La responsabilità del curatore per il mancato versamento dell'IMU relativa ad immobili compresi nella massa fallimentare

16 Febbraio 2021

Alcune recenti pronunce della giurisprudenza di merito consentono di tornare a riflette-re sul tema, di specifico interesse pratico ma anche di stretta rilevanza sul piano sistematico, della legittimazione passiva del curatore fallimentare relativamente ai tributi gravanti sul fallito che implica specifiche considerazioni relativamente alla disciplina dell'IMU/ICI nell'ambito della procedura fallimentare.
Il ruolo ed i poteri del curatore fallimentare nell'ambito della procedura concorsuale

Con la sentenza dichiarativa di fallimento*, di cui all'art. 16 R.D. n. 267/1942 (la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale dal primo settembre 2021 sarà regolata dall'art. 49 del D.Lgs. n. 14/2019 che al comma 4, richiamando l'art. 45, sancisce che la sentenza è iscritta presso l'ufficio del registro delle imprese ove l'imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta), si producono effetti sia personali che patrimoniali nella sfera giuridica del fallito.

*In evidenza
La disciplina delle procedure concorsuali è stata interamente revisionata ad opera del D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n. 155, che entrerà in vigore il primo settembre 2021. L'art. 389 del D.Lgs. n. 14/2019 prevedeva che il decreto entrasse in vigore decorsi diciotto mesi dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, salvi gli artt. 27, comma 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 375, 377, 378, 379, 385, 386, 387 e 388 che sono entrati in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il Decreto Legge 8 aprile 2020 n. 23, convertito nella Legge 5 giugno 2020 n. 40, all'art. 5 ha differito l'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza al 1° settembre 2021 salve le eccezioni indicate all'art. 389 del Codice stesso. La ratio della riforma è quella di privilegiare la continuità dell'azienda, anche di fronte ad una crisi; tale volontà emerge, da un lato, dal fatto che sono stati preferiti strumenti volti alla conservazione dell'azienda, con numerosi vantaggi e tutele per il debitore che si avvale di tali strumenti, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti, i piani di risanamento e il concordato preventivo e, dall'altro, dalla sostituzione del termine “fallimento” con quello di “liquidazione giudiziale” e la sua configurazione quale rimedio meramente residuale e la sostituzione del termine “fallito” con quello di “debitore”. Si ritiene necessario dare conto di questa riforma, anche se allo stato è ancora in vigore la disciplina del fallimento così come regolata dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267.

Per quanto attiene ai primi, la normativa prevede una limitazione delle libertà personali del debitore che, con l'apertura della procedura concorsuale, sarà tenuto a consegnare tutta la corrispondenza (la corrispondenza diretta al debitore è regolata dall'art. 48 del R.D. n. 267/1942 che dal 1° settembre 2021 sarà sostituito dall'art. 148 del D.Lgs. n. 14/2019) e a comunicare la propria residenza, o domicilio, e ogni successiva variazione (ciò è previsto dall'art. 49 del R.D. n. 267/1942 che dal 1° settembre 2021 sarà sostituito dall'art. 149 del D.Lgs. n. 14/2019) al curatore fallimentare.

Per quanto riguarda gli effetti patrimoniali è necessario fare riferimento agli artt. 42 e 43 della Legge fallimentare (tali norme dal 1° settembre 2021 saranno sostituite dagli artt. 142 e 143 del D.Lgs. n. 14/2019 aventi il medesimo contenuto) che disciplinano il fenomeno dello “spossessamento” (sul punto si veda Gambi, Erario e fallimento, in Dir. Fall., 2017, 123; Bonsignori, Il Fallimento, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 1986, 576; Pajardi e Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2009, 311).

Parte della dottrina ha affermato che a seguito dell'apertura della procedura concorsuale si verificherebbe una generale ed indiscriminata sostituzione da parte del curatore al debitore, in quanto quest'ultimo, perdendo la disponibilità e l'amministrazione del proprio patrimonio, verrebbe privato anche della propria capacità di agire. Altri autori sono, invece, giunti ad affermare che il curatore sarebbe un vero e proprio rappresentante ex lege del fallito. (Si veda sul punto Falsitta, La responsabilità fiscale del curatore, in Responsabilità del curatore, Milano, 1988. Per un'analisi sul dibattito in ordine al fondamento degli obblighi fiscali del curatore si veda Miccinesi, L'imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990.).

