Il riparto di competenze tra T.o. e T.m sulle domande economiche: una questione irrisolta

11 Novembre 2020

Il Tribunale di Pavia, con la pronunzia in questione affronta il problema del riparto delle competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, con riferimento a una questione (quella dell'assegno perequativo) che...
Massima

Ove, al momento dell'instaurazione di un giudizio ex art. 316-bis c.c., sia già pendente innanzi al Tribunale per i minorenni procedimento per l'adozione di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, il Tribunale ordinario -adito successivamente- è funzionalmente incompetente all'adozione di provvedimenti di contenuto economico, trattandosi di domande di competenza del Tribunale per i minorenni preventivamente adito.

Il caso

Tizia, madre di Sempronia nata dalla sua relazione con Caio, deposita ricorso al Tribunale per i minorenni, svolgendo domande relative all'esercizio della responsabilità genitoriale e assegno perequativo, nonché domanda di decadenza del padre dalla responsabilità genitoriale. Nell'ambito del procedimento il Tribunale per i minorenni avvia indagini tramite i Servizi Sociali e non si pronuncia sull'eventuale incompetenza in punto assegno di mantenimento.

Successivamente, Tizia formula le medesime domande, esclusa quella di decadenza, con ricorso innanzi al Tribunale ordinario il quale, preso atto della pendenza di analogo procedimento innanzi al Giudice minorile, declina la propria competenza a favore di quest'ultimo.

La questione

Il Tribunale di Pavia, con la pronunzia in questione affronta il problema del riparto delle competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, con riferimento a una questione (quella dell'assegno perequativo) che non risulta essere stata esaminata nei pur numerosi arresti della Suprema Corte sul punto (Cass. civ., ord. 26 gennaio 2015, n. 1349; Cass. civ., 12 febbraio 2015, n. 2833; Cass. civ., 12 settembre 2016; n. 17931; Cass. civ., 23 gennaio 2019, n. 1866; Cass. civ.,30 gennaio 2020, n. 2073; cfr. anche L.M. Cosmai, Art. 38 disp. Att. c.c.: resta la competenza del Tribunale per i minorenni se è adito per primo, in ilFamiliarista.it; Muscio R., Riparto di competenza tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario nei procedimenti de potestate, in ilFamiliarista.it): quale Giudice è competente a decidere sulle domande di contenuto economico nel caso di contemporanea pendenza di procedimento innanzi al Tribunale per i minorenni e innanzi al Tribunale ordinario? Il criterio della prevenzione vale anche per le domande aventi contenuto economico?

Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento, seppur con sintetica motivazione, assume che il Tribunale per i minorenni preventivamente adito ex art. 330/333 c.c. "diventi" competente anche per la decisione sull'ammontare dell'assegno perequativo, operandosi così una vis actractiva basata sul criterio della prevenzione. Così in motivazione: «Il Collegio ritiene pertanto che, stante la pendenza avanti al T.M. di procedimento precedentemente iscritto, cui partecipano sia la ricorrente che il resistente, avente ad oggetto tutte le domande del presente procedimento, compresa la richiesta di carattere economico, va ritenuta la competenza del Tribunale precedentemente adito, che oltre a pronunciarsi sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale, dovrà rispondere anche in ordine a tutte le ulteriori domande avanti allo stesso formulate"; ciò anche in ragione del "principio di concentrazione delle tutele" e ciò "al fine di evitare il rischio di pronunce contrastanti».

In altre parole: il Tribunale per i minorenni, se adito per primo – dalle parti o anche dal P.M.- ha competenza esclusiva a decidere anche sulle questioni economiche.

La decisione in commento trova un precedente in alcuni provvedimenti del Tribunale ordinario di Milano -secondo il quale il procedimento preventivamente instaurato innanzi al Trib. Min. ex art. 330 c.c.attrae” anche le domande di natura economica (Trib. Milano, 26 giugno 2019; cfr. anche Trib. Milano, 18 giugno 2020) - e del Tribunale di Pavia (Trib. Pavia, 9 luglio 2020, v. anche Costabile C., A chi spetta la competenza a decidere sul mantenimento del figlio naturale in pendenza di procedimento ex artt. 330/333 c.c. dinanzi al Tribunale dei Minorenni?, in ilFamiliarista.it) che ha sollevato regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c. innanzi alla Suprema Corte di Cassazione.

