Il trasferimento del genitore collocatario con il minore comporta il radicamento della competenza?
23 Febbraio 2021
Massima
Sia l'art. 8 del Regolamento CE n. 2201 del 2003, che l'art. 5 della Convenzione dell'Aja in materia di riconoscimento, esecuzione e cooperazione in materia di responsabilità genitoriale ratificata con l. n. 101/2015, hanno stabilito che nei giudizi destinati alla cura del best interest del minore (ed in primo luogo in quelli attinenti all'esercizio della responsabilità genitoriale) il foro si desume in via pressoché esclusiva dalla residenza abituale, così costituendo un indice determinante al fine di definire la natura giuridica della competenza territoriale interna. L'art. 709-ter c.p.c. evidenzia ulteriormente l'inderogabilità e la funzionalità del criterio. Ai fini della determinazione del foro competente, è sufficiente che il trasferimento non abbia finalità strumentali od abusive, ovvero non sia un espediente per sottrarre il minore alla vicinanza dell'altro genitore. Il caso
Nel corso di una separazione tra coniugi il tribunale disponeva l'affido condiviso del figlio con collocamento presso la madre. La donna, per motivi di lavoro e personali, dopo la separazione, si trasferiva con il minore prima in un comune e successivamente in un altro. Il padre allora presentava un'istanza al tribunale del luogo del primo trasferimento della donna, avente ad oggetto la regolamentazione delle modalità di affidamento, collocamento e mantenimento del figlio. Ne chiedeva in particolare l'affidamento esclusivo. A sostegno della sua richiesta allegava il fatto che la madre aveva trasferito la residenza anagrafica del bambino senza preventivamente chiedere il suo consenso. La donna si costituiva eccependo l'incompetenza territoriale del tribunale adito. Affermava di essersi nuovamente trasferita al momento del deposito del ricorso unitamente al figlio minore in un'altra città. Il tribunale adito declinava la competenza territoriale sostenendo che il minore non aveva legami particolari in quel luogo, dove aveva vissuto meno di un anno. L'uomo proponeva allora regolamento di competenza. La questione
Due sono le questioni sottese alla vicenda. La prima riguarda la competenza territoriale in relazione all'affidamento e al mantenimento di minori in caso di loro trasferimento. Si pone infatti il problema di capire se, nel caso in cui il genitore con cui il figlio vive trasferisca la propria residenza in una diversa città e porti con sé anche la prole, la competenza territoriale spetti al giudice del luogo dove si è svolta la vita familiare o a quello del luogo dove il genitore si è successivamente trasferito. La questione si complica inoltre quando, come nel caso in esame, il minore ha cambiato dimora più di una volta. L'ordinanza si sofferma inoltre sull'annoso e controverso problema del trasferimento del minore a seguito del genitore affidatario o collocatario in assenza di consenso dell'altro genitore. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione con l'ordinanza in esame affronta innanzitutto la questione della competenza territoriale e individua come giudice competente quello dell'ultimo luogo dove nella specie il minore si è trasferito. Tale assunto, affermano gli Ermellini, prende le mosse dal principio del superiore interesse del minore, interesse riconosciuto a livello internazionale dall'articolo 3 della Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. In nome di tale principio il tribunale deve essere quello più prossimo al luogo dove vive il minore. La Corte in proposito fa riferimento all'art. 8 del Reg. CE 2201/2003, e all'art. 5 della Convenzione dell'Aja del 1996 (ratificata con l. 101/2015) i quali prevedono che nei giudizi in cui si discute del superiore interesse del minore e in particolare in quelli relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale il foro si desume in via pressoché esclusiva dalla residenza abituale del minore. Gli indici attraverso i quali identificare nel merito la residenza del fanciullo sono, precisa la Cassazione: il lavoro del genitore, l'acquisto di una