Il “demon-contante” non sempre conduce al riciclaggio: l'importanza di motivare l'esistenza del reato presupposto

08 Febbraio 2021

Il mero possesso di una pur ingente somma di denaro non può giustificare, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo, l'addebito di riciclaggio senza che sia in alcun modo stata verificata l'esistenza di un delitto presupposto...
Massima

Il mero possesso di una pur ingente somma di denaro non può giustificare ex se, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo, l'addebito di riciclaggio senza che sia in alcun modo stata verificata l'esistenza di un delitto presupposto, anche delineato per sommi capi, attraverso, ad esempio, il riferimento all'esistenza di relazioni tra i ricorrenti ed ambienti criminali, ovvero la precedente commissione di fatti di reato dai quali possa attendibilmente essere derivata la provvista, o l'avvenuto compimento di operazioni di investimento comunque di natura illecita a qualsiasi titolo.

Il caso

Con ordinanza del 18/11/2019, il Tribunale di Messina respingeva la richiesta di riesame, presentata nell'interesse di S.A. e C.A., del decreto del Pubblico Ministero di convalida di sequestro.

I Carabinieri della Compagnia Messina Centro avevano, infatti, sottoposto a misura cautelare la somma di 65.870 euro rinvenuta presso l'abitazione dei prevenuti, in relazione al reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p.

Avverso l'ordinanza, si opponevano in Cassazione gli indagati che, a mezzo del difensore, deducevano un vizio di motivazione per manifesta illogicità, in violazione degli articoli 253 c.p.p. e 648-bis c.p., in particolare rilevando la mancanza di elementi dai quali poter desumere, anche in astratto, la natura del reato presupposto.

La decisione della Corte

Con la sentenza in esame la Suprema Corte riteneva il ricorso avanzato dalla difesa fondato.

In primo luogo, gli ermellini hanno affermato che il provvedimento che dispone il sequestro probatorio di cose pertinenti al reato deve contenere idonea motivazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto contestato e pertanto, con riguardo al reato di riciclaggio, la configurabilità di un'ipotesi di reato presupposto.

Viene puntualizzato dai giudici di legittimità che il sequestro di somme di denaro deve essere fondato su elementi sussistenti dai quali poter effettivamente inferire le esigenze probatorie e le motivazioni per le quali considerare tali somme “cose pertinenti al reato” ex art. 253 c.p.p. In altri termini, benché nel decreto possa farsi anche solo riferimento al titolo di reato per il quale si procede, dovranno altresì essere riportate: la condotta dell'indagato, la sua sussunzione in un'ipotesi criminosa, l'individuazione dei beni da sottoporre in vinculis e la loro relazione con la fattispecie incriminatrice.

Peraltro, prosegue la Corte, “il mero possesso di una pur ingente somma di denaro […] non può giustificare ex se […] l'addebito di riciclaggio”, laddove manchi una verifica in ordine all'esistenza di un reato presupposto o di relazioni con ambienti criminali, ovvero di precedente commissione di fatti di reato, oppure di operazioni di investimento di natura illecita. Nel caso di specie, l'insussistenza di elementi idonei ad ipotizzare un collegamento tra la somma contante ed un delitto presupposto al reato di riciclaggio, conduce la Suprema Corte ad annullare l'ordinanza con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo esame.

Delitto “presupposto” e non “supposto”: l'equivoco interpretativo

La questione che viene risolta dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento riguarda la necessità di esplicitare le esigenze probatorie nell'ambito di un sequestro avente ad oggetto “cose pertinenti al reato”, con particolare riferimento ad una somma di denaro contante appartenente a due indagati per riciclaggio.

In primo luogo, il tema dell'esatto contenuto motivazionale del decreto che dispone il sequestro probatorio (o quello di convalida) è stato ragione di un annoso dibattito giurisprudenziale che ha visto il susseguirsi di molteplici interventi del Supremo Collegio (tra i più recenti interventi Cass. pen., Sez VI, 11 settembre 2019, n. 37639, per il cui commento si rimanda a C. Bossi, Verso 'l'internazionalizzazione' del nesso di funzionalità non occasionale tra bene e condotta?, in Diritto & Giustizia, fasc.162, 2019, p. 4 ss.).

Esistono in materia, invero, due principali orientamenti contrapposti: un primo filone ritiene sufficiente, ai fini dell'esercizio del diritto di difesa, l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto, e le finalità investigative per le quali il vincolo è disposto (cfr. Cass. pen., sez. II, 16 settembre 2015, n. 41360; nonché Cass. pen, sez. II, ud. 3 dicembre 2015, n. 2787).

