Amministrazione di sostegno, consenso dell'interessato e rete protettiva tutelante
24 Febbraio 2021
Massima
La volontà contraria all'attivazione della misura dell'amministrazione di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica), non può non essere tenuta in debito conto da parte del giudice. A questo riguardo, l'equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell'autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie, a seconda dei casi. Se la riscontrata esigenza di protezione della persona (capace di intendere e volere, seppur in stato di fragilità) risulti già assicurata da una rete familiare all'uopo organizzata e funzionale; oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto ed alcuna adeguata tutela esistenziale. In quest'ultima ipotesi, il ricorso all'istituto può essere giustificato, mentre nella prima non lo è, in ispecie ove all'attivazione si opponga, in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse trattasi. Il caso
Il Tribunale di Lecce disponeva l'apertura dell'amministrazione di sostegno. La Corte d'Appello adita con reclamo disponeva la sostituzione dell'amministratore di sostegno. Veniva quindi adita la Corte di Cassazione per effetto dell'impugnazione del decreto sostanzialmente confermativo pronunziato dal giudice di secondo grado. La beneficiaria di a.d.s. articolava il ricorso di legittimità su cinque punti, evidenziando, tra l'altro, in particolare, l'erroneità della «valutazione del presupposto dell'incapacità di essa ricorrente a provvedere ai propri interessi”, stante la “propria condizione di soggetto capace di intendere e di volere e riluttante all'amministrazione di sostegno». Nell'accogliere il ricorso avanzato dalla beneficiaria, la pronunzia in rassegna richiamava le conclusioni dimesse dalla c.t.u. e sulla quale il decreto della Corte d'appello era fondata. Si legge nella c.t.u.: la persona «è assolutamente in grado di intendere e di volere, di capire quindi ciò di cui ha bisogno e le aggrada conservando la capacità di decidere e la possibilità di ottenere ciò di cui necessita ordinariamente attraverso le persone che ha scelto e che formano per lei una rete adeguata di sostegno e risorse». La pronunzia proseguiva, ulteriormente evidenziando: «la signora L.T., di anni XX, è affetta da una menomazione fisica grave come la cecità assoluta che certamente la mette in una posizione di inferiorità psichica e di necessità di essere quindi assistita e coadiuvata nelle sue competenze ordinarie e straordinarie. Tale forma di assistenza è da oltre venti anni adeguatamente gestita da una rete familiare ed amicale, ben coordinata dalla figlia, che provvede a soddisfare esaurientemente le esigenze di assistenza della sig.ra che non intende in alcun modo modificare l'organizzazione della sua vita esprimendo chiaro dissenso alla possibilità di intrusioni di persone estranee di cui ritiene giustamente di non avere necessità desiderando invece conservare la sua autonomia decisionale». Il ricorso di legittimità veniva accolto sul presupposto dell'insussistenza di presupposti di nomina dell'a.d.s., alla stregua della c.t.u. Dato che la nomina suppone una condizione attuale di menomata capacità che, per effetto di disabilità fisica o psichica, ponga la persona nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Nella specie tale situazione non veniva ritenuta susistente per la riscontrata presenza di rete protettiva tutelante. La questione
Duplice è la questione risolta dalla nomofilachia. La pronunzia in rassegna esclude la sussistenza dei presupposti normativi di accesso alla nomina, riguardando, da una canto, la possibilità di nominare l'a.d.s. ad un beneficiario che si opponga alla misura; e, dall'altro, la possibilità di procedervi in presenza di menomazione fisica della persona che, benché fragile, sia però adeguatamente supportata da rete amicale o istituzionale tutelante. Le soluzioni giuridiche
Con riguardo al primo profilo, la Corte, richiamando un proprio precedente (Cass. 22602/2017), evidenzia che l'opposizione del beneficiario all'attivazione della misura di protezione costituisce “espressione di autodeterminazione” e, in quanto tale, “non può non essere considerata dal giudice nel contesto della decisione che a lui si richiede”, sempre che tale opposizione provenga da “persona pienamente lucida”. Con riguardo poi al secondo profilo, concernente la presenza di una rete protettiva tutelante a supporto del disabile, la nomofilachia ribadisce che in tal caso l'attivazione della misura non può ritenersi giustificata. Osservazioni
1. Per la nomina dell'a.d.s., il consenso/dissenso del beneficiario non rappresenta presupposto normativo di attivazione o non attivazione della misura. Molte volte il consenso neppure è ipotizzabile in presenza di disabilità psichiatrica, ovvero, a fronte di talune patologie mentali (quali, ad es., schizofrenia, oligofrenia, sindrome di down, depressione maggiore, etc.) il dissenso non può non ritenersi viziato e come tale è irrilevante. Invece, in presenza di persona in grado di esprimersi con lucidità ed unicamente affetta da disabilità fisica (come nