Il limite del doppio mandato vale anche in caso di soppressione e accorpamento dell'ordine

09 Febbraio 2021

Il limite ex art. 3 della l. n. 113/2017 trova fondamento nel legame che si crea tra consigliere e corpo elettorale o parte di esso, la cui intensificazione, nel caso di rielezione, può riflettersi non solo sulla posizione di uguaglianza tra i candidati, ma anche sulla correttezza e imparzialità dell'esercizio delle funzioni.

Agli artt. 28 comma 12 e 36 comma 1 della l. n. 247/2012 - che disciplinano il reclamo avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli dell'ordine forensi con formulazione identica a quella dell'art. 6 del d.lgs. n. 382/1944, dunque con la conferma della giurisdizione del CNF e senza alcuna distinzione circa l'oggetto specifico della controversia – vanno ribaditi i principi già affermati con rifermento al detto art. 6, tesi a valorizzare l'autonomia degli ordini professionali, ravvisata anche nella devoluzione delle relative controversie ad una giurisdizione speciale. Pertanto, la giurisdizione del CNF non è limitata alle controversie riguardanti la regolarità delle operazioni elettorali perché relative al rispetto di norme tese alla tutela di interessi generali, mentre quelle riguardanti l'eleggibilità e in generale l'elettorato, rientrerebbero nella giurisdizione ordinaria, perché riguardanti diritti soggettivi. Tale criterio di riparto, riconosciuto con riguardo al CNF (con il solo distinguo che la giurisdizione è del giudice amministrativo), per il quale è però assente una norma specifica, non vale per le controversie relative alle elezioni dei Consigli dell'Ordine, che costituiscono oggetto di una specifica disposizione, avente la finalità di concentrare la giurisdizione in un unico organo composto da soggetti eletti tra gli appartenenti all'ordine professionale, e costituente pertanto espressione dell'autonomia di quest'ultimo. Siccome fondata sul riferimento ad una determinata materia, tale unificazione consente di prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche coinvolte. Né vi è pregiudizio della tutela giurisdizionale, atto che le norme prevedono l'impugnabilità delle decisioni del CNF innanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, prefigurando così un sistema di adeguata tutela dei diritti soggettivi, nel rispetto agli artt. 3, 24, 102, 111 e 113 Cost., anche in considerazione del fatto che il CNF è organo giurisdizionale speciale istituito prima della Costituzione e quindi escluso dal divieto previsto dall'art. 102 comma 2 di istituzione di nuovi giudici speciali o eccezionali, ed operante sino alla revisione prevista dalla sesta delle disposizioni transitorie e finali.

In quanto riguardante la disciplina dell'elettorato passivo, che prescinde dal rapporto creatosi tra candidato e ente a seguito dell'espletamento del vecchio mandato, avendo piuttosto riguardo al fatto storico del pregresso esercizio delle funzioni, quale elemento potenzialmente atto a influenzare la regolarità della nuova competizione, il divieto di cui all'art. 3 comma 3 della l. n. 113/2017 non ha attinenza con l'individuazione della sorte dei rapporti dell'ente in caso di soppressione e di trasferimento delle funzioni. Il limite ex art. 3 cit. trova infatti il fondamento nel legame che si crea tra consigliere e corpo elettorale o parte di esso, la cui intensificazione, nel caso di rielezione può riflettersi non solo sulla posizione di uguaglianza tra i candidati, ma anche sulla correttezza e imparzialità dell'esercizio delle funzioni. Pertanto, l'unica interpretazione coerente con le finalità della norma è quella di escludere dalle competizioni elettorali il candidato che abbia già esercitato due mandati esecutivi nell'ordine soppresso (con trasmigrazione degli iscritti ad altro consiglio).

Tale in sintesi il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 2603/21, depositata il 4 febbraio, che ora andiamo ad analizzare più da vicino.

