Accettazione tacita dell'eredità e sorte dei giudizi pendenti
22 Febbraio 2021
Massima
Nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede. Il caso
Con atto di citazione in data 24 maggio 2004 una serie di assegnatari di alloggi realizzati con fondi pubblici conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Potenza, il Comune di Potenza e l'Agenzia del Territorio di Potenza affinchè venisse accertato il loro diritto ad ottenere la formale assegnazione degli immobili con conseguente stipula dei relativi atti di assegnazione a titolo gratuito; si costitutiva in giudizio l'Amministrazione Comunale la quale non contestava la qualifica di assegnatari in capo agli attori bensì il loro diritto alla gratuità dell'assegnazione mancandone i presupposti sanciti dalla legislazione speciale, mentre rimaneva contumace l'Agenzia del Territorio. Il Tribunale di Potenza con la sentenza n. 658/2008 respingeva la domanda attorea ritenendo insussistenti i requisiti di legge ai fini dell'ottenimento dell'assegnazione a titolo gratuito degli alloggi. La parte soccombente - allora - promuoveva appello avverso la citata pronuncia, ma - essendo una delle parti in causa medio tempore deceduta - il gravame veniva promossa dalla di lei figlia la quale, per quanto consta dalla ricostruzione fattane dalla pronuncia in commento, legittimava la propria qualità di erede mediante esibizione del certificato di morte del defunto e di uno stato di famiglia attestante la qualifica parentale. La Corte d'Appello di Potenza rigettava l'appello sia confermando la tesi del Tribunale circa l'insussistenza dei presupposti legali atti ad ottenere l'assegnazione a titolo gratuito degli alloggi sia, per quanto attiene alla figlia dell'attore deceduto, eccependo l'avvenuto giudicato per omessa proposizione dell'appello: in sostanza, a detta del giudice di seconde cure, l'appello presentato dalla figlia sarebbe stato da considerarsi tamquam non esset perché non dimostrato in capo all'appellante lo status di erede. Avverso detta sentenza la parte soccombente ricorreva in Cassazione fondando la propria doglianza su tre motivi, due dei quali attinenti a questioni strettamente inerenti alla citata legislazione speciale che non saranno in questa sede analizzati: con un ulteriore motivo, invece, si contestava l'assunto della Corte in ordine all'avvenuto giudicato per mancato appello da parte della figlia del soccombente defunto. In particolare, la ricorrente asseriva l'erroneità dell'assunto del Collegio sia perché la qualità di erede dell'appellante non era stata contestata sia perchè ella avrebbe tenuto una condotta incompatibile con la volontà di rinunciare ed avente natura non conservativa del patrimonio di modo che sarebbero stati integrati gli estremi dell'accettazione tacita dell'eredità. La questione
Il thema disputandum oggetto della presente indagine ruota attorno la qualifica dell'appellante di modo che o questi rivestiva la qualità di erede dell'originaria parte processuale, e come tale era legittimato ad impugnare la sentenza, ovvero ne era privo e, dunque, ogni sua iniziativa sarebbe stata da considerarsi irrilevante: in sintesi, tertium non datur. Le soluzioni giuridiche
Dalla minimale ricostruzione della vicenda effettuata dal S.C. si evince che l'appellante si sarebbe limitata ad esibire un certificato di morte (comprovante il decesso del padre) ed uno stato di famiglia (comprovante il rapporto parentale tra defunto ed appellante), ma che la Corte d'Appello avrebbe reputato detta produzione documentale insufficiente per legittimare la proposizione del gravame. Al fine di comprendere al meglio i contorni della vicenda si rende imprescindibile una breve disamina sul procedimento successorio (chiaro in tal senso, G. Capozzi (a cura di) A. Ferrucci - C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Milano, Giuffrè, 2015, I, 22: “Il procedimento successorio è un fenomeno complesso, che si articola in una molteplicità di fasi logicamente e temporalmente successive l'una all'altra: apertura della successione, vocazione, delazione, acquisto