La notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento è pienamente ammessa

Redazione scientifica
15 Febbraio 2021

Nella pronuncia in commento, la CTP di Napoli esamina le plurime eccezioni sollevate dalla società ricorrente in relazione alla notificazione di cartelle di pagamento da parte dell'Agenzia delle Entrate.

Con ricorso una società agricola ha impugnato l'intimazione di pagamento, insieme alla sottesa cartella di pagamento ed al presupposto ruolo, che le era stata notificata il 26 novembre 2019 dall'agenzia delle entrate Riscossione, contestando la nullità della notificazione dell'intimazione di pagamento e della cartella esattoriale.

Costituendosi con memoria di controdeduzioni, l'Agenzia delle entrate Riscossione ha eccepito la ritualità del procedimento notificatorio.

Con memoria integrativa, la ricorrente ha dedotto l'assenza dell'attestazione di conformità dei documenti prodotti dalla controparte, in particolare quelli notificati a mezzo pec, ha ribadito la nullità della notificazione della cartella (e dell'intimazione di pagamento) con un messaggio di posta elettronica certificata e da un indirizzo digitale – di spedizione – diverso da quello istituzionale dell'Agenzia, registrato e presente in REGINDE o INIPEC.

La Commissione tributaria provinciale di Napoli ha ritenuto prive di pregio le plurime censure sollevate dalla ricorrente riguardanti l'irritualità della notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento.

In primo luogo, i giudici tributari rilevano che la notifica a mezzo PEC - della cartella di pagamento - è pienamente ammessa dal nostro ordinamento e garantisce l'integrità del contenuto e degli eventuali allegati. L'art. 26 del D.p.r. n. 602/1973 dispone, infatti, che “La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al D.p.r. n. 68/2005, a mezzo posta elettronica certificata, all'indirizzo del destinatario risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne facciano richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata, all'indirizzo dichiarato all'atto della richiesta”.

Sulla riferibilità della cartella alla pubblica amministrazione, la Commissione richiama la più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui “l'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l'invalidità dell'atto, la cui esistenza non dipende tanto dall'apposizione del sigillo o del timbro di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell'art. 25 del D.p.r. n. 602/1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma solo la sua intestazione e l'indicazione della causale, tramite apposito numero di codice” (cfr. Cass. civ., n. 25773/2014). Del resto, osservano i giudici, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l'applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990 (cfr. Cass. civ., n. 27561/2018).

Sulla circostanza, evidenziata dalla ricorrente, che l'indirizzo di partenza delle cartelle di pagamento non fosse quello istituzionale dell'ADER risultante da INIPEC, la Commissione rileva che l'art. 26 del D.p.r. n. 602/1973 consente la notifica delle cartelle a mezzo di posta elettronica secondo le modalità del D.p.r. n. 68/2005 ed impone che si debbano utilizzare gli indirizzi PEC, solo per i destinatari e non anche per i mittenti.

Anche la censura riguardante l'assenza dell'attestazione di conformità dei documenti prodotti dalla controparte risulta priva di pregio per i Giudici Tributari. L'art. 25-bis del D.lgs. n. 546/1992 stabilisce, infatti, che il difensore delle parti e parimenti il dipendente dell'ente impositore e dell'agente della riscossione, “attestano la conformità della copia” informatica, anche per immagine, del documento formato su supporto cartaceo formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, secondo le modalità previste dal d.lgs. n. 82/2005 (codice dell'amministrazione digitale), copia che in tal caso equivale all'originale o alla copia conforme. Inoltre, proprio l'art. 22 CAD stabilisce che le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all'art. 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all'originale non è espressamente disconosciuta. E il disconoscimento della conformità di una copia all'originale di un documento non può avvenire con clausole di stile generiche e omnicomprensive, ma va operata - a pena di inefficacia - in modo chiaro e circostanziato ed in ogni caso la contestazione non impedisce al giudice di accertare la conformità all'originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese l e presunzioni. Ebbene, tale disconoscimento non può dirsi sussistente nella difesa della ricorrente, che non la conformità all'originale della copia prodotta del documento informatico, ma semplicemente si duole dell'assenza della “dovuta attestazione di conformità”.

Per questi motivi, la Commissione Tributaria Di Napoli rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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