Osservazioni

Evoluzione storica del riparto delle competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni

Il riparto delle competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, specialmente con riferimento alle ipotesi di scioglimento della famiglia di fatto, è questione tormentata che si trascina da quasi un quarto di secolo e che i plurimi interventi del Legislatore non hanno contribuito a risolvere ed anzi hanno complicato.

Sotto il profilo storico è possibile individuare tre periodi.

Dal 1975 al 2006 (periodo dell'affidamento esclusivo)

In questa fase, caratterizzata da un aumento crescente delle famiglie non fondate sul matrimonio, il quadro legislativo era abbastanza stabile: i conflitti tra coniugi, con riferimento ai figli minorenni, erano risolti facendo riferimento all'art. 155 c.c. e quelli tra genitori con coniugati in base all'art. 317 bis c.c. allora vigente («Esercizio della potestà. Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui. Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 316. Se i genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento…omissis…»).

Sotto il profilo processuale, era stato chiarito che i provvedimenti ex art. 317 bis c.c. fossero di competenza del Giudice minorile, giusta il disposto dell'allora vigente art. 38 disp. att. c.c.; dall'osservazione che «i provvedimenti al mantenimento della prole nata da genitori non coniugati (art. 261 c.c., in relazione all'art. 148 c.c.)»non erano «attribuiti specificatamente ad una diversa autorità giudiziaria» se ne inferiva "l'attribuzione della competenza al Tribunale ordinario" ai sensi dell'art. 38 comma 2, disp. att. c.c. (Cass. 20 aprile 1991, n. 4273; Cass. 8 marzo 2002, n. 3457; Cass. 15 marzo 2002, n.3898).

In altre parole: la decisione sull'affidamento di figli di genitori non coniugati, all'epoca i c.d. figli naturali era di competenza del Tribunale per i minorenni, quella relativa alle questioni economiche del Tribunale ordinario, cui i genitori potevano rivolgersi sia con utilizzando il processo ordinario di cognizione, sia mediante il procedimento dell'allora vigente art. 148 c.c.

Il sistema prevedente la bipartizione dei giudizi ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. sentenza 23/1996; Corte Cost. sentenza 166/1998).

Dal 2006 al 2012 (periodo dell'affidamento condiviso).

La struttura procedimentale sopra descritta – caratterizzata dal doppio binario – è stata messa in crisi dalla riforma dell'affidamento condiviso (l. 54/2006) che -non abrogando espressamente l'art. 317-bis c.c. e non modificando l'art. 38 disp. disp. att.- ha introdotto le norme di cui all'artt. 155-bis e seguenti c.c. che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 4, comma 2 l. 54/2006 si applicavano anche «ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati».

Si è dunque riproposto il problema dell'individuazione del Giudice competente a decidere sulle questioni economiche riferibili ai figli non matrimoniali, non essendo in discussione, al pari di quanto accadeva nel "primo periodo" la competenza del Giudice minorile a decidere in punto affidamento, giusta la permanenza dell'art. 317-bis c.c.

La questione è stata risolta dalla Suprema Corte di Cassazione che, con l'ordinanza Cass. 30 aprile 2007, n. 8362, ha individuato nel Giudice specializzato quello deputato a risolvere tutte le questioni, e dunque anche quelle economiche, riguardanti i figli (allora definiti) "naturali"

Secondo la Corte:

a) la l. 54/2006 non aveva abrogato, neppure implicitamente, l'art. 317-bis c.c. ma lo aveva arricchito «dei contenuti oggetto di quella legge…la novella del 2006 detta una compiuta disciplina dei provvedimenti che il giudice specializzato ben poteva anche prima pronunziare nell'interesse del figlio, ma che in precedenza trovavano una regolamentazione minimale, esclusivamente affidata alla discrezionalità ed all'apprezzamento del Giudice»;

b) «Non può pertanto parlarsi di parziale abrogazione dell'art. 317- bis c.c. (che avrebbe l'effetto di determinare per trascinamento, la caduta del richiamo, agli effetti della competenza, contenuto nell'art. 38 disp. att. c.c., comma 1, e la riespansione della regola di chiusura dettata dal medesimo art. 38, comma 2) ma al contrario di riempimento del contenuto precettivo di tale disposizione»;

c) La l. 54/2006- non perviene all'unificazione delle competenze all'interno dei conflitti familiari: mancata unificazione che, involgendo profili di politica legislativa, non si prestava a formare oggetto di un dubbio di legittimità costituzionale (Corte Cost., n.166/1998);

d) Viceversa, dal mantenimento dell'art. 317-bis c.c. ad opera della l. 54/2006 derivava che «il giudice specializzato, adito ai sensi dell'art. 317-bis c.c. e dell'art. 38 disp. att. c.c., è chiamato, nell'interesse del figlio ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo in cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura e all'istruzione e all'educazione, e quindi investente i profili patrimoniali dell'affidamento»;

e) La soluzione ermeneutica prospettata realizzava appieno il principio di concentrazione delle tutele ed evitava la violazione del principio di eguaglianza «al quale si è ispirato il legislatore con la norma di estensione dell'art. 4, comma 2, contenuta nelle disposizioni finali" e che "esige che i minori non ricevano dall'ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati»;