dell'eredità”). Punto cardine del meccanismo è quello per cui la mera apertura della successione di una persona non determina di per sé sola l'acquisto dell'eredità in capo ai prossimi congiunti del defunto (in caso di successione legittima) o ai soggetti designati per testamento (in caso di successione testamentaria), essendo a tal fine necessaria una manifestazione di volontà da parte degli interessati: inequivocabile espressione di detto principio è rinvenibile nel disposto dell'art. 459 c.c. in forza del quale “L'eredità si acquista con l'accettazione”. Proprio per questa ragione nell'intervallo temporale compreso tra l'apertura della successione (prima fase del procedimento) e l'accettazione dell'eredità (ultimo anello della catena), non vi sono eredi in senso tecnico bensì semplicemente chiamati all'eredità: questi ultimi sono, infatti, i soggetti cui compete il diritto di accettare o meno una determinata eredità. In ordine all'acquisto dell'eredità, la legge ne regolamenta esplicitamente due modalità e precisamente: - l'accettazione espressa: ai sensi dell'art. 475 c.c. ”l'accettazione è espressa quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all'eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede”. In questo caso il chiamato manifesta in modo, appunto, espresso la propria volontà di accettare l'eredità e, dunque, non si pongono particolari questioni interpretative in ordine alla di lui condotta; - l'accettazione tacita: ai sensi dell'art. 476 c.c. “l'accettazione è tacita quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”. In questo caso, invece, il chiamato non appalesa direttamente i propri intendimenti, ma tiene un comportamento il cui significato è inequivocabilmente indice della sua volontà di accettare l'eredità per cui - a differenza di quanto detto sopra in tema di accettazione espressa - diventa dirimente l'interpretazione della condotta del chiamato al fine di determinarne l'obiettivo significato. In questo versante, dunque, quello che rileva non è la volontà in sé di accettare l'eredità, bensì il nesso teleologico tra attività del chiamato e suo intrinseco ed obiettivo significato (in questo senso, condivisibilmente, G. Capozzi (a cura di) A. Ferrucci - C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Milano, Giuffrè, 2015, I, 239: “E' sufficiente, in altri termini, il compimento da parte del chiamato di un atto che obiettivamente presupponga la sua volontà di accettare e che presupponga la sua volontà di accettare e che egli non avrebbe diritto di fare se non nella qualità di erede; questo solo richiede la legge”); di converso, una volta riscontrata l'obiettività della condotta, diventa irrilevante ogni verifica in ordine all'intimo convincimento del chiamato che, dunque, non potrà in nessun caso impedire l'acquisto già verificatosi. A completamento del quadro, si tenga presente che l'art. 460 c.c. individua una serie di attività, evidentemente reputate di minor incidenza economica e/o giuridica sul compendio ereditario, che il chiamato all'eredità può compiere senza divenire erede (trattasi testualmente: delle azioni possessorie; degli atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea; della vendita dei beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio, purchè previa autorizzazione giudiziale). Di non chiaro inquadramento è, invece, la fattispecie delineata dall'art. 485 c.c. relativa al caso specifico del chiamato all'eredità che sia nel possesso dei beni ereditari. In base a detta norma questi deve fare l'inventario entro un termine prestabilito dalla Legge (tre mesi dall'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità, eventualmente prorogabili dal Tribunale del luogo dell'apertura della successione) per poi - entro quaranta giorni dal compimento dello stesso - deliberare se intende accettare o rinunziare l'eredità, tenendo - però - presente che in caso di omessa decisione il chiamato è irreversibilmente considerato erede puro e semplice. La ratio di detta previsione è quella di velocizzare, appunto in tre mesi salvo proroga, il