casa, la convivenza dello stesso con un nuovo partner. Nella specie peraltro la situazione era particolare il bambino infatti si era trasferito più di una volta. Vi era dunque il luogo dove era vissuto con la famiglia, il luogo dove si era trasferito in un primo momento con la madre dopo la separazione e un ulteriore luogo dove era andato a vivere, sempre con la madre, un mese prima del deposito del ricorso. In tale contesto la Cassazione richiamando i suoi precedenti di legittimità fa riferimento non tanto alla quantità di tempo trascorso in un luogo, ma piuttosto a un criterio prognostico. In proposito infatti era stato in giurisprudenza precisato che nel caso di cambiamenti di residenza di un genitore che porti il figlio minore con sé anche con decisione unilaterale, per l'individuazione del tribunale territorialmente competente a emettere i provvedimenti relativi alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale è competente il tribunale del luogo dove si trova la residenza abituale del fanciullo. Ai fini della sua individuazione sono di secondario rilievo la residenza anagrafica precedente e il minor tempo trascorso nella nuova sede, dovendosi effettuare una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo e stabile centro d'interessi del minore sulla base delle intenzioni e dei progetti di vita del genitore che ha deciso il trasferimento (Cass. 21285/ 2015). Di conseguenza nella individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno in altra città (Cass. 27358/2017) è invece necessario, valorizzare “indicatori di natura proiettiva”, come l'iscrizione all'asilo e l'incardinamento nel sistema pediatrico (Cass. 8042/2018). Il luogo di residenza abituale è pertanto quello nel quale il minore stesso ha consolidato, consolida, oppure, secondo un giudizio prognostico, potrà consolidare una rete di relazioni, di affetti, tali da assicurargli uno sviluppo psicofisico armonico (Cass. 29839/ 2017). Sulla base di tali considerazioni, nel caso di specie, la Corte individua la residenza abituale del minore nel luogo dove lo stesso risiede seppur solamente da un mese prima del deposito del ricorso. In questo contesto, prosegue l'ordinanza in esame non rileva che la decisione del trasferimento sia stata assunta unilateralmente dalla madre collocataria. Si sostiene in proposito che la mancanza del consenso dell'altro genitore al trasferimento non è elemento rilevante dal momento che ciascuno dei genitori vanta un diritto costituzionalmente garantito a determinare la residenza nel luogo ritenuto più opportuno (ex art. 16 Cost.). In questa linea interpretativa la giurisprudenza ha affermato che il trasferimento della prole realizzato unilateralmente da uno dei genitori, pur senza il consenso dell'altro, è idoneo a fissare la residenza abituale dei minori nel luogo in questi sono stati trasferiti, dove i fanciulli, nonostante il breve lasso di tempo, abbiano realizzato una situazione di stabilità oggettiva (frequenza regolare di una scuola con il corollario relazionale che ne consegue) e soggettiva (miglioramento della situazione materna)(Cass. 18817/2014). Nello stesso senso si sostiene che il genitore che intende trasferire la propria residenza lontano da quella dell'altro, non perde, per questo, l'idoneità ad essere collocatario o affidatario dei figli minori. Il giudice, infatti, si precisa, deve soltanto valutare con quale dei due genitori sia preferibile per il minore vivere, in relazione unicamente al suo interesse con la consapevolezza comunque delle conseguenze negative sulla quotidianità della relazione tra il figlio e il genitore lontano (Cass. 5604/2020; Cass. 9633/2015). Conseguentemente, prosegue la Corte, citando i suoi precedenti giurisprudenziali, ai fini della determinazione del foro competente, è sufficiente che il trasferimento non abbia finalità strumentali od abusive, ovvero non sia un espediente per sottrarre il minore alla vicinanza dell'altro genitore (Cass. 21285/2015). Nel caso in esame la Cassazione esclude che il trasferimento sia avvenuto allo scopo di sottrarre il minore al padre sussistendo una pluralità di ragioni, inerenti alle esigenze personali, relazionali e lavorative della madre collocataria. Osservazioni