Conseguentemente il Collegio ha espresso il seguente principio di diritto «La l. 8 febbraio 2006, n. 54 sull'esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull'affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l'art. 317-bis, c. c., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell'affidamento del figlio nella crisi dell'unione di fatto, sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell'interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell'art. 38 disp. att. c. c., comma 1, in parte qua non abrogato, neppure tacitamente, dalla novella. La contestualità delle misure relative all'esercizio della potestà e all'affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall'altro, prefigurata dai novellati artt. 155 e ss. c. c., ha peraltro determinato - in sintonia con l'esigenza di evitare che i minori ricevano dall'ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo - una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio».

La riforma della filiazione

La l. 219/2012 ha mutato completamente lo scenario, mediante l'introduzione dello status unico di figlio (indipendentemente, dunque, dal rapporto tra i genitori) e prevedendo, tra l'altro e per quanto qui di interesse:

a) l'introduzione dell'art. 315 c.c. sullo stato giuridico della filiazione («Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico»)

b) l'introduzione dell'art 315- bis c.c. rubricato come «Diritti e doveri del figlio: Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni…omissis»;

c) la delega al Governo di adottare uno o più decreti legislativi, osservando oltre che i principi dei soprarichiamati artt. 315 e 315-bis c.c., anche (inter alia) il seguente: «h) unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell'esercizio della potestà genitoriale» (art. 2, comma 1, lett. h);

d) la completa riformulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., tramite una radicale riperimetrazione della competenza del Tribunale per i minorenni cui competono, in via funzionale, solo ed esclusivamente per i provvedimenti "contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 333, 334, 335 e 371 ult. co. c.c.". Il successivo d.lgs. 154/2013 ha poi attribuito al Tribunale per i minorenni la competenza sui provvedimenti previsti nel nuovo art. 317-bis c.c. (disciplinante i rapporti del minore con gli ascendenti) e 251 c.c. (autorizzazione al riconoscimento di figlio incestuoso).

e) la previsione che «per i procedimenti di cui all'art. 333 resta esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c.» a favore del Giudice ordinario.

Per effetto della novella, dunque, è il Tribunale ordinario, adito ai sensi dell'art. 737 c.p.c., l'unico competente all'emissione dei provvedimenti "regolativi" della responsabilità genitoriale nonché di quelli aventi un contenuto economico (assegno perequativo, assegnazione della casa familiare, garanzie) indipendentemente dall'esistenza del vincolo di coniugio tra i genitori, rilevante solo ed esclusivamente con riferimento al rito applicabile: rito della separazione o del divorzio in presenza di genitori coniugali, rito camerale "puro" negli altri casi.

La previsione della vis actractiva a favore del Tribunale ordinario (e mai viceversa) preventivamente adito per i provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale (art.330/333 c.c.) ha dato luogo a numerosi problemi interpretativi, risolti grazie agli interventi della Suprema Corte, a partire dalla c.d. Sentenza Acierno (Cass. 26 gennaio 2015, n. 1349, cfr. Cosmai L.M., Il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni, in ilFamiliarista.it).

L'attuale quadro –che ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. 10 giugno 2016, n.134) - può essere così ricomposto:

a) Il Tribunale ordinario è sempre competente per i provvedimenti regolativi della responsabilità genitoriale e per quelli che hanno ad oggetto le questioni economiche, sia nell'ipotesi di separazione e divorzio dei genitori, sia nel caso in cui sia invocato l'art. 316 c.c. o l'art. 316 bis c.c.;

b) Il Tribunale per i minorenni è competente solo per i provvedimenti previsti dagli art. 330 e 333 c.c. a meno che, al momento dell'introduzione del giudizio, non sia già pendente (ovvero non sia stato depositato ricorso) un giudizio di separazione, divorzio (e, oggi, anche scioglimento dell'unione civile) o ai sensi dell'art. 316 /316 bis c.c.; in quel caso opera la vis actractiva con translazione della competenza a favore del Tribunale ordinario (ex plurimis Cass. 30 gennaio 2020, n. 2073; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1866; Cass. 29 luglio 2015, n. 15971; cfr. anche Russo R., La concentrazione delle tutele e procedimenti de potestate: no alla sovrapposizione di provvedimenti nell'interesse del minore, in ilFamiliarista.it) anche per i provvedimenti ex art. 330 c.c. seppure non espressamente previsti nel primo periodo dell'art. 38 disp. att c.c. e anche se il procedimento innanzi al Tribunale per i minorenni è stato promosso dal Pubblico Ministero (Cass. 1349/2015, cit.).