Tali ricostruzioni non paiono condivisibili in quanto con lo spossessamento quest'ultimo non perde la propria capacità di agire, ma viene semplicemente privato della disponibilità e dell'amministrazione dei beni e dei rapporti compresi nel fallimento (attengono sempre agli effetti patrimoniali della dichiarazione di fallimento o, comunque, di liquidazione giudiziale gli artt. 44 e 45 del R.D. n. 267/1942 (che dal 1° settembre 2021 saranno sostituiti dagli artt. 144 e 145 del D.Lgs. n. 14/2019) relativi all'inefficacia degli atti compiuti dal fallito e alle formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi).

Il fallito, dunque, a seguito dell'apertura della procedura continuerà ad essere titolare del proprio patrimonio, ma semplicemente ne perderà la disponibilità. La riprova circa l'impossibilità di ritenere persa la capacità di agire risiede nel fatto che tutti gli atti relativi ai beni ed ai rapporti compresi nel fallimento non saranno totalmente invalidi, ma, piuttosto, inefficaci, ovvero inopponibili ai creditori, ex art. 44 della Legge fallimentare. Con la sentenza dichiarativa di fallimento, dunque, solo l'amministrazione del patrimonio del fallito (la gestione della procedura è disciplinata all'art. 31 del R.D. n. 267/1942 che dal 1° settembre 2021 sarà sostituito dall'art. 128 D.Lgs. n. 14/2019), e non la titolarità dello stesso, si trasferisce al curatore** che, nell'esercizio delle proprie funzioni, riveste la qualifica di pubblico ufficiale. Egli, infatti, è un organo dell'ufficio fallimentare e non un mero rappresentante del fallito.

** In evidenza
Con le riforme intervenute negli ultimi anni in materia fallimentare, al curatore è stata attribuita sempre maggiore autonomia nell'esercizio delle proprie funzioni tanto che viene qualificato quale “organo motore” della procedura. Sul punto si veda Mondini, Il ruolo del curatore nella gestione della procedura fallimentare. Autonomia e personalità nell'esercizio delle funzioni, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2015, 215; Torzi, Note in tema di responsabilità tributaria del curatore fallimentare, in il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, a cura di Paparella, Milano, 2013, 475; Stasi, Adempimenti fiscali. Obblighi fiscali del curatore, cit.; Turchi, La Cassazione ribadisce che il curatore fallimentare non è sostituto d'acconto, in Giur. It., 1995, 10.

La disciplina dell'IMU per gli immobili compresi nel fallimento

Le considerazioni di carattere generale sin qui svolte hanno nella disciplina fiscale dell'imposta ICI, prima, ed IMU, poi, un utile “banco di prova”. Vediamo in quali termini.

L'avvio di una procedura concorsuale è indice di una situazione di radicale difficoltà del soggetto passivo e, pertanto, il Legislatore ha sentito l'esigenza di introdurre regimi fiscali derogatori al fine di garantire la parità dei creditori (ad esempio l'art. 183 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (T.U.I.R.) prevede che il reddito di impresa del periodo che intercorre tra l'inizio e la chiusura del periodo concorsuale è determinato in misura pari alla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto iniziale. Sul punto si veda Girelli, Procedure concorsuali e liquidazione dell'IMU, in Rass. Trib., 2018, 11; Stasi, Adempimenti fiscali. Obblighi fiscali del curatore, in Fall., 2007, 1108).

Nell'ambito dell'ICI e dell'IMU*, il comma 768 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2019 n. 160 (legge di Bilancio 2020. In particolare, con la legge di Bilancio 2020 è stata abolita l'IUC, ad eccezione della Tari che non ha subito alcun cambiamento, ed è stata istituita una nuova IMU, nata dall'assorbimento della Tasi da parte dell'Imu, a parità di pressione fiscale; in tal modo è stata rimossa un'ingiustificata duplicazione di prelievi pressoché identici quanto a basi imponibili e platee di contribuenti) prevede che “per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, il curatore o il commissario liquidatore sono tenuti al versamento della tassa dovuta per il periodo di durata dell'intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili”.