procedimento successorio allorquando vi sia un legame “fisico” tra chiamato all'eredità ed il compendio ereditario dato che in detta situazione, avendo questi presumibilmente a sua disposizione tutti gli elementi per prendere una decisione, apparirebbe non giustificato applicare l'ordinario termine prescrizionale decennale di cui all'art. 480, comma I, c.c.. A prescindere dai distinguo terminologici (acquisto eccezionalmente senza accettazione o accettazione legale quale tertium genus tra quella espressa e quella tacita?) il dato rilevante è che trattasi di una modalità di accettazione che prescinde da ogni volontà, espressa o tacita, in capo al chiamato all'eredità di divenire erede (esclude la natura di accettazione tacita: Cass., sez. VI, 23 luglio 2020, n. 15690). Stante quanto sopra detto è inevitabile che la giurisprudenza sia stata di sovente chiamata a valutare se la condotta del chiamato avesse o meno determinato in capo a quest'ultimo l'accettazione dell'eredità. In tal senso: - sono stati reputati rilevanti ai fini dell'accettazione tacita dell'eredità: la presentazione della voltura catastale (Cass., sez. VI, 22 gennaio 2020, n. 1438; Cass., sez. II, 17 marzo 2016, n. 5319; Cass., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10796; Cass., sez. II, 12 aprile 2002, n. 5226); la proposizione di azione di rivendicazione di beni ereditari (Cass., sez. II, 6 giugno 2018, n. 14499; Cass., sez. II, 24 aprile 2018, n. 10060); il pagamento di un debito ereditario con denaro dell'asse ereditario (Cass., Sez. II, 22 febbraio 2018, n. 4320; Cass., sez. II, 27 agosto 2012, n. 14666); il conferimento di una procura a vendere bene ereditario (Cass., Sez. II, 4 settembre 2017, n. 20699); la riscossione dei canoni di locazione (Cass., sez. II, 6 febbraio 2014, n. 2743); la proposizione della domanda di divisione ereditaria (Cass., sez. II, 27 settembre 2013, n. 22288; Cass., 23 febbraio 1985, n. 1628); l'intervento in giudizio pendente in capo al defunto (Cass., sez. II, 8 aprile 2013, n. 8529; Cass., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6070; Cass., sez. lavoro, 2 settembre 2003, n. 12780); la richiesta di voltura di concessione edilizia intestata al defunto (Cass., sez. II, 8 gennaio 2013, n. 263); la domanda di restituzione di denaro prelevato dall'asse ereditario (Cass., sez. III, 14 ottobre 2011, n. 21288); la riscossione di un assegno intestato al defunto (Cass., sez. III, 5 novembre 1999, n. 12327); la proposizione dell'azione di regolamento di confini (Cass., sez. II, 12 novembre 1998, n. 11408); la proposizione dell'azione di riduzione (Cass., 9 luglio 1971, n. 2200); - sono stati reputati irrilevanti ai fini dell'accettazione tacita dell'eredità: il pagamento di debiti ereditari con denaro proprio (Cass., sez. II, 30 settembre 2020, n. 20878); la presentazione della dichiarazione di successione Cass., sez. VI, 22 gennaio 2020, n. 1438; Cass., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4783; Cass., sez. III, 13 maggio 1999, n. 4756; Cass., sez. II, 4 maggio 1999, n. 4414; Cass., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2711; Cass., sez. II, 12 gennaio 1996, n. 178; Cass., sez. II, 18 maggio 1995, n. 5463; Cass., sez. II, 19 ottobre 1988, n. 5688); l'immissione nel possesso dei beni avvenuta per mera tolleranza degli altri chiamati (Cass., sez. II, 27 ottobre 2005, n. 20868; Cass., sez. III, 17 novembre 1999, n. 12753; Cass., sez. II, 16 dicembre 1986, n. 7552). Una volta inquadrati i termini concettuali della questione, occorre comprendere come sia stata valutata nella vertenza processuale in commento la proposizione dell'appello da parte del chiamato all'eredità paterna. Per quanto detto al paragrafo precedente, l'intervento e/o la prosecuzione in giudizi pendenti facenti capo alla parte processuale medio tempore defunta determina, in capo al soggetto che è intervenuto e/o ha proseguito in giudizio, l'accettazione tacita dell'eredità: salvo l'ipotesi del tutto teorica in cui l'attività del chiamato possa essere reputata di mera conservazione ex art. 460 c.c. e come