Per il CNF la fusione di due ordini crea un diverso bacino elettorale: il limite del doppio mandato non vale. Un avvocato propose due distinti reclami avverso le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell'Ordine davanti al Consiglio Nazionale Forense impugnando: la delibera con cui era stata costituita la Commissione elettorale, il verbale di questa, con cui era stata esclusa la sua candidatura e la delibera contenente la proclamazione degli eletti. Per quel che ancora rileva, l'avvocato contestava il motivo della sua esclusione, dato dal superamento dei due mandati consecutivi di consigliere dell'Ordine, con lo svolgimento delle funzioni di consigliere e presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Montepulciano, soppresso ed accorpato all'Ordine di Siena con la revisione della geografia giudiziaria.
Il Consiglio Nazionale Forense
accolse il reclamo. Sempre per quel che qui rileva, il Consiglio escluse il proprio difetto di giurisdizione, rilevando che l'art. 36 della l. n. 247/2012 conferisce «inequivocabilmente al CNF l'intero contenzioso relativo al procedimento elettorale, prevedendo, in materia ordinamentale, una giurisdizione generalizzata e non frazionata» (Cass. civ., sez. un., n. 2603/2021).

Nel merito poi, il CNF ritenne assorbente la questione dell'ineleggibilità, affermando che la fusione di due Ordini forensi dà vita ad un «diverso bacino elettorale, per via di un maggior numero di aventi diritto all'elettorato attivo, di un più ampio territorio di riferimento e, eventualmente, anche di un più ampio numero di consiglieri da eleggere; inoltre, che l'eccezionalità delle norme riguardanti il diritto all'elettorato ne preclude l'applicazione in via estensiva o analogica ed il limite del doppio mandato non vale per chi intenda candidarsi ad un Consiglio dell'Ordine diverso da quello di cui ha fatto parte precedentemente».

Di diverso avviso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a cui ricorrono alcuni consiglieri eletti nonché lo stesso Consiglio dell'Ordine, mentre il candidato escluso resiste con controricorso.

La rinuncia ad un motivo di ricorso non richiede la sottoscrizione della parte. Al primo motivo i ricorrenti rinunciano: la censura riguardava la nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c. per l'inclusione, nell'elenco dei componenti del consiglio giudicante, del nominativo di un avvocato la cui nomina era stata sospesa in via cautelare dal Tribunale di Roma per ineleggibilità ai sensi dell'art. 34 della l. n. 247/2012; che in effetti non aveva partecipato alla discussione del reclamo e alla deliberazione della decisione, errore materiale di cui il CNF aveva poi disposto la correzione.
Tale rinuncia, osservano le Sezioni Unite, a differenza di quella prevista dall'art. 390 c.p.c, non richiede la sottoscrizione della parte nè il rilascio di uno specifico mandato, non comportando la disposizione di un diritto oggetto di contesa, ma esclusivamente una valutazione tecnica circa la modalità di esercizio della facoltà di impugnazione, rimessa al difensore (si menzionano i precedenti di Cass. civ., nn. 17893/2020, 22269/2016, 11154/2006).
Non risultando contestata l'esistenza dell'errore, del quale è stata disposta la correzione, i ricorrenti non hanno più alcun interesse alla censura, della quale è pertanto superflua la valutazione della fondatezza.

Piena giurisdizione del CNF in materia elettorale a salvaguardia dell'autonomia della professione. Con il secondo motivo i ricorrenti affermano la violazione degli artt. 28 comma 12 e 36 comma 1 della l. n. 247/2012 e contestano la sentenza impugnata laddove ha escluso il difetto di giurisdizione del CNF in ordine alla questione dell'ineleggibilità. Premettendo che la giurisdizione del CNF è limitata alle questioni riguardanti le regolarità e legittimità delle operazioni elettorali e della delibera della proclamazione degli eletti, essi sostengono che la giurisdizione sia qui del giudice ordinario vertendosi, in tema di contenzioso elettorale amministrativo, in materia di diritti soggettivi pubblici - la titolarità del diritto di elettorato – che non possono essere degradati dalla Pubblica Amministrazione. Aggiungono che mancando «inequivoci riferimenti letterali» le norme in parola non possono interpretarsi nel senso dell'attribuzione della giurisdizione in materia di elettorato passivo, essendo norme che richiedono una stretta interpretazione, e non essendovi ragione per «disarticolare» la competenza per i casi in cui la lite riguarda le elezioni del CNF da quelle in cui invece riguarda i consigli dell'Ordine.

