufficiale, che ha pilotato il bando di gara, favorendo l'impresa amica nella scelta dei mezzi per la realizzazione dell'opera.

In questo, come in altri esempi di favoritismo affaristico o di sfruttamento privato dell'ufficio, l'uso scorretto della funzione o del potere da parte del pubblico ufficiale si traduce in una scelta di interessi contrapposti, finalizzata a favorire interessi privati: scelta che è l'espressione classica del potere discrezionale della pubblica amministrazione.

Un legislatore schizofrenico e difficoltà interpretative

Sembrerebbe che, con l'ultima riforma del reato di abuso di ufficio, si sia effettivamente voluto eliminare dal panorama dell'illecito penale l'uso distorto dei poteri discrezionali del funzionario pubblico verso fini privati.

L'atteggiamento del legislatore, in realtà, si rivela quanto meno schizofrenico, perché non è pensabile che abbia inteso legittimare e quindi sottrarre a sanzione penale le forme patologiche che possono caratterizzare l'agire della Pubblica Amministrazione quali il favoritismo affaristico, lo sfruttamento dell'ufficio, la prevaricazione per scongiurare la paralisi dell'attività pubblica, che si muoverebbe in una quotidiana cornice d'insicurezza, perché altrimenti sarebbe stato più coerente abrogare direttamente il reato di abuso d'ufficio.

Il fatto che il reato di abuso d'ufficio sia stato mantenuto nello statuto penale della Pubblica Amministrazione non può che significare che l'uso distorto del potere discrezionale da parte del pubblico ufficiale verso fini privati non ha perso la sua rilevanza penale.

Ed infatti la Cassazione con la sentenza in commento sembra confermare questa soluzione nel senso di limitare la responsabilità penale del pubblico funzionario, qualora le regole comportamentali “gli consentono di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa, anche tecnica: intesa, questa nel suo nucleo essenziale come autonoma scelta di merito, effettuato all'esito di una ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati dell'interesse pubblico da perseguire in concreto”. Mentre assume rilevanza penale l'esercizio del potere discrezionale “che trasmodi in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici, c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità”.

Il richiamo fatto nella sentenza all'eccesso di potere nella forma dello sviamento rappresenta un inevitabile ritorno al passato, perché la sentenza non fa che riaffermare il costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel vigore della precedente disciplina, la condotta del funzionario pubblico, orientata alla realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è stato conferito, integrava il reato di abuso d'ufficio (Cass. Pen., Sez. Un., 29/11/2011, n. 155/2012).

Se la sentenza della Cassazione n. 442/2020 non lascia dubbi sulla rilevanza penale dello sviamento di potere, nonostante la recente riforma dell'abuso d'ufficio, il criterio fornito, per distinguere le forme patologiche dell'esercizio del potere discrezionale da quelle che non ricadono nella previsione dell'art. 323 c.p., non è chiaro.

Nella sentenza si legge che la “nuova disposizione normativa ha dunque un ambito applicativo più ristretto rispetto a quello definito con la previgente definizione della modalità della condotta punita, sottraendo al giudice penale tanto l'apprezzamento per l'inosservanza di principi generali o di forme normative di tipo regolamentare o sub primario (neppure secondo il classico schema della eterointegrazione, cioè della violazione mediata di norme di legge interposte), quanto il sindacato del mero “cattivo uso” - la violazione dei limiti interni nelle modalità di esercizio – della discrezionalità amministrativa”.

La distinzione si fonderebbe sulla diversa violazione dei limiti esterni o dei limiti interni della discrezionalità amministrativa, laddove la violazione dei primi (limiti esterni) darebbe luogo alle forme patologiche dell'esercizio del potere discrezionale, mentre la violazione dei limiti interni si tradurrebbe nel “cattivo uso” di quel potere, estraneo, però, al reato di abuso d'ufficio.

Il tema dei limiti esterni ed interni del potere discrezionale della pubblica amministrazione è estremamente complesso.

Ed è difficile fornire un criterio distintivo tra limiti interni o limiti esterni della discrezionalità e tra uso patologico e “cattivo uso” del potere discrezionale per distinguere lo sviamento di potere penalmente rilevante da quelle forme di cattivo uso del potere discrezionale, inidonee ad integrare il reato di abuso d'ufficio.

Ancora una volta nel momento in cui nell'interpretare la nuova norma, salvo ripensamenti, la Cassazione ritiene che lo sviamento di potere da parte del funzionario pubblico possa violare l'art. 323 c.p. il criterio di verifica non può che essere quello di accertare se la condotta del pubblico agente sia orientata alla realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere gli è stato conferito.

È chiarò che di fronte all'orientamento espresso, fin da subito, dalla giurisprudenza l'intenzione del legislatore di sottrarre ancora una volta al sindacato del giudice penale l'esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione risulta essere notevolmente limitato (ROMANO, Il nuovo abuso d'ufficio e l'abolitio criminis parziale, in Dalle Corti, Corte di Cassazione 19/1/2021)

Guida all'approfondimento

Sul tema dei limiti esterni ed interni del potere discrezionale della pubblica amministrazione, la giurisprudenza parla prevalentemente di limiti esterni ed interni con riguardo alla giurisdizione (cfr. ex multis Cass. civ. Sez. Unite Sent., 09/06/2011, n. 12539, Cass. civ. Sez. Unite Sent., 09/11/2011, n. 23302), non alla discrezionalità. È invece la dottrina che si concentra nel distinguere limiti esterni ed interni alla discrezionalità amministrativa. Massimo Severo Giannini parla di limite (o vincolo) esterno all'agire della pubblica amministrazione, quando lo stesso deriva da una norma di legge e la sua trasgressione dà luogo ad una violazione di legge (cioè quando, sostanzialmente l'attività della P.A. è vincolata). Il che equivale a dire che la nozione di limite esterno alla discrezionalità coincide con l'assenza di discrezionalità costituendone dunque confine (esterno). Il vincolo (o limite) è interno, quando invece deriva da una norma interna, o meglio una disposizione dettata da un'autorità superiore come una circolare, un atto direttivo di carattere generale o un atto attuativo. In tal caso la trasgressione dà luogo a un'ipotesi di eccesso di potere (che è una delle figure del vizio dell'atto amministrativo) con conseguente possibile responsabilità amministrativa del funzionario (GIANNINI M. S. “Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi” (1939) in “Scritti”, Vol. 1, Milano, 2000, Giuffrè, 51-56). La dottrina più recente sposando il pensiero del Giannini inserisce fra le figure sintomatiche dell'eccesso di potere la “violazione di norme interne”, quali le circolari. (VILLA R., RAMAJOLI M., Il provvedimento amministrativo, Giappichelli Editore, Torino, 2000, pag. 475). Infine il collegamento fra la violazione dei cd. limiti interni all'attività discrezionale della Pubblica Amministrazione e l'eccesso di potere è riconosciuto da VIRGA che afferma che “ sotto lo schema di eccesso di potere si raggruppano tutte le violazioni di quei limiti interni della discrezionalità amministrativa, che, pur non essendo consacrati in norme positive, sono inerenti alla natura stessa del potere esercitati” (VIRGA p., Diritto Amministrativo, Seconda Edizione, Milano 1992, p. 125) ed identifica tali limiti: nell'interesse pubblico; nella causa del potere esercitato; nei precetti di logica e di imparzialità

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