Un diverso indirizzo (da ultimo Cass. pen., sez. II, ud. 19 novembre 2020, n. 2466, sul punto si veda infra in Guida all'approfondimento) sostiene, invece, che “l'obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possono considerarsi il corpo del reato ovvero cose ad esso pertinenti ed alla concreta finalità probatoria perseguita, con l'apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare, non essendo sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, descrivere i fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita” (cfr. la già citata Cass. pen., sez. III, n. 37639/2019).

Occorre premettere e ricordare che il sequestro probatorio è uno strumento di ricerca della prova che crea un vincolo di temporanea indisponibilità sulla cosa (corpo del reato ovvero cose pertinenti al reato) appartenente o ricollegabile al soggetto indagato (caratteristica che condivide con le altre due tipologie di sequestro), limitando di fatto, in capo a quest'ultimo, la facoltà di godimento.

La proprietà e la libertà di iniziativa economica sono, per il vero, diritti di rango costituzionale e convenzionale, garantiti dagli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La compressione di tali diritti da parte dello Stato, secondo costante giurisprudenza, è consentita solo se: la misura privativa sia proporzionale alla finalità perseguita; vi sia stato un bilanciamento tra un interesse generale che si reputi degno di protezione (nel caso di specie conservazione degli elementi di prova) e l'opposto interesse particolare al mantenimento della proprietà privata

In una decisione resa dalle Sezioni Unite (n. 47183 dell'11 ottobre 2019), nel caso riferendosi al sequestro probatorio di cose costituenti corpo del reato, ma parimenti estensibile anche all'apprensione di cose pertinenti al reato, si sostiene che la portata precettiva di tali norme “richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa [..] siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione”; ciò allo scopo di “garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all'an e alla sua durata, in particolare per l'aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l'accertamento tra un fatto di reato […]; ed ogni misura, per dirsi proporzionata all'obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco […]”.

Alla luce del suesposto orientamento, si può ritenere che l'onere motivazionale sia funzionale al verificare che il decreto di sequestro, che de facto incide su libertà fondamentali quali la proprietà e la libera iniziativa economica, sia adottato nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati. In tale prospettiva la motivazione diventa, allora, elemento indispensabile di controllo sull'operato dell'Autorità procedente nell'“incidere” sul diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni (nel caso di specie, del proprio denaro contante). In sostanza, si dovrà verificare che il requisito del bilanciamento tra l'interesse generale alla conservazione degli elementi di prova e quello (di segno opposto), specifico, alla libera disponibilità del bene, sia stato soddisfatto, affinché il provvedimento non si traduca in un'illegittima “invasione” della sfera privata del soggetto.

In aggiunta, il controllo dovrà basarsi sull'ulteriore criterio della “proporzionalità della misura”, che comporta anche l'applicazione di quello della “residualità” della stessa. Tale principio deve informare la motivazione del provvedimento di sequestro probatorio, nella quale devono essere esplicitate le ragioni per le quali le esigenze di accertamento del fatto non possano essere perseguite in altro modo, se non ricorrendo allo strumento de quo (si rimanda alla già citata sentenza Cass. pen., Sez. Unite, n. 36072/2018).

La valutazione del principio della proporzionalità della misura è tra i requisiti previsti dall'art.275 c.p. per l'applicazione delle misure cautelari personali, ed è stata mutuato dalla giurisprudenza (non senza qualche contrasto, v. Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2007) anche per il sequestro probatorio. In base a tale principio (insieme a quelli di adeguatezza e gradualità), il giudice dovrà scegliere, tra le misure interdittive, quella attraverso la quale poter raggiungere il risultato da perseguire che risulti meno invasiva, al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà (cfr. da ultimo Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2019, n. 18316; Cass. pen., sez. III, 7 maggio 2014, n. 21271; Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 8382).

La Suprema Corte ha operato un ulteriore “salto interpretativo”, ritenendo che, analogamente a quanto enunciato per le “misure” cautelari reali, il requisito della “proporzionalità” vada applicato anche al sequestro probatorio quale mezzo di ricerca della prova (v. Cass. pen., SS.UU., n. 36072/2018 cit.). Infatti, la necessità di evitare limitazioni alla proprietà privata che non siano strettamente conseguenti alla finalità istituzionalmente perseguita dalla misura rappresenta, come detto, la ratio di tale principio. Un criterio che è appunto direttamente collegato all'elemento (comune sia al sequestro preventivo sia a quello probatorio) “della componente invasiva nell'altrui sfera personale attinente al diritto di disporre liberamente dei propri beni”. Proprio questo elemento implica che il ricorso al sequestro sia “giustificato” tutte le volte in cui all'accertamento dei fatti non possa pervenirsi senza servirsi di modalità “meno afflittive”.