Tale previsione è perfettamente in linea con la natura reale del tributo in questione e garantisce un collegamento tra il bene oggetto di imposizione e le risorse utilizzabili per l'adempimento fiscale in modo da non recare danno ai creditori diversi dall'Erario.

Ed inoltre ricalca quella precedente, ovvero l'art. 10, comma 6, D.Lgs. n. 504/1992 che prevedeva che per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa il curatore o il commissario liquidatore “sono tenuti al versamento dell'imposta dovuta per il periodo di durata dell'intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili”.

*In evidenza
L'IMU (Imposta municipale unica) è stata introdotta con il D.Lgs. n. 23/2011, artt. 8 e 9. Tale tributo avrebbe dovuto sostituire l'Ici (Imposta comunale sugli immobili) a partire dall'anno 2014; ma con successivo D.L. n. 201/2011, convertito nella L. n. 214/2011, ne è stata anticipata l'istituzione in via sperimentale all'anno 2012. La disciplina dell'Imu, però, ad eccezione di alcune disposizioni, non differisce da quella dell'Ici di cui al D.Lgs. n. 504/1992 a cui il D.Lgs n. 23/2011 fa espresso rinvio. Per quanto riguarda la disciplina dell'Imu nel corso del fallimento e della liquidazione coatta amministrativa l'art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 23/2011 ha previsto espressamente l'applicazione dell'art. 10, comma 6, del D.Lgs. n. 504/1992. Quest'ultima norma ha subito modiche ad opera della legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 173, lettera c), L. n. 296/2006). Prima della modifica la norma recitava “per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa l'imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento ed è prelevata, nel complessivo ammontare, sul prezzo ricavato dalla vendita. Il versamento dell'imposta deve essere effettuato entro il termine di tre mesi dalla data in cui il prezzo è stato incassato; entro lo stesso termine deve essere presentata la dichiarazione”; questa disposizione aveva dato luogo a molte questioni interpretative in merito al presupposto d'imposta, al soggetto passivo, alla base imponibile, al periodo d'imposta nonché al dies a quo del termine di tre mesi per il versamento dell'imposta. Sul punto si veda Brighenti, L'Ici nel fallimento tra legge e panfiscalisti locali, in Fisco, 2004, 6014; ID., L'Ici nel fallimento, in Boll. Trib., 1993, 1126; Greco, L'Ici nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, in Boll. trib. 1995, 1639; Apice, L'Ici e l'Invim del curatore fallimentare, in Fall., 199°, 11369; Randazzo, Ici e fallimento: questioni controverse, in Corr. trib., 1993, 2905; Stasi, Imposta comunale sugli immobili, in Fall., 1993, 569.

Per quanto riguarda l'obbligo dichiarativo, l'art. 1, comma 769, rinvia ad un decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze, sentita l'Associazione Nazionale Comuni Italiani, destinato a individuare i casi in cui dovrà essere presentata la dichiarazione; tale decreto, però, non è stato ancora emanato e, pertanto, sarà necessario attendere tale momento per comprendere le modalità ed i tempi di presentazione della dichiarazione in caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa. La precedente normativa, all'art. 10, comma 6, del D.Lgs. n. 504/1992, sul punto prevedeva che il curatore, in caso di fallimento, o il commissario liquidatore, in caso di liquidazione coatta amministrativa, presentasse al Comune di ubicazione degli immobili, entro novanta giorni dalla data della loro nomina, la dichiarazione attestante l'avvio della procedura.

La disciplina dell'IMU relativa agli immobili compresi nella massa fallimentare o nella liquidazione coatta amministrativa, dunque, deroga rispetto al regime ordinario solo per aspetti meramente procedimentali, quali le modalità di dichiarazione e di adempimento del debito tributario e non apporta alcuna modifica agli elementi strutturali del tributo e al carico fiscale complessivo [parte della dottrina, diversamente, riteneva che la precedente normativa avesse introdotto un regime derogatorio speciale sia sotto il profilo del presupposto di imposta che della determinazione della base imponibile: il presupposto, in particolare, sarebbe stato formato da una fattispecie complessa composta non solo dall'acquisizione all'attivo dell'immobile, ma anche dalla cessione dell'immobile stesso con conseguente riscossione del prezzo (a ciò sarebbe conseguito che nel caso in cui il bene non fosse venduto e fosse tornato nella disponibilità del fallito tornato in bonis l'immobile sarebbe stato escluso dal pagamento del tributo per tutta la durata del periodo concorsuale) ed, inoltre, si riteneva che la base imponibile fosse costituita dal prezzo di vendita del bene immobile. Sul punto si veda Stasi, Imposta comunale sugli immobili, cit.; Brighenti, L'Ici nel fallimento tra legge e panfiscalisti locali, cit.; Sollini, L'imposta comunale sugli immobili ed il fallimento, in Fisco, 1993, 11007].

