Oncologia e causalità “rinforzata”: nuove prospettive nella colpa medica

Vittorio Nizza
18 Febbraio 2021

In tema di nesso di causalità nel reato colposo omissivo, il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita avrebbe potuto evitare l'evento, richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è accaduto (cosiddetto giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta...
Massima

In tema di nesso di causalità nel reato colposo omissivo, il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita avrebbe potuto evitare l'evento – richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è accaduto (cosiddetto giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta. Una volta soddisfatto tale passaggio probatorio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può però ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sezioni Unite 10 luglio 2002, Franzese; Sezioni Unite 24 aprile 2014 Espenhahn). Per l'effetto in tema di responsabilità medica è indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l'evento lesivo sarebbe stato evitato o differito, avvalendosi delle leggi scientifiche, universali o statistiche, e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto, all'esito di un ragionamento probatorio che, esclusa l'interferenza di fattori eziologici alternativi, conduca alla conclusione, processualmente certa, che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale” (da queste premesse in una vicenda in cui il decesso del paziente per carcinoma vescicale metastatico era stato addebitato al chirurgo che aveva omesso di praticare – in occasione di due successivi interventi chirurgici relativi a resezione di neoplasia vescicale e successiva cistoscopia – l'esame istologico sul materiale resecato, è stata annullata con rinvio la sentenza che aveva motivato la condanna sul mero dato statistico che, in tal modo, il chirurgo aveva sensibilmente ridotto le aspettative di vita del paziente; secondo la Corte, infatti, non poteva ritenersi sufficiente l'argomento in forza del quale, in ragione dell'omessa effettuazione dell'esame istologico, era diminuita le probabilità statistica astratta di sopravvivenza, giacché tale diminuzione, in ipotesi senz'altro rilevante perché l'anticipazione del decesso – comunque inevitabile – dovuto a errori diagnostici e/o cure inadeguate, è circostanza che rientra nella tipicità del delitto di omicidio colposo, avrebbe però dovuto essere apprezzata alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, elaborato sull'analisi della particolarità del caso concreto).

Il caso

Un medico, quale medico curante e responsabile dell'unità operativa di chirurgia generale dell'azienda ospedaliera, veniva imputato del reato di omicidio colposo di un proprio paziente per averne cagionato la morte per carcinoma vescicale metastatico, in quanto in occasione di due interventi di resezione di neoplasia vescicale e successiva cistoscopia ometteva di praticare l'esame istologico sul materiale resecato così privandolo della possibilità di definire la natura della malattia, di codificare il necessario follow-up e di effettuare provvedimenti terapeutici più appropriati e così riducendone drasticamente le aspettative di vita.

Il sanitario veniva condannato in primo e secondo grado per il reato contestato e al pagamento, in solido con la struttura sanitaria quale responsabile civile, delle provvisionali riconosciute alle parti civili costituite.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello proponevano ricorso l'imputato, il responsabile civile e le parti civili.

In particolare, i ricorsi dell'imputato e del responsabile civile lamentavano, tra gli altri motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'individuazione del nesso causale. Veniva rilevato come i giudici di secondo grado avessero ritenuto sussistente il nesso causale basando la loro decisione unicamente su dati statistici astratti e non su dati certi e concreti aventi ad oggetto l'evoluzione fisiopatologica della malattia del paziente, ponendosi tra l'altro in contrasto con le conclusioni della perizia. I periti, infatti, pur avendo riconosciuto l'importanza diagnostica dell'esame istologico avevano tuttavia affermato come non fosse possibile concludere che un'anticipazione della diagnosi ed una corretta terapia avrebbero con certezza evitato il decesso del paziente o comunque ne avrebbero prolungato sensibilmente la sopravvivenza. I ricorrenti censuravano quindi la sentenza impugnata ritenendo che i giudici, nello svolgimento del giudizio controfattuale, avessero ipotizzato un'evoluzione fisiopatologica della catena degli eventi basata unicamente su dati statistici generali, che rappresentavano una generale dinamica della patologia, senza alcun riscontro rispetto al caso devoluto a giudizio.

La questione

Nella sentenza in oggetto la suprema Corte torna ad affrontare la problematica relativa all'accertamento del nesso causale nei reati omissivi impropri nel particolare settore della responsabilità medica, ribadendo quelli che sono gli approdi giurisprudenziali relativi alla necessità di addivenire ad un giudizio di elevata probabilità logica e non ad un mero giudizio di probabilità statistica.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie la suprema Corte incentra il proprio ragionamento sul tema dell'accertamento del nesso di causalità nel delicato settore della responsabilità medica. La contestazione mossa all'imputato ricorrente riguardava infatti l'omessa realizzazione di esami istologici a seguito di due interventi di resezione di neoplasia vescicale e successiva cistoscopia in un paziente affetto da carcinoma vescicale metastatico. Secondo la ricostruzione accusatoria, fatta propria anche dai giudici di merito, la mancanza di tale esame aveva comportato una non corretta identificazione della natura della malattia e di conseguenza una non corretta impostazione terapeutica, in tal modo riducendo le aspettative di vita del paziente, poi deceduto.

Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, i periti avevano affermato come non fosse possibile concludere in termini penalistici che un'anticipazione della diagnosi ed una corretta strategia terapeutica avrebbero con certezza evitato il decesso della persona offesa o comunque prolungato sensibilmente la sua sopravvivenza. La Corte d'Appello, pur non confutando la valutazione degli esperti, aveva ritenuto sussistente il nesso di causa tra la condotta omissiva contestata al medico e il decesso del paziente o quanto meno l'anticipazione dello stesso in termini temporali, così affermandone la penale responsabilità.

Sotto tale profilo la sentenza di secondo grado veniva censurata dalla Cassazione. Secondo la suprema Corte, i giudici di secondo grado avevano basato il loro giudizio controffattuale esclusivamente su dati statistici generali di evoluzione della malattia dando rilievo unicamente ai coefficienti di probabilità statistica di sopravvivenza forniti dai periti. La Corte d'Appello si sarebbe limitata a prendere come riferimento un coefficiente di probabilità statistico- astratta di pazienti affetti dalla medesima patologia tumorale della persona offesa, senza alcun tipo di caratterizzazione del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto, elementi invece imprescindibili nell'accertamento della causalità omissiva.

Evidenzia, infatti, la Corte come non sia corretto, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale elaborata in tema di accertamento del nesso di causa nei reati omissivi impropri caratterizzati da evento - come quello del caso di specie - ragionare solo in termini di probabilità statistica. Si ribadisce come la Cassazione a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2002 Franzese e poi confermata da tutta la giurisprudenza successiva, abbia sancito il criterio di giudizio della valutazione della causalità secondo un giudizio di “alta probabilità logica” o comunque di “elevata credibilità razionale”. I criteri di probabilità statistica e di probabilità logica sono infatti differenti. “La prima attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa alla successione degli eventi; la seconda attiene alla verifica ulteriore, sulla base dell'intera evidenza disponibile, circa l'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento ai fini della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale. Il concetto di probabilità logica impone di tenere conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi indiziari astrattamente idonei a modificarla. Consegue che se la probabilità statistica viene integrata da tutti gli elementi probatori forniti dall'indagine processuale, è possibile pervenire ad una valutazione connotata da un elevato grado di credibilità razionale non più espresso in termini meramente percentualistici”.

Nel caso di specie, la valutazione dei periti aveva portato a concludere che la patologia tumorale che aveva colpito la persona offesa era particolarmente grave, tale per cui avrebbe comunque determinato il decesso del paziente. Occorreva pertanto accertare se sulla base delle circostanze di fatto e dell'evidenza disponibile, ipotizzando come realizzata alla condotta doverosa del medico (consistente nell'esecuzione dell'esame istologico del tessuto tumorale prelevato) l'evento morte si sarebbe comunque realizzato o si sarebbe quanto meno realizzato in epoca significativamente posteriore a quanto accaduto. A parere della Corte, invece, tale giudizio non era stato posto in essere dai giudici di merito che si erano limitati ad una valutazione sulle astratte possibilità di sopravvivenza di quella specifica malattia senza riscontrare le peculiarità del caso concreto.

La Corte, infatti, sottolinea come sia da considerarsi un valore assoluto non solo la sopravvivenza del paziente, ma anche il prolungamento della vita. Secondo la giurisprudenza è pacifico come l'evento rispetto al quale occorra verificare la sussistenza del nesso di causa sia tanto la morte del paziente quanto l'accelerazione di tale conseguenza nefasta e quindi, fondamentalmente la sottrazione alla persona offesa di un periodo apprezzabile della propria vita. Il rapporto di causalità risulta configurabile anche quando si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa, l'evento avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Conclude pertanto la suprema Corte evidenziando come in materia di gravi malattie tumorali “l'anticipazione del decesso – comunque inevitabile – dovuto ad errori diagnostici e/o cure inadeguate, è circostanza che rientra nella tipicità del delitto di omicidio colposo, trattandosi di evento morte a tutti gli effetti riconducibile alla condotta colposa del medico, il quale, del resto, è sempre tenuto ad apprestare una terapia adeguata alla malattia, al fine di curare e mantenere in vita il paziente per tutto il tempo consentito dalla miglio scienza ed esperienza medica.”

La Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per vizio di motivazione logico-giuridico in relazione alla sussistenza del nesso di causa, rimettendo ai giudici del rinvio una nuova valutazione basandosi, oltre che sui dati statistici indicati dai periti, anche sulla caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. Tale valutazione dovrà essere rafforzata dalla considerazione che l'evento del reato di omicidio colposo può essere anche un'anticipazione della morte del paziente dovuta alla condotta colposa del medico.