Il motivo è respinto dalla Sezioni Unite, che in primis richiamano un excursus normativo e giurisprudenziale sul punto.
Si ricorda quindi che sul tema del contenzioso elettorale riguardante i consigli degli ordini la Corte ha ripetutamente affermato che l'art. 6 del d.lgs. n. 382/1944, che consente ad ogni professionista di proporre reclamo alla allora Commissione Centrale, poi divenuta Consiglio Nazionale (ex d.lgs. n. 6/1946) contro i risultati dell'elezione, ha conferito ai consigli nazionali di alcuni ordini, tra cui il CNF, già qualificati come organi di giurisdizione speciale riguardo a situazioni di conflitto riguardanti le funzioni dell'ordine, una nuova competenza giurisdizionale, riguardante situazioni di conflitto riguardanti la struttura stessa degli ordini (tra i precedenti richiamati, quelli di Cass. civ., sez. un., nn. 1444/1998 e 12461/1995). Inoltre, le Sezioni Unite rammentano che è stata ritenuta legittima un'interpretazione estensiva della disposizione, tale per cui si sono ritenute devolute ai consigli nazionali anche le controversie in materia di convocazione dell'assemblea degli iscritti per le votazioni, affermandosi così che la materia elettorale delle professioni non è stata ripartita tra più giudici e che il Legislatore, con l'istituzione della giurisdizione professionale, ha voluto tutelare l'autonomia dei collegi nazionali, che sarebbe invece limitata da un'interpretazione più restrittiva (si richiama Cass. civ., sez. un., n. 9296/2003).
Sulla base di tali considerazioni, si prosegue, è stata esclusa l'applicazione dell'art. 6 della l. n. 1034/1971, che attribuiva al giudice amministrativo la giurisdizione in materia elezioni degli enti locali, spiegandosi che i consigli degli ordini, in quanto enti pubblici a carattere associativo, hanno natura diversa, e che risponde maggiormente a principi di razionalità la previsione di un unico giudice competente in materia elettorale (si richiama Cass. civ., sez. un., n. 23209/2009).
Tali principi, osserva la Corte, vanno ribaditi anche con riferimento agli artt. 28 comma 12 e 36 comma 1 della l. n. 247/2012, laddove, nell'ambito della riforma della professione forense, il reclamo avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli dell'ordine viene disciplinato con formulazione identica a quella dell'art. 6 cit., dunque con la conferma della giurisdizione del CNF e senza alcuna distinzione circa l'oggetto specifico della controversia.

Per la considerazione di tali dati, normativi e giurisprudenziali, tesi a «valorizzare l'autonomia degli ordini professionali, che si esprime anche nella devoluzione delle relative controversie ad una giurisdizione speciale» (Cass. civ., sez. un., n. 2603/2021) la Corte respinge la tesi dei ricorrenti, che vorrebbe applicare («adattare») alla situazione de qua quanto elaborato con riferimento agli enti locali, affermando che la giurisdizione del CNF (al pari di quella del giudice amministrativo dall'art. 6 della l. n. 1034/1971 e poi art. 126 del d.lgs. n. 126/2010) è limitata alle controversie riguardanti la regolarità delle operazioni elettorali perché relative al rispetto di norme tese alla tutela di interessi generali, a differenza di quelle riguardanti l'eleggibilità e in generale l'elettorato, che rientrano nella giurisdizione ordinaria, perché riguardanti diritti soggettivi. Tale criterio di riparto, riconosciuto con riguardo al CNF (con il solo distinguo che la giurisdizione è del Giudice amministrativo, si richiama Cass.civ., nn. 2451/2006), per il quale è però assente una norma specifica, non è applicabile alle controversie relative alle elezioni degli ordini forensi, che invece costituiscono «oggetto di una specifica disposizione, avente la finalità di concentrare la giurisdizione in un unico organo composto da soggetti eletti tra gli appartenenti all'ordine professionale, e costituente pertanto espressione dell'autonomia di quest'ultimo». Siccome «fondata sul riferimento ad una determinata materia, tale unificazione consente di prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche coinvolte». Dunque, non vale la distinzione operata normalmente in materia di riparto della giurisdizione tra diritti soggettivi e interessi legittimi; e difatti il CNF ha già in altre materie competenza in fatto di diritti soggettivi e cioè riguardo all' iscrizione dell'albo e in materia disciplinare. D'altronde, non v'è pregiudizio della tutela giurisdizionale, atto che le norme (art. 36 comma 6 della l. n. 247/2012, come in passato l'art. 56 del R.D.L. n. 1578/1933) prevedono l'impugnabilità delle decisioni del CNF innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; di guisa che si prefigura un meccanismo di adeguata tutela dei diritti soggettivi, nel rispetto agli artt. 3, 24, 102, 111 e 113 della Cost.; anche in considerazione del fatto che il CNF è organo giurisdizionale speciale istituito prima della Costituzione e quindi escluso dal divieto previsto dall'art. 102 comma 2 di istituzione di nuovi giudici speciali o eccezionali, ed operante sino alla revisione prevista dalla sesta delle disposizioni transitorie e finali (richiama in particolare, Corte Cost. n. 284/1986, e, sulla giurisdizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e Architetti, Cass. civ., n. 22090/2019).