In particolare, il presupposto dell'IMU, anche in caso di procedura concorsuale, resta sempre il possesso di immobili (il presupposto del tributo era disciplinato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 504/1992. Con la legge n. 160/2019, l'art. 1, comma 740, ha chiarito che “il presupposto dell'imposta è il possesso di immobili. Il possesso dell'abitazione principale o assimilata, come definita alla lettera b) e c) del comma 741, non costituisce presupposto di imposta, salvo che si tratti di un'unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9”).

Sotto la vigenza della vecchia normativa non appariva chiaro se la nozione di possesso fosse da intendersi nella sua accezione strettamente civilistica, di cuiall'art. 1140 c.c. (ai sensi dell'art. 1140 c.c. vi è possesso nel caso in cui coesistano due diversi elementi: uno oggettivo (corpus possessionis) ovvero il potere di fatto sulla cosa e uno soggettivo (animus possidendi) ovvero l'intenzione di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale. Sul punto si veda Miconi, L'Imu nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali: riflessioni a margine dei tributi sul “possesso” (rectius sul patrimonio), in Riv. Dir. Trib., 2014, 134; Falbo, L'Ici su immobili oggetto di espropriazioni, in Giur. Imp., 1994, 501. In giurisprudenza si veda Cass. 17 ottobre 2008 n. 25376), ovvero quale potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, oppure se fosse un istituto proprio del diritto tributario ricavabile dal combinato disposto degli artt. 1 (l'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 504/1992 affermava che “presupposto dell'imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività di impresa”) e 3 (la disciplina dei soggetti passivi dell'IMU era contenuta nell'art. 3 del D.Lgs. n. 504/1992 il quale sanciva che “soggetti passivi dell'imposta sono il proprietario di immobili di cui al comma 2 dell'art. 1, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi superficie, sugli stessi, anche se non residenti nel territorio dello Stato o se non hanno ivi la sede legale o amministrativa o non vi esercitano l'attività. Nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, il soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto”) del D.Lgs. n. 504/1992, e, dunque, come sinonimo di titolarità del diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento sul bene immobile.

Quest'ultima accezione è stata preferita dal Legislatore della recente riforma che, al comma 743, dell'art. 1 della Legge n. 160/2019, ha chiarito che sono soggetti passivi dell'Imu i possessori di immobili da intendersi tali il proprietario ovvero il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi o superficie sugli stessi (la norma prosegue specificando che “è soggetto passivo dell'imposta il genitore assegnatario della casa familiare a seguito di provvedimento del giudice che costituisce altresì il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario dei figli. Nel caso di concessione di aree demaniali, il soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, il soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto. In presenza di più soggetti passivi con riferimento ad un medesimo immobile ognuno è titolare di un'autonoma obbligazione tributaria e nell'applicazione dell'imposta si tiene conto degli elementi soggettivi ed oggettivi riferiti ad ogni singola quota di possesso, anche nei casi di applicazione delle esenzioni o agevolazioni”).

Anche la base imponibile del tributo, costituita dal valore degli immobili, non appare modificata a causa della dichiarazione di fallimento** così come le aliquote (la disciplina relativa alle aliquote è contenuta ai commi da 748 a 757, art. 1 della Legge n. 160/2019).