La soluzione del Tribunale di Pavia

La decisione in commento affronta un caso che non pare essere stato risolto dalle pur numerose pronunzie della Cassazione in tema riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni: il destino delle domande aventi contenuto economico, qualora prima del ricorso al Tribunale ordinario sia stato instaurato un procedimento per l'emissione di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale.

Secondo il Tribunale di Pavia, in questi casi, opera la vis actractiva a favore del Tribunale per i minorenni che, ove investito di una domanda ex art. 330/333 c.c. diventa automaticamente competente anche per l'emissione dei provvedimenti di natura economica.

La decisione a una prima lettura appare come corretta applicazione del principio di concentrazione delle tutele, anche e soprattutto in ragione del fatto che il Tribunale per i minorenni, preventivamente adito anche sulle questioni economiche, non aveva ritenuto opportuno emanare alcuna declaratoria in rito sul punto.

Ciò nonostante si ritiene necessario sottoporre il ragionamento del Giudice pavese alla verifica di compatibilità con l'attuale impianto normativo, così modificato dalla riforma della filiazione.

Andando per ordine.

  • Insussistenza della competenza del Tribunale per i minorenni in punto provvedimenti di natura economica

Sino alla riforma della filiazione, e per effetto dell'intervento della Corte di Cassazione del 2007 (cfr. Cass. Ord. 3 aprile 2007, n. 8362, cit.), la competenza sui provvedimenti economici per i figli “ex naturali" (oggi figli nati fuori dal matrimonio) spettava sempre al Tribunale per i minorenni, in forza del chiaro disposto dell'art. 38 disp. att. c.c. che attribuiva al Giudice minorile la competenza generalizzata sui provvedimenti ex art. 317-bis c.c. in cui venivano fatti rientrare anche quelli dell'art. 155-bis e seguenti c.c.

La situazione però è profondamente mutata con la riscrittura della norma ad opera della l. 219/2012 che, nell'ottica di una completa parificazione tra figli, indipendentemente dal rapporto tra i genitori, ha fortemente ridimensionato la competenza del Tribunale per i minorenni, restringendola solo e soltanto all'autorizzazione a contrarre matrimonio (art. 84-90 c.c.), ai provvedimenti di decadenza (art. 330 c.c.) limitativi (art. 333 c.c.) e reintegrativi (art. 332 c.c.) della responsabilità genitoriale, a quelli di rimozione (334 c.c.) e riammissione (335 c.c.) da e nell'amministrazione dei beni del figlio e ai provvedimenti sul minore ove sottoposto a tutela (art. 371 c.c.). La novella, dunque, ha sottratto al Tribunale per i minorenni (cfr. art. 38 disp. att. c.c. nuova e vecchia formulazione) per concederla al Tribunale ordinario, la competenza su Fondo patrimoniale (171 c.c.), divisione della comunione in presenza di figli minorenni (art. 194 c.c.), azioni di stato (art. 250,252, 262, 264 c.c.) 316 nuova e vecchia formulazione (esercizio della responsabilità genitoriale e risoluzione dei contrasti tra genitori), 317-bis vecchia formulazione.

In altre parole, prima della riforma della filiazione, il Tribunale per i minorenni era competente sulle questioni economiche per il chiaro riferimento, contenuto nell'art. 38 disp. Att. c.c., all'art. 317-bis c.c. (vecchia formulazione) che, secondo la Cassazione, la novella del 2006 aveva "riempito di nuovi contenuti precettivi"; con la l. 219/2012 e il successivo d.lgs. 154/13 l'art. 317 bis c.c. ha ad oggetto solo la tutela del diritto dei minori ad avere rapporti con gli ascendenti ma non più la regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale (e il concorso nel mantenimento) che oggi trova la sua disciplina nell'art. 316-bis c.c. (il cui contenuto è sostanzialmente identico all'art. 148 c.c. abrogato dalla riforma) e nell'art. 337-ter c.c.

