L’attribuzione automatica del cognome paterno viola la Costituzione?
12 Febbraio 2021
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con l'ordinanza n. 18, depositata ll'11 febbraio 2021.
Riconoscimento congiunto del figlio naturale: non si può attribuire il solo cognome materno. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 262, comma 1, c.c. che, nel dettare la disciplina del cognome del figlio nato fuori dal matrimonio, prevede che, se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre. Il giudice a quo ha censurato tale disposizione nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno: una simile preclusione si porrebbe in contrasto con: l'art. 2 Cost., sotto il profilo della tutela dell'identità personale; l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'uguaglianza tra donna e uomo; l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali (CEDU), che trovano corrispondenza negli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE).
Il quadro normativo. La questione sollevata dal rimettente, relativa alla preclusione della facoltà di scelta del solo cognome materno, è strettamente connessa alla più ampia questione che ha ad oggetto la generale disciplina dell'automatica attribuzione del cognome paterno. La secolare prevalenza del cognome paterno trova il suo riconoscimento normativo – oltre che nella disposizione censurata – negli artt. 237 e 299 c.c.; nell'art. 72, comma 1, r.d. n. 1238/1939 (Ordinamento dello stato civile); negli artt. 33 e 34, d.P.R. n. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile).
Attribuzione automatica del cognome paterno: retaggio di una concezione patriarcale? La Consulta è stata già chiamata, in più occasioni, a valutare la legittimità costituzionale di questa disciplina, in riferimento sia al principio di parità dei genitori, sia al diritto all'identità personale dei figli, sia alla salvaguardia dell'unità familiare. Sin da epoca risalente, il giudice delle leggi ha evidenziato la possibilità di introdurre sistemi diversi di determinazione del nome, egualmente idonei a salvaguardare l'unità della famiglia, senza comprimere l'eguaglianza e l'autonomia dei genitori (cfr. Corte cost., n. 586/1988 e Corte cost. n. 176/1988). Più recentemente, è stato espressamente riconosciuto che l'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna (così Corte Cost., n. 61/2006). Da ultimo, ravvisando il contrasto della regola del patronimico con gli artt. 2, 3, 29, comma 2, Cost., la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disciplina che non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno (Corte Cost., n. 286/2016).
Il legislatore è rimasto inadempiente agli inviti della Consulta. Con l'ultima decisione ricordata – pur essendo stata riaffermata la necessità di ristabilire il principio della parità dei genitori – la Corte ha preso atto che, in via temporanea, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità, “sopravvive” la generale previsione dell'attribuzione del cognome paterno, destinata a operare in mancanza di accordo espresso dei genitori. Tuttavia, anche dopo questa pronuncia, gli inviti ad una sollecita rimodulazione della disciplina – in grado di coniugare il trattamento paritario delle posizioni soggettive dei genitori con il diritto all'identità personale del figlio – non hanno avuto seguito. Pertanto, la prevalenza del cognome paterno costituisce tuttora il presupposto delle disposizioni che declinano la regola del patronimico nelle sue diverse esplicazioni, tra le quali rientra certamente la disposizione censurata dell'art. 262, comma 1, c.c.. Conseguentemente, anche laddove fosse riconosciuta la facoltà dei genitori di scegliere, di comune accordo, la trasmissione del solo cognome materno, la regola che impone l'acquisizione del solo cognome paterno dovrebbe essere ribadita in tutte le fattispecie in cui tale accordo manchi o, comunque, non sia stato legittimamente espresso; in questi casi, verosimilmente più frequenti, dovrebbe dunque essere riconfermata la prevalenza del cognome paterno, la cui incompatibilità con il valore fondamentale dell'uguaglianza è stata da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., n. 286/2016 e n. 61/2006): in questo quadro, neppure il consenso, su cui fa leva la limitata possibilità di deroga alla generale disciplina del patronimico, potrebbe ritenersi espressione di un'effettiva parità tra le parti, posto che una di esse non ha bisogno dell'accordo per far prevalere il proprio cognome.
L'accordo dei genitori sul cognome da dare al figlio può rimediare alla disparità fra di loro? Nella perdurante vigenza del sistema che fa prevalere il cognome paterno, lo stesso meccanismo consensuale – che il rimettente vorrebbe estendere all'opzione del solo cognome materno – non sembra porre rimedio allo squilibrio e alla disparità tra i genitori. Le considerazioni sopra esposte portano a dubitare della legittimità costituzionale della disciplina dell'automatica acquisizione del solo patronimico, espressa dall'art. 262, comma 1, c.c.. Pertanto, la Consulta non può esimersi, ai fini della definizione del giudizio sollevato dal rimettente, dal risolvere pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l'automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU. Pertanto, con l'ordinanza in commento, la Corte ha sollevato dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale della menzionata disposizione.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it
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