**In evidenza
La base imponibile attualmente è disciplinata ai commi 745, 746 e 747 dell'art. 1 della Legge n. 160/2019 che riprende l'art. 5 del D.Lgs. n. 504/1992. In particolare, la base imponibile per i fabbricati inscritti in catasto è costituita dal valore ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al primo gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento, alcuni moltiplicatori. Per le aree fabbricabili il valore è costituito da quello venale in comune commercio al primo gennaio dell'anno di imposizione o a far data dall'adozione degli strumenti urbanistici, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al primo gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento, un moltiplicatore pari a 135. Sulla base della vecchia disciplina prevista in caso di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa alcuni autori avevano ritenuto che la base imponibile non fosse quella ordinaria, di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 504/1992, bensì il valore effettivo del bene quale espresso dal prezzo di aggiudicazione. Sul punto si veda Rocco, Il debito fiscale nelle procedure concorsuali parte seconda i debiti sorti durante la procedura (2009 - 2015) (I), in Dir. e Prat., 2016, 845; Brighenti, ICI: la base imponibile nel fallimento, Boll. trib., 2004, 311; Zanati, Imposta comunale sugli immobili e prezzo di aggiudicazione nelle vendite fallimentari, in Fall., 2004, 1028. Sul punto si veda in giurisprudenza Cass. n. 14148/2003; Cass. n. 20575/2005. Tali problematiche si pongono anche per la disciplina attualmente in vigore in quanto non è stato data alcun chiarimento in merito all'individuazione della base imponibile, anche se pare che la soluzione preferibile sia quella di applicare i criteri ordinari anche in caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa.

L'IMU, del resto, è, come detto, un'imposta reale che colpisce il patrimonio immobiliare di un soggetto, a prescindere dal suo utilizzo e dalla situazione economica del suo titolare. Nell'ambito del fallimento e della liquidazione coatta amministrativa, dunque, l'ammontare complessivo del tributo è il medesimo che si ricaverebbe sommando i singoli importi dovuti per i vari anni di procedura, applicando il regime ordinario.

La peculiarità, pertanto, risiede solo nella fase di riscossione del tributo ed, in particolare, nelle modalità di dichiarazione e di adempimento del debito.

Con la dichiarazione di fallimento, infatti, si apre un periodo di imposta concorsuale che si conclude con il decreto di trasferimento del bene immobile; entro tre mesi dall'emissione di tale provvedimento il curatore sarà tenuto al versamento del tributo maturato nell'intero periodo, senza alcuna diminuzione del complessivo carico fiscale rispetto a quanto si sarebbe dovuto corrispondere in via ordinaria per i singoli periodi di imposta.

La ratio di tale disciplina derogatoria risiede nella tutela dei creditori diversi dall'Ente destinatario del gettito IMU. In primo luogo, il tributo è alimentato proprio dai proventi ricavati dalla vendita del bene immobile che ha dato origine al debito fiscale senza andare a scalfire le risorse volte a soddisfare gli altri creditori concorsuali.

In secondo luogo, il regime derogatorio permette la cristallizzazione del debito Imu, senza aggravio di interessi e sanzioni per omesso o ritardato versamento del tributo e, dunque, senza recare danno ai creditori diversi dall'Erario. Del resto, se non ci fosse tale disciplina derogatoria, essendo l'Imu destinata ad essere soddisfatto in prededuzione ai sensi dell'art. 111-bis della Legge fallimentare, non opererebbe l'effetto di cristallizzazione del debito previsto dall'art. 55 della medesima legge, con la conseguenza che non verrebbe sospesa la decorrenza degli interessi. La procedura, però, essendo solitamente priva di liquidità, sarebbe impossibilitata ad ottemperare tempestivamente all'obbligo fiscale con un conseguente aggravio di interessi e sanzioni a titolo di omesso o ritardato versamento del tributo, arrecando un grave danno agli altri creditori.

La responsabilità del curatore in caso di mancato versamento dell'IMU in relazione ad immobili facenti parte nella massa fallimentare

Appare necessario riflettere sulle conseguenze del mancato versamento da parte del curatore dell'Imu relativa ad immobili facenti parte della massa fallimentare.

Come abbiamo visto, con l'istaurarsi della procedura, il debitore non perde la propria capacità di agire, ma, semplicemente, gli atti dallo stesso compiuti, relativi ai beni ed ai rapporti compresi nel fallimento, saranno inefficaci (gli adempimenti tributari sono atti dovuti per legge che non incidono sulla consistenza e sulla destinazione del patrimonio e, pertanto, non saranno atti colpiti dagli effetti dello spossessamento. Sul punto si veda Dami, La responsabilità del curatore fallimentare, in AA.VV. (a cura di Tabet), La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, Torino, 2000, 49).