Non sussiste più dunque alcuna norma che stabilisca a favore del Tribunale per i minorenni la competenza sulle questioni economiche: né nell'ipotesi in cui penda un giudizio avente a oggetto figli nati fuori dal matrimonio, né nell'ipotesi in cui sia pendente, per i figli matrimoniali e non, un giudizio ex art. 330 e 333 c.c.

D'altra parte, dopo la riformulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., la vis actractiva è a senso unico: dal Tribunale per i minorenni al Tribunale ordinario e mai viceversa: il Giudice del conflitto familiare, in via generale, non è competente per i provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale a meno non sia stato instaurato, presso il Tribunale ordinario, un giudizio di separazione, divorzio (e scioglimento dell'unione civile) o ai sensi dell'art. 316 c.c.

Le disposizioni di attuazione non prevedono però la regola contraria: ovvero l'attrazione a favore del Giudice minorile, in forza del criterio della prevenzione, dei procedimenti che sono di esclusiva competenza del Tribunale ordinario (o del Giudice del conflitto familiare).

Né potrebbe ipotizzarsi una sorta di interpretazione analogica, sia perché non esiste una norma che fissi la competenza, sui temi economici, del Tribunale per i minorenni sia perché non sussiste alcun vuoto normativo da colmare (la competenza sul punto è fissata inderogabilmente a favore del Tribunale ordinario, exart. 38 disp. att. c.c., comma 2); d'altra parte le norme sulla competenza sono di stretta interpretazione, cosicché nessun intervento che si discosti in maniera così eccessiva dal dettato normativo, pare essere ammissibile, anche perché determinerebbe una trasfigurazione dell'art. 38 disp. att. c.c. che, per quanto afflitto da un'infelice formulazione con riferimento al riparto di competenza sui provvedimenti ex art. 330/333, pare invece essere molto chiaro sull'attribuire al Tribunale ordinario la competenza in punto contribuzione al mantenimento del figlio minorenne (e in punto assegnazione della casa familiare).

Non può infatti non ricordarsi che le intenzioni del Legislatore del 2012/2013 erano molto chiare nel ridurre le aree di competenza del Tribunale per i minorenni e, soprattutto, nel privarlo di ogni potestà decisoria sulle domande con contenuto economico, come dimostra il passaggio al Tribunale ordinario dei procedimenti riguardanti il Fondo patrimoniale (art. 171 c.c.) e sulla divisione della comunione in presenza di figli minorenni (art. 194 c.c.).

La possibile diversità di trattamento

La soluzione proposta dal Tribunale potrebbe porsi in contrasto anche con uno dei principi ispiratori della riforma della filiazione: quello di eliminare ogni forma possibile di disparità di trattamento tra figli, in ragione del rapporto tra i loro genitori (legati o meno da vincolo di coniugio): non si rivengono, nella prassi, casi in cui, per effetto della preventiva pendenza di un giudizio ex art. 330/333 c.c. innanzi al Tribunale per i minorenni, il Tribunale ordinario, successivamente adito con un ricorso per separazione o divorzio, abbia declinato la propria competenza.

Conseguentemente, con la soluzione proposta, il rischio è quello di ritornare al doppio binario: figli nati fuori dal matrimonio al Tribunale per i minorenni, figli "matrimoniali" al Tribunale ordinario; una soluzione che peraltro porterebbe alla proliferazione delle azioni di disturbo innanzi al Giudice minorile da parte di chi, per non essere condannato al pagamento dell'assegno di mantenimento o per avere "mano libero" sulla casa familiare, si senta autorizzato a depositare uno (anche scarno) ricorso al Giudice minorile per bloccare l'intervento del Tribunale ordinario.

Il principio di concentrazione delle tutele

Le decisioni dei giudici pavesi, se sembra porsi in contrasto con il chiaro dettato dell'art. 38 disp. Att. c.p.c., è invece piena espressione del principio di concentrazione delle tutele che impone di privilegiare un contesto processuale unitario in cui trattare le domande sull'esercizio della responsabilità genitoriale e le domande economiche, attribuendo alle seconde il carattere di accessorietà rispetto alle prime (Cass.SS.UU., ord., 5 febbraio 2016, n. 2276; C.G. UE sent. 16 luglio 2015, Cass. Civ. SS.UU. Ord. n. 30646/2011 in deiure.it; Trib. Milano, sez. IX civ., ord. 16 aprile 2014); dal vincolo di accessorietà potrebbe derivare il trascinamento della domanda di assegno nel processo inerente alla responsabilità genitoriale.