tale “neutra” rispetto al tema dell'accettazione ereditaria, si tratterà - allora - di un atto che, come prevede l'art. 476 c.c., “presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”. E', infatti, difficilmente concepibile che un chiamato all'eredità dia impulso all'iter processuale senza che ciò sia indice di una sua netta intenzione di subentrare nella medesima posizione sostanziale del de cuius. Nonostante ciò, il giudice di secondo grado sembrerebbe aver indebitamente sovrapposto l'aspetto probatorio insito nella condotta processuale (cioè come un chiamato che subentra in giudizio pendente debba dimostrare la propria legittimazione) con le implicazioni effettuali dello stesso: il Collegio, infatti, si era limitato ad una valutazione “estrinseca” della fattispecie ritenendo che la mera produzione documentale del certificato di morte e dello stato di famiglia non potesse di per sé sola dimostrare la qualità di erede. Tale percorso ermeneutico si è rivelato - però - claudicante, in quanto: da un lato è a dir poco lapalissiano che una certificazione anagrafica possa dimostrare esclusivamente il possesso di uno status soggettivo non essendo ontologicamente equipollente ad un'accettazione dell'eredità (in tal senso il S.C.: “la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato”); ma dall'altro l'esibizione dei documenti non può essere analizzata asetticamente, richiedendosi - invece - una complessiva valutazione del contesto in cui è avvenuta (in tal senso il S.C.: “l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede”). La decisione della Corte d'Appello sul punto in questione è stata, quindi, cassata poiché la proposizione dell'appello da parte del chiamato ha integrato gli estremi dell'accettazione tacita dell'eredità: ciò che rileva, perciò, non l'esibizione delle certificazione, bensì l'esercizio dell'azione giudiziale cui la produzione documentale era meramente prodromica. Osservazioni
Il tema dell'acquisto dell'eredità è notoriamente scivoloso in considerazione del fatto che è il legislatore stesso, presumibilmente al fine di stroncare comportamenti elusivi da parte del chiamato all'eredità, a legittimare la rilevanza dei comportamenti concludenti che - in quanto tali - prestano fatalmente il fianco a criticità contrapposte, e così banalmente: il chiamato che non intende subire gli effetti a lui sfavorevoli derivanti da un'accettazione, eccepirà che la propria condotta si è limitata all'alveo conservativo di cui all'art. 460 c.c. o che comunque non presupponeva affatto la volontà di accettare l'eredità; a contrario, il terzo che intende giovarsi degli effetti a lui favorevoli derivanti da un'accettazione altrui, sosterrà che la condotta del chiamato ha esondato dall'alveo conservativo di cui all'art. 460 c.c. o che comunque presupponeva la volontà di accettare l'eredità. Detta opacità metodologica fisiologicamente tende ad incrementarsi allorquando la vicenda ereditaria si innesta in un contenzioso giudiziario ove, come nel caso qui in commento, l'acquisto o meno della qualifica ereditaria costituisce uno spartiacque dirimente. Nel merito della questione, la decisione della Corte di Cassazione è pienamente condivisibile, poiché la continenza del contegno dell'appellante è, a parere di chi scrive, indice univoco della volontà di accettare l'eredità: in tal senso nella sentenza si evoca “una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità”, proprio a certificare l'inammissibilità di argomenti che possano scardinare l'equazione tra condotta oggettiva ed acquisto ereditario. Riferimenti
N. Di Mauro, L'accettazione tacita o per facta concludentia dell'eredita, in Famiglia e diritto, 2005, 6, 428; G. Esposito, Denuncia di successione, voltura catastale e accettazione tacita di eredità, in Notariato, 2012, 6, 702; C. Romeo, Comportamenti del chiamato e accettazione tacita di eredità, in Famiglia e diritto, 2018, 8-9, 748; A.F. Salvatore, Natura giuridica dell'accettazione tacita dell'eredità, in Corriere Giuridico, 2007, 1, 1998.
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