Il curatore, pertanto, si limiterà ad amministrare il patrimonio del fallito, senza assumerne la qualifica di rappresentante.

In tale contesto, è pacifico che le sanzioni relative all'omessa denuncia e versamento (il comma 774 dell'art. 1 della Legge di Bilancio 2020 afferma che in caso di omesso o insufficiente versamento dell'imposta si applicherà la sanzione di cui all'art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471 e il comma 775 sanziona l'omessa dichiarazione nella misura variabile tra il 100 e il 200 % dell'imposta non versata con un minimo di 50 euro; ricalcando, così, l'impianto sanzionatorio precedente) siano poste direttamente a carico del curatore. La disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, infatti, è fondata sul generale principio, di ispirazione penalistica, di personalizzazione della responsabilità, pertanto, potrà aversi una scissione tra la figura del contribuente e quella del trasgressore tutte le volte in cui l'illecito non sia ascrivibile al soggetto passivo dell'obbligazione, ma ad una persona fisica diversa tenuta per legge al compimento di determinati adempimenti fiscali. La responsabilità sanzionatoria tributaria del curatore fallimentare discende proprio dal fatto che è la legge stessa, al fine di consentire l'attività di liquidazione concorsuale, ad affidargli la contabilità dell'impresa, la relativa documentazione nonché tutte le incombenze fiscali relative alla procedura. Nell'ambito dell'Imu, l'art. 1, comma 768, legge 160/2019, già art. 10, comma 6, D.Lgs. n. 504/1992, pone a carico del curatore l'obbligo di versamento del tributo nel termine di tre mesi dal decreto di trasferimento dell'immobile. Da ciò discende che in caso di omessa corresponsione dell'imposta, sarà lo stesso organo della procedura a doverne rispondere sotto il profilo sanzionatorio.

La questione più dibattuta riguarda, invece, la possibilità o meno di ritenere il curatore fallimentare responsabile in solido con il fallito in caso di omesso versamento del tributo nel termine di tre mesi dal decreto di trasferimento dell'immobile.

Giurisprudenza minoritaria (sul punto si veda CTR Basilicata, Potenza n. 24/2020 nella parte in cui afferma che se il curatore non procede al pagamento del tributo dovuto per il periodo di durata dell'intera procedura, l'ente impositore dovrà procedere con l'emissione e notifica degli avvisi di accertamento nei suoi confronti. Si veda anche Cass. Sent. n. 16373/2014) ha affermato una responsabilità solidale del curatore con il fallito sulla base del fatto che è proprio la legge a porre a carico del primo lo specifico obbligo di versamento; il Comune, dunque, potrebbe notificare un avviso di accertamento volto al recupero del tributo sia al curatore fallimentare che al fallito (nel caso in cui sia il curatore a versare l'Imu sorgerà in capo allo stesso un diritto di rivalsa nei confronti del fallito. L'art. 18, comma 3, del D.P.R. n. 42/1988, oggi trasfuso nell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 322/98, prevede che il curatore, prima di presentare la dichiarazione finale, deve provvedere al versamento dell'Ires se la società fallita vi è soggetta. Autorevole dottrina, analizzando tale norma ha affermato un obbligo solidale del curatore con il fallito in caso di mancato prelievo e successivo versamento del tributo. Sul punto si veda Miccinesi, L'imposta sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, 235).

La ratio di tale scelta potrebbe risiedere proprio nel fatto che, coinvolgendo un soggetto terzo, si assicurerebbe al Fisco il soddisfacimento del prelievo.

Tale ricostruzione, però, non tiene conto del fatto che il curatore fallimentare non è stato qualificato dal Legislatore come un responsabile d'imposta in relazione al versamento dell'Imu per gli immobili facenti parte della massa fallimentare (come, invece, avviene ai sensi dell'art. 57 del d.P.R. n. 131/1986 per il notaio che abbia rogato, ricevuto o autenticato un atto, in relazione all'imposta di registro.), requisito necessario ai sensi dell'art. 23 della Costituzione (l'art. 23 della Costituzione prevede che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” e, pertanto, i casi di responsabilità d'imposta e di sostituzione d'imposta devono essere individuati espressamente dal Legislatore), e, pertanto, non potrà essere considerato un soggetto solidalmente obbligato al versamento del tributo.