Su tale linea interpretativa si pone il diverso provvedimento con cui sempre il Tribunale di Pavia (Trib. Pavia, 9 luglio 2020) ha promosso, in un caso parzialmente analogo a quello qui in commento, regolamento di competenza osservando che il ritorno al doppio binario (Tribunale per i minorenni per i giudizi sulla responsabilità genitoriale, Tribunale ordinario per le questioni economiche) sarebbe lesivo proprio del principio di concentrazione delle tutele che avrebbe “ispirato” anche e soprattutto la Suprema Corte di Cassazione con l'Ordinanza del 3 aprile 2007.

Occorre però chiedersi se il suddetto principio possa portare ad avallare la soluzione proposta. La risposta, nell'attuale quadro normativo, pare essere negativa giacché:

a) la deroga alle normali regole della competenza in ragione dell'accessorietà della domanda vale solo per la competenza territoriale (art. 31 c.p.c.) e non sembra potersi applicare anche alle ipotesi di differente competenza funzionale;

b) il pur fondamentale principio di concentrazione delle tutele non può spingersi sino ad attribuire a un Giudice (il Tribunale per i minorenni) una competenza a decidere su materie (l'assegno) che la legge devolve alla cognizione di un altro Giudice (il Tribunale ordinario);

c) non sempre il superiore interesse del minore può realizzarsi solo ed esclusivamente nelle forme del processo unitario (cfr. infra);

d) ove il principio di concentrazione delle tutele fosse ritenuto prevalente anche le domande di assegno perequativo svolte nel giudizio di separazione e divorzio dovrebbero essere decise dal Tribunale per i minorenni con evidente duplicazione generalizzata dei giudizi in ragione del fatto che la disciplina in punto responsabilità genitoriale e contribuzione economica, dopo la riforma del 2012, è unitaria;

e) da un punto di vista pratico i provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriali incidono sulle domande a contenuto economico (assegnazione casa familiare e assegno perequativo) in un novero assai limitato di ipotesi, ovverosia quando il provvedimento, anche provvisorio, del Giudice minorile interrompa del tutto le frequentazioni tra il figlio minore e il genitore richiedente l'assegno che, in linea generale, è dovuto anche a favore del “non collocatario”.

f) da un punto di vista sovranazionale, la giurisprudenza della Corte Europea ha dettato i criteri di riparto della competenza giurisdizionale ma su territoriale, ovvero sia al fine di individuare il Giudice dello Stato membro competente; in questo caso stiamo invece parlando di competenza funzionale, ovverosia della scelta (tipica del sistema italiano) tra due Giudici dello stesso Stato; come tale i principi richiamati non paiono dirimenti ai fini della questione in commento.

Il richiamo all'art. 333 c.c.

Si potrebbe – come ha fatto il Tribunale di Pavia con il provvedimento del 9 luglio 2020 (Trib. Pavia 9 luglio 2020)- assumere in tesi che la competenza del Tribunale per i minorenni in punto contribuzione derivi dall'art. 333 c.c. nella parte in cui è previsto che il Giudice, adito per la limitazione della responsabilità genitoriale, possa disporre “i provvedimenti convenienti” comprensivi dunque di quello determinativo dell'assegno perequativo e dell'assegnazione della casa familiare.

Si tratta di un'interpretazione sicuramente affascinante che però non pare essere condivisibile

Premesso che, anche da un punto di vista storico la competenza del Tribunale per i minorenni in punto economico non si è mai basata sull'art. 333 c.c. ma sull'art. 317-bis vecchia formulazione l'interpretazione di una norma non può spingersi sino a stravolgerne il campo di applicazione: i provvedimenti conveniente infatti sono quelli che hanno a oggetto l'esercizio della responsabilità genitoriale ma non quelli aventi un contenuto economico.

L'obbligo di mantenere istruire ed educare la prole infatti è sempre indipendente dalla titolarità o dall'esercizio, pieno o limitato, della responsabilità genitoriale: l'assegno è infatti dovuto anche nelle ipotesi di pronunzia exart. 330 c.c. e il genitore ha l'obbligo di mantenere il figlio anche per il periodo precedente il riconoscimento del figlio, ovverosia quando non era titolare (e men che meno poteva esercitare) la responsabilità genitoriale sul figlio.

Questioni economiche ed esercizio della responsabilità genitoriale sono due aspetti separati, sicuramente interconnessi ma che mantengono un loro grado di indipendenza.

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