Osservazioni

Nella sentenza in oggetto, la suprema Corte si pronuncia nuovamente sul tema della verifica della sussistenza del nesso di causa nei reati omissivi impropri con evento. Problematica particolarmente delicata nell'ambito della responsabilità medica. Nel caso di specie la vicenda riguardava il decesso di un paziente affetto da una grave forma di tumore alla vescica. Secondo la contestazione, il medico curante, responsabile dell'unità operativa di chirurgia generale, aveva omesso di effettuare l'esame istologico del materiale prelevato nel corso di due interventi di resezione di neoplasia e successiva citoscopia. Tale condotta non avrebbe permesso di individuare con esattezza la natura della malattia e pertanto di definire la corretta terapia da porre in essere. Il sanitario veniva condannato in primo e secondo grado per omicidio colposo. Secondo quanto affermato dai periti, tuttavia, la forma tumorale di cui era affetto il pazienta era così grave che avrebbe comunque determinato la morte della persona offesa.

La suprema Corte si sofferma allora su due aspetti relativi entrambi il tema del nesso causale Il primo relativo alla necessità, secondo la giurisprudenza ormai pacifica, di addivenire ad un giudizio di probabilità logica e non meramente statistica. Il secondo, invece, relativo alla penale rilevanza dell'aver causato un'anticipazione della morte, che avrebbe potuto essere significativamente posticipata con l'effettuazione delle dovute cure, circostanza da considerarsi quale evento del reato di omicidio colposo al pare della morte.

Sotto il primo profilo, la sentenza ripercorre gli approdi giurisprudenziali dominanti in materia di accertamento del nesso di causa. È ormai pacifico in giurisprudenza che debba ritenersi causa dell'evento quell'antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato. Un comportamento umano è causa di un evento solo se, senza di esso l'vento non si darebbe verificato (formula positiva). Non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l'evento si sarebbe verificato comunque (formula negativa).

È pertanto necessario procedere tramite il c.d. giudizio controfattuale, ossia quell'operazione intellettuale mediante la quale ci si chiede se ipotizzando come tenuta (o non tenuta) la condotta doverosa omessa (o realizzata) si sarebbe comunque giunti alle medesime conseguenze. Il giudizio controfattuale rappresenta il fondamento della teoria della causalità: tuttavia per poter procedere in tal senso occorre preliminarmente accertare tutto ciò che è effettivamente accaduto (c.d. giudizio esplicativo). Solamente ricostruendo con precisione la sequenza fattuale che ha condotto all'evento è possibile effettuare il giudizio controfattuale. In materia medica tale ricostruzione richiede l'accertamento del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia. In particolare, si è affermato che “non si può prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla causa dell'evento stesso, giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebita al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto” (Cass. pen. n. 25233/2005).

Le Sezioni Unite con la nota sentenza Franzese (Cass. SS.UU. n. 30328/2002) hanno affermato alcuni principi di diritto, poi confermati dalla giurisprudenza successiva: “il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica – si accerti che, ipotizzata come realizzata dal medico la condotta doverosa, l'evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato in un'epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria dell'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, cosicché, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto grado di credibilità razionale.”

Il giudizio che il giudice è chiamato ad effettuare non deve basarsi unicamente su coefficienti di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto, nonché con riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificatamente richiesta al sanitario.

Secondo la Corte, nel caso sottoposto al suo esame con la sentenza in commento, sarebbe mancata, da parte dei giudici di merito, proprio la valutazione in relazione al giudizio di tipo induttivo, basato sulle peculiarità del caso concreto. La motivazione sulla responsabilità del medico e della sussistenza del nesso di causa dei giudici di merito infatti si era incentrata unicamente sui dati statistici di probabilità di sopravvivenza o comunque di posticipazione dell'evento morte elaborati in relazione alla generale evoluzione di quella patologia. Tuttavia, non era stata analizzata in alcun modo la specifica situazione del paziente né quindi quale sarebbe stata la terapia in concreto applicabile e la sua eventuale efficacia anche in termini di prolungamento dell'aspettativa di vita del paziente.

La sentenza in commento interviene anche sotto tale profilo. Afferma l'importanza della valutazione in merito non solo alla portata salvifica delle eventuali possibili terapie non effettuate – già esclusa nel caso in esame dai periti – ma anche con riferimento al prolungamento della vita della persona offesa. L'anticipazione del decesso, seppur inevitabile, dovuta ad errori diagnostici e/o cure inadeguate rientra comunque nella tipicità del delitto di omicidio colposo, trattandosi di evento morte a tutti gli effetti.

In conclusione, anche in un caso di grave patologia oncologica il cui esito infausto era inevitabile, i giudici sono chiamati a valutare la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta negligente, imperita o imprudente del medico quanto meno sotto il profilo della riduzione delle aspettative di vita in termini temporali, come significativa anticipazione dell'evento morte. In ogni caso tale valutazione non può mai prescindere dall'effettuazione del giudizio “rafforzato” di alta probabilità logica, ossia non può essere basato solamente sui dati statistici di probabilità di sopravvivenza in generale rispetto alla patologia riscontrata, ma deve essere parametrato a tutte le circostanze specifiche del caso concreto che hanno condotto all'evento.