Il terzo ed il quarto motivo sono esaminati congiuntamente.

Per i ricorrenti l'accorpamento degli ordini comporta una successione a titolo universale che impone il conteggio del mandato espletato per il primo. Con il terzo si lamenta la violazione degli artt. 1 del d.lgs. n. 155/2012, 3 comma 3 della l. n. 113/2017, 11-quinquies del d.l. n. 135/2018 e 36 comma 6 della l. n. 247/2012; si afferma che, nell'escludere l'applicazione del divieto in virtù dell'accorpamento, il CNF ha erroneamente applicato i principi in materia di successione di enti pubblici alla materia de qua. Premettono che l'art. 1 del d.lgs. n. 155/2012, riguardante la revisione della geografia giudiziaria, nulla ha disposto riguardo agli ordini circondariali costituiti presso i tribunali che venivano soppressi, che dunque devono considerarsi estinti ex lege, e che l'ordine accorpante è succeduto a titolo universale, essendo subentrato nelle funzioni e nei rapporti ed avendo anche assorbito l'apparato organizzativo, ciò in mancanza di previsioni riguardo la liquidazione ed in considerazione della natura associativa dell'ente, che esclude l'estinzione della comunità di riferimento.

Tale successione, si rileva, è espressamente prevista per gli enti territoriali e va applicata anche agli ordini forensi, per cui il doppio mandato svolto per il primo Consiglio deve riferirsi anche per il secondo; né può opporsi in contrario la tutela del diritto all'elettorato passivo, posto che il Legislatore ha optato nella specie per una preferenza per l'esigenza della rotazione delle cariche pubbliche.

Per i ricorrenti il limite di due mandati consecutivi evita fenomeni di sclerotizzazione e valorizza l'uguaglianza dei candidati. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 comma 3 della l. n. 113/2017, 11-quinquies del d.l. n. 135/2018 e 36 comma 6 della l. n. 247/2012: si afferma che, escludendo l'operatività del limite del doppio mandato, il CNF non ha tenuto conto della ratio sottesa allo stesso, che è quella di «evitare fenomeni di sclerotizzazione nocivi per il corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza nonché di valorizzare l'uguaglianza dei candidati».

Il limite del doppio mandato vale anche per i mandati in corso all'entrata in vigore della l. n. 113/2017. Il limite del doppio mandato è previsto dall'art. 3 comma 3 della l. n. 113/2017; il comma successivo prevede che non si tiene conto dei mandati di durata inferiore ai due anni, mentre il quarto periodo del comma terzo ammette la ricandidatura quando sia trascorso un numero di anni pari a quello in cui si è svolto precedentemente il mandato.
Le Sezioni Unite avevano interpretato la norma nel senso che l'espressione «due mandati consecutivi» doveva essere relativa anche ai mandati svolti, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore e fin dalla sua prima applicazione in forza di quanto previsto dall'art. 17 comma 3 (sul punto si richiama Cass. civ., n. 32781/2018). Interpretazione confermata successivamente dall'art. 11-quinquies comma 1 del d.l. n. 135/2018 conv. con modif. in l. n. 12/2019, contenente un'interpretazione autentica della norma su citata. La questione della legittimità costituzionale, poi sollevata, è stata dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 173/2019 (che ha escluso, da un lato, il contrasto dell'art. 3 comma 3 della l. n. 113/2017 con gli artt. 3, 48 e 51 Cost., sotto il profilo della irragionevole limitazione dell'elettorato attivo e passivo, e con gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost. sotto il profilo dell'illegittima ed irragionevole compressione dell'ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, e dall'altro il contrasto dell'art. 11-quinques del d.l. n. 135/2018 con gli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost. sotto il profilo del superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica).