Si evidenzia peraltro come non vi sia uniformità di vedute in materia. Si consideri innanzitutto che la residenza abituale del minore, intesa come luogo in cui questi ha stabilito la sede prevalente dei suoi interessi e affetti, costituisce uno degli affari essenziali per la vita del fanciullo. Il luogo di residenza abituale deve essere deciso dai genitori di comune accordo sia quando la coppia genitoriale è unita (art. 316 c.c.), che in ipotesi di disgregazione della unione familiare (ex art. 337-bis, comma 3, c.c.) e ciò anche nel caso in cui vi sia un regime di affidamento monogenitoriale (art. 337-quater, comma 3, c.c.). L'unica ipotesi in cui la scelta della residenza è affidata solo ad un genitore si ha quando questi abbia ottenuto dal tribunale un affidamento monogenitoriale con concentrazione delle competenze genitoriali (ex art. 337-quater, cm. 3, c.c. ), il c.d. “affido super-esclusivo”. Si sostiene in proposito in giurisprudenza che, in conseguenza del principio di bigenitorialità, il trasferimento del minore da parte di uno dei genitori senza il consenso dell'altro è illecito e da altresì luogo a conseguenze di vario tipo: sanzioni ex art. 709- ter c.p.c., risarcimento del danno, nonché eventuali modifiche del regime di affidamento (App. Milano, 11 agosto 2014). Un tale comportamento attuato dal genitore collocatario, denota infatti, precisa altresì la dottrina, la sua manifesta carenza ed inidoneità educativa, in quanto priva il minore di una delle due figure genitoriali (In tal senso tra gli altri: Sesta – Arceri L'affidamento dei figli nella crisi della famiglia, 2011; Balestra, a cura di, Commentario del codice civile, 2010, 705). In tale linea interpretativa si ritiene altresì che il trasferimento, in tal modo operato, contrariamente a quanto espresso nel caso in esame non vale a radicare la competenza territoriale del giudice del luogo in cui i minori sono stati condotti senza consenso dell'altro genitore (Trib. Rimini, 25 gennaio 2010). Si afferma in tal senso infatti che l'esigenza primaria è quella di scoraggiare gli abusi e prevenire le liti attraverso la certezza e rapidità delle decisioni (Maglietta, Irrilevante che sia da poco tempo nella nuova sede, in Guida al diritto 57/2016). Sostiene in proposito la Cassazione che il riferimento all'effettiva dimora del minore, non sta ad indicare che la competenza territoriale può essere determinata sulla mera base della rilevazione del luogo in cui si trova il minore al momento del ricorso, senza verificare se tale ubicazione corrisponda a quella abituale o sia invece frutto di uno spostamento o trasferimento recente e contingente, o, unilateralmente deciso da uno dei genitori, sostanzialmente in coincidenza temporale con la proposizione del ricorso. La correlazione tra giudice e luogo in cui abitualmente vive il minore non può, infatti, spezzarsi per effetto di variazioni successive della residenza del genitore, prevalendo la stabilità sulla prossimità transitoria, essendo tale conclusione imposta da ragioni di certezza e di effettività dell'esercizio della giurisdizione (Cass.17746/2013). Al di là delle questioni squisitamente legate alla competenza territoriale è certo comunque che nel caso di trasferimento di uno dei due genitori è necessario, un bilanciamento dei diritti che vengono presi in considerazione: da una parte il diritto del genitore di fissare dove ritiene più opportuno la sua residenza anche in virtù di esigenze lavorative e dall'altro l'interesse del minore ad avere, in ossequio al principio di bigenitorialità, un rapporto regolare e continuativo con madre e padre. Il criterio su cui basarsi comunque, alla luce dei principi della Convenzione Onu, è sempre quello della ricerca del superiore interesse del minore, criterio guida che permea l'intero complesso del diritto minorile, e che la Convenzione sui diritti dell'infanzia richiede sia sempre oggetto di “primaria considerazione”.
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