Dunque, l'esatto contenuto motivazionale del decreto che dispone il sequestro probatorio dovrà estrinsecarsi nel presupposto della finalità perseguita, in concreto, da parte dell'Autorità (SEMERARO), dando ragione dell'applicazione dei criteri di bilanciamento e proporzionalità. Nella motivazione che accompagna l'intervento penale deve essere ben evidente il presupposto degli scopi ricercati per l'accertamento dei fatti, in quanto vengono imposte delle limitazioni a delle libertà fondamentali e dei diritti dell'individuo personalmente garantiti (nel caso di specie, ripetiamo, al diritto di proprietà ex artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU).

Sotto quest'ultimo aspetto, e venendo al caso di specie, quando il sequestro probatorio abbia ad oggetto somme di denaro, i giudici ritengono che la motivazione debba evidenziare “la possibilità effettiva, cioè non fondata su elementi astratti ed avulsi dal caso concreto” della configurabilità di un nesso tra dette somme ed il reato che si contesta.

È necessario, infatti, che sia emerso un riscontro investigativo in merito all'esistenza di un delitto presupposto o di relazioni con ambienti criminali, ovvero circa la precedente commissione di fatti di reato o l'avvenuto compimento di operazioni di investimento di natura illecita. Solo ove si rilevi uno di questi elementi potrà considerarsi lecita l'elevazione di un'imputazione di riciclaggio (ai fini del sequestro) in conseguenza della detenzione da parte di un soggetto di un'ingente quantità di denaro contante. Il mero possesso, al contrario, non può essere giustificativo della misura di apprensione (R. RAZZANTE, Nel riciclaggio non conta solo l'azione: un fondamentale chiarimento ermeneutico, in Archivio penale, 1, 2017, p. 2 ss., nota a Cass. pen., 26301/2016).

Quanto allo specifico caso di riciclaggio, il decreto di sequestro dovrebbe evidenziare elementi concreti, idonei a far (quantomeno) ipotizzare l'esistenza di un reato presupposto dal quale “abbia avuto origine la somma contante tratta in sequestro”. Non appare sufficiente il criterio della “quantità di contante in possesso”. Se si ritenesse valido un simile fattore, si arriverebbe ad avallare una sorta di “presunzione assoluta di legge”, basata unicamente, per l'appunto, sul rinvenimento di un quantitativo ingente di denaro, con una pericolosa compressione delle libertà di disporre della proprietà da parte del cittadino. A ben vedere la stessa valutazione di “somma ingente” viene a dipendere completamente dall'apprezzamento del Pubblico Ministero, a detrimento del principio della certezza del diritto. Si finirebbe in questo modo per esporre l'individuo alle “personali” valutazioni del P.M., che avrebbe rilevato un sospetto di riciclaggio su basi insussistenti a disporre una misura così “invasiva”. Inoltre, anche laddove si volesse condividere una eventuale considerazione del Pubblico Ministero in merito alla “soglia allarmante” di denaro contante rinvenuto, l'applicazione di un sequestro probatorio per il reato di riciclaggio fondato solo su questo criterio porterebbe ad un'espansione esagerata dell'operatività della fattispecie in esame.

La sentenza in commento continua nel solco di quella giurisprudenza che in tema di sequestro probatorio di somme di denaro per accuse di riciclaggio ha adottato una posizione più garantista per il cittadino (Cass. pen. 26301/2016, cit.), che impone cioè che il decreto sia sorretto da idonea motivazione in ordine alla configurabilità di un rapporto tra le somme “sequestrande” ed il reato. Viene quindi rifiutato, opportunamente, l'argomento della “ingente quantità di denaro contante”.

L'assunto della polizia giudiziaria che ha proceduto al sequestro nel caso di specie, nonché del P.M. che lo ha convalidato, sembra fondarsi su una sorta di “presunzione”, abbastanza diffusa (non solo tra gli Uffici giudiziari!), per la quale la detenzione e la spendita di contante siano sempre ricollegabili al riciclaggio e all'evasione fiscale. Esistono, tuttavia, alcune evidenze statistiche e “scientifiche” che potrebbero se non smentire tale assunto, quantomeno sollevare alcuni dubbi e criticità al riguardo. Non appare questa la sede per approfondire tale insidioso argomento (si rimanda al nostro Uso del contante tra principio nominalistico e normative settoriali, in Notariato 5/2020, pp. 461-464, e alla dottrina ivi citata); solo si vuole richiamare l'attenzione su quanto questa “convinzione” vada ad influenzare anche le misure adottate dal legislatore nazionale ed europeo, con risvolti a volte negativi sui diritti fondamentali dei cittadini, tra i quali, appunto, quelli della proprietà privata e della libertà di iniziativa economica (sul punto si rinvia anche a R.RAZZANTE, Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio, Giappichelli, Torino, 2020, pp.120 ss).

Il sequestro è un provvedimento che, come si è tentato di evidenziare con il commento alla sentenza de qua, deve essere sorretto da idonea motivazione e, in quanto coinvolgente aspetti della sfera privata dell'individuo, avrebbe forse bisogno di essere circondato da maggiori garanzie.

Qui, lo si ripete, il Giudice di prima istanza è stato fuorviato, come molta della dottrina sul punto, dal “demone-contante”, strumento di pagamento ancora non dichiarato illecito ex se.

Guida all'approfondimento

Nelle motivazioni di Cass. pen., sez. II, 21 gennaio 2021 (ud.19 novembre 2020), n. 2466, si ribadisce “con riguardo alla ipotesi di sequestro probatorio, si è affermato che, ai fini di una valida motivazione del sequestro di cose che si assumono pertinenti al reato di riciclaggio di cui all'art. 648-bis cod. pen., pur non essendo necessario con riguardo ai delitti presupposti, che questi siano specificamente individuati ed accertati, è però indispensabile che essi risultino, alla stregua degli acquisiti elementi di fatto, almeno astrattamente configurabili; il che non si verifica quando il giudice si limiti semplicemente a supporne l'esistenza sulla sola base del carattere asseritamente sospetto delle operazioni relative ai beni e valori che si intendono sottoporre a sequestro”. Seguono questa interpretazione, ormai maggioritaria, ancorché riferendosi principalmente alle motivazioni per sequestro di “cose costituenti corpo del reato”, le sentenze Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2019, n. 3604; Cass. pen, sez. VI, 12 settembre 2018, n. 56733; Cass pen., sez. V, 27 febbraio 2015, n. 13594; Cass. pen. SS.UU., 19 aprile 2018, n. 36072; Cass. pen., sez. II, 11 novembre 2014, n. 52619; Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2015, n. 13594; Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2013, n. 13044.

Per approfondimenti si rimanda a L. Semeraro, La motivazione dei provvedimenti di sequestro, in Questionegiustizia.it, 17 gennaio 2017; L. Spetrillo, L'applicazione dei principi delle Sezioni Unite in tema di motivazione del decreto di convalida del sequestro probatorio, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 2.

Per un approfondimento in materia di sequestro probatorio si rimanda a O. Dominioni, I mezzi di ricerca della prova, in AA.VV., Procedura penale, Giappichelli, Torino, 2020, p. 331 ss; ; P. Maggio - S. Ruggeri, Il sequestro probatorio, in P.Ferrua - E.Marzaduri - G. Spangher (a cura di), La prova penale, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 784 – 836; G.Furciniti – D.Frustagli, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell'Unione europea, Wolters Kluwer, Milano, 2016; A. Scarcella, I sequestri, in G. Canzio- G. Tranchina, Codice di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2015, sub art.253 c.p.p; L. Esposito – M. Vallone, Le confische antimafia e le indagini patrimoniali, in R.Razzante (a cura di), Corruzione, riciclaggio e mafia, Aracne, Roma, 2015, p.265 ss; A.M. Maugeri, La tutela della proprietà nella C.E.D.U. e la giurisprudenza della Corte europea in tema di confisca, in M. Montagna (a cura di), Sequestro e confisca, Giappichelli, Torino, 2017, p. 4 ss; R. Barela, I mezzi di ricerca della prova nel procedimento penale, in F. Aversano – G. Sabbato (a cura di), La prova nel processo, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2013, p.347 ss.

Sul bilanciamento con gli interessi di rango costituzionale si rimanda alla copiosa giurisprudenza della Cedu in materia. A titolo meramente esemplificativo: Agosi c. U.K,24 ottobre 1986, Morabito e al. c. Italia, 7 giugno 2005; Saccoccia c. Austria, 18 dicembre 2008; Silickiene c. Lituania, 10 aprile 2012; Unsped Paket Servisi SaN. Ve TIC. A. S. c. Bulgaria, 13 ottobre 2015; Telbis e Viziteu c. Romania, 26 giugno 2018, disponibili nella banca dati della Corte hudoc.echr.coe.int.

Sulla presunzione che detenzione e spendita di contante siano sempre ricollegabili al riciclaggio e all'evasione fiscale: F. Schneider, Restricting or Abolishing Cash: An Effective Instrument for Fighting the Shadow Economy, Crime and Terrorism?, International Cash Conference 20-23 aprile 2017 – War on Cash: Is there a Future for Cash?, Deutsche Bundesbank; F. Seitz - M. Krueger, The Blessing of Cash, nell'ambito della medesima Conferenza.

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