Il curatore fallimentare, dunque, potrà essere chiamato a rispondere per le sanzioni comminate a seguito dell'omesso versamento dell'Imu relativa ad immobili facenti parte della massa attiva, ma non potrà essere obbligato al pagamento del tributo, nemmeno in via solidale con diritto di regresso per l'intero (sul punto si veda CTP La Spezia sentenza n. 195/2019; Cass. Sent. n. 17529/2012.).

Del resto, se così fosse l'organo della procedura sarebbe costretto a farsi carico del peso economico dell'obbligazione tributaria, senza che sussista alcun collegamento con la capacità contributiva, facente unicamente capo al fallito.

Come abbiamo detto, con lo “spossessamento” il debitore non perderà la propria capacità di agire e, pertanto, sullo stesso resteranno addossati tutti gli obblighi relativi ai redditi non ricompresi nella procedura. In tale contesto, il curatore si limiterà a sostituire il fallito per ciò che riguarda i vari adempimenti fiscali, ma non assumerà mai la qualifica di contribuente, pena la violazione dell'art. 53 della Costituzione. Il fallito, dunque, continuerà a rivestire la qualifica di soggetto passivo del tributo (sul punto si veda Cass. Sent. n. 1549/2011 secondo cui “in materia fallimentare, la soggettività passiva nel rapporto tributario permane nei confronti del fallito, il quale dopo la dichiarazione di fallimento perde solo la disponibilità dei suoi beni nonché la capacità processuale e quella di amministrare il suo patrimonio”. Nel medesimo senso si veda Cass. Sent. n. 15478/2010; Cass. Ord. n. 15462/2010; Comm. Trib. Prov. Toscana sent. 26 maggio 2015).

Il soggetto passivo dell'IMU in relazione ai beni immobili facenti parte della massa fallimentare, pertanto, resterà il fallito, unico titolare dei propri beni (Prima del chiarimento effettuato dalla legge di Bilancio 2020 in relazione alla nozione di possesso, potevano sorgere problemi in merito alla individuazione dei soggetti passivo. In particolare, il fallito, dopo la sentenza di dichiarazione del fallimento, perde il “possesso” nella sua accezione civilistica e, pertanto, non realizzerebbe il presupposto del tributo se si ritenesse che l'art. 1 del D.Lgs. n. 504/1992, avente ad oggetto il presupposto dell'Imu, avesse voluto richiamare la nozione di possesso di cui all'art. 1140 c.c. La legge di bilancio 2020, ha fatto chiarezza sul punto precisando che per possesso di immobili si intende titolarità del diritto di proprietà di altro diritto reale, eliminando così ogni dubbio sul fatto che il soggetto passivo dell'Imu in relazioni ai beni oggetto del fallimento resta il debitore. Sul punto si veda Miconi, L'Imu nel fallimento e nelle procedure concorsuali: riflessioni a margine dei tributi sul possesso (rectius patrimonio), cit.).

Tale conclusione è giustificata anche dal fatto che la liquidazione della massa fallimentare è volta proprio al soddisfacime0nto delle obbligazioni precedentemente assunte dal debitore e, pertanto, si colloca in una fase di esecuzione dei rapporti liberamente contratti dallo stesso.

In caso di omesso versamento, poi, non si esclude che il Fisco possa intraprendere un'azione di risarcimento dei danni per “mala gestio” nei confronti del curatore fallimentare in quanto dallo stesso si deve pretendere, non già un livello medio di diligenza, quanto, piuttosto, quello richiesto dalla natura dell'incarico e dalle sue specifiche competenze

(Sul punto si veda De Crescenzo,

La responsabilità del curatore fallimentare: la nuova disciplina

, in Fallim., 2009, 377; ID.,

La responsabilità del curatore fallimentare per atti di mala gestio del patrimonio del fallito – l'eterno dilemma della natura della responsabilità del curatore fallimentare

, in Fallim., 2014, 1279).

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