Ai sensi delle dette disposizioni - si prosegue - l'esercizio del mandato per due mandati consecutivi, anche per una parte soltanto di ogni biennio (purché non di durata inferiore a un biennio) comporta un'ineleggibilità per quattro anni, anche se il mandato sia stato svolto anche parzialmente prima dell'entrata in vigore della l. n. 113/2017.

Nella specie, il caso sottoposto al vaglio della Corte riguarda la candidatura da parte di un avvocato che ha svolto due mandati esecutivi senza che sia trascorso il quadriennio dal termine dell'ultimo. La questione è dunque se debba darsi rilievo ai mandati espletati nell'ambito dell'Ordine soppresso, ai fini dell'operatività del detto divieto.

Il focus non è il rapporto tra candidato e nuovo ente, ma il rapporto tra candidato e corpo elettorale. Le Sezioni Unite non concordano con la tesi dei ricorrenti secondo cui l'accorpamento tra i due ordini, per via del trasferimento di funzioni e di organizzazione e la conseguente successione a titolo universale nei rapporti giuridici esclude la possibilità di distinguere tra i due enti ai fini dell'imputabilità del mandato. In quanto riguardante la disciplina dell'elettorato passivo, che prescinde dal rapporto creatosi tra candidato e ente a seguito dell'espletamento del vecchio mandato, riguardando piuttosto il fatto storico del pregresso esercizio delle funzioni, quale elemento potenzialmente atto a influenzare la regolarità della nuova competizione, il divieto di cui all'art. 3 comma 3 della l. n. 113/2017 non ha attinenza con l'individuazione della sorte dei rapporti dell'ente in caso di soppressione e di trasferimento delle funzioni. Non vale dunque nella specie il principio ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di soppressione di enti pubblici per il quale la successione si manifesta diversamente a seconda che la legge o l'atto che dispone la soppressione preveda o no il permanere delle finalità dell'ente ed il trasferimento ad altro ente, anche di strutture e complesso delle posizioni giuridiche, con conseguente successione a titolo universale, o previa liquidazione, con conseguente successione a titolo particolare (si menzionano Cass. civ., nn. 8377/2016, 535/2002, 5971/1983).

A prescindere dalle difficoltà di inquadrare l'elettorato attivo e passivo tra le situazioni giuridiche trasmissibili, per la Corte è invece determinante il fatto che la questione dell'ammissibilità di un nuovo mandato consecutivo si sarebbe posta ugualmente, anche se il Legislatore avesse regolato la sorte dei rapporti facenti capo all'ordine soppresso con la liquidazione anziché con il trasferimento all'ordine subentrato.
Il limite ex art. 3 cit. trova infatti il fondamento, non nel rapporto che si è creato tra consigliere e consiglio dell'ordine a seguito dello svolgimento del mandato, ma nel legame che si crea tra consigliere e corpo elettorale o parte di esso, la cui intensificazione, nel caso di rielezione può riflettersi non solo sulla posizione di uguaglianza tra i candidati, ma anche sulla correttezza e imparzialità dell'esercizio delle funzioni. E tale approccio è stato chiarito dalle Sezioni Unite quando hanno affermato l'applicabilità della norma anche alle fattispecie dove il mandato era stato espletato prima, anche in parte, dell'entrata in vigore della l. n. 113/2017: la finalità perseguita (al pari di norme analoghe riferite ad altri ordini professionali) è quella di «assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all'esercizio delle funzioni di governo degli ordini, favorendone l'avvicendamento» agli organi di vertice per garantire par condicio tra i candidati ed evitare la sclerotizzazione delle compagini (si richiama Cass. civ., sez. un., n. 32781/2018).

Anche la Corte Costituzionale, laddove ha escluso la difformità ai principi della Costituzione dell'art. 3 comma 3 cit., ha affermato che la finalità perseguita dalla norma è nella valorizzazione delle condizioni di uguaglianza di cui all'art. 51 Cost. in materia di accesso alle cariche elettive, che sarebbe compromessa, se alla competizione potessero partecipare coloro che provengano da due o più mandati consecutivi, avendo potuto consolidare il rapporto con l'elettorato, caratterizzato nella specie da peculiare prossimità; nella stessa sentenza la Corte costituzionale ha poi osservato che il divieto favorisce l'immissione di “forze fresche” ed impedisce situazioni di cristallizzazione della rappresentanza.

Se tale è la ratio della norma, allora - si prosegue -, correttamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento esclusivamente al rapporto tra i corpi elettorali dei Consigli, senza tenere in considerazione la questione della successione tra i due ordini.
La questione non era stabilire se per effetto dall'accorpamento il mandato fosse da riferirsi al nuovo Consiglio, ma verificare se il rapporto creatosi tra l'avvocato e l'elettorato di Montepulciano potesse influire l'esito delle elezioni, favorendolo.
Le Sezioni Unite, però, non condividono le conclusioni della sentenza del CNF, che si è soffermata solo «sul dato formale» rappresentato dalla costituzione di un nuovo bacino elettorale, senza invece considerare il preesistente legame tra candidato ed elettori, non reciso dalla nascita del nuovo bacino elettorale, quantitativamente diverso dai due, «ma risultante dalla sommatoria degli stessi». Ne consegue che non può escludersi la possibilità di un'alterazione della posizione di uguaglianza tra i candidati né quella di un condizionamento del futuro esercizio delle funzioni di consigliere, certamente non ridotta dal semplice aumento di numero degli iscritti; dato meramente casuale, la cui considerazione è incompatibile con le esigenze di certezza, cui devono rispondere le norme in materia di diritto di elettorato.
Le conseguenze del ragionamento del CNF, dunque dell'ammettere la nuova candidatura per via della costituzione di un nuovo bacino elettorale, sotto i due profili considerati appaiono ancora più evidenti se si pensi che significherebbero ammettere allo svolgimento di quattro mandati i candidati dell'ordine soppresso, come anche quelli dell'ordine subentrante, determinando quella «cristallizzazione della rappresentanza» che la norma vuole evitare.

L'unica interpretazione coerente con le finalità della norma è dunque quella di escludere dalle competizioni elettorali il candidato che abbia già esercitato due mandati esecutivi nell'ordine soppresso (con trasmigrazione degli iscritti ad altro consiglio).
Nessun rilievo riconoscono le Sezioni Unite alle norme sulla rieleggibilità del sindaco, il cui richiamo è stato già in varie occasioni escluso dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, per le profonde differenze esistenti tra gli enti territoriali e i consigli degli ordini, aventi natura di enti pubblici a carattere non associativo (menziona tra tante Cass. n. 32781/2018 e Corte Cost. n. 173/2019); d'altronde, si precisa, laddove la Corte, nell'affermare che il divieto opera solo per chi ha ricoperto la carica nei confronti della stessa popolazione e nello stesso territorio comunale, ha considerato il caso di una candidatura in un territorio del tutto diverso da quello dove l'interessato aveva svolto i mandati precedenti, senza considerare il caso della fusione tra comuni (si riferisce alla sentenza Cass. civ., n. 7949/2013), tema su cui non si rinvengono neppure precedenti nella giurisprudenza amministrativa.

Infine, le Sezioni Unite escludono che l'applicazione del divieto possa contrastare con il divieto di interpretazione estensiva e analogica delle norme eccezionali, in quanto limiterebbero il diritto all'elettorato passivo: si afferma che nella specie, come in altri casi, «non si tratta di estendere in via interpretativa l'ambito applicativo della causa d'ineleggibilità ad un caso apparentemente non riconducibile alla norma che la prevede o addirittura estraneo alla portata semantica della stessa, benché caratterizzato da un'identità di ratio, ma solo di verificarne la compatibilità con le caratteristiche specifiche della fattispecie esaminata, mediante il ricorso agli ordinari criteri ermeneutici, tra i quali la ricerca dell'intenzione del legislatore si pone, in caso di equivocità del testo da interpretare, come strumento sussidiario, utilizzabile in via integrativa ove la ricostruzione del senso letterale delle parole non consenta di sciogliere ogni ambiguità, e destinato ad assumere un rilievo prevalente soltanto in via eccezionale, quando l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione appaia incompatibile con il sistema normativo» (sul punto si richiamano Cass. civ., sez. un., nn. 32781/2018, 12461/2018 e 9700/2004).

*fonte: www.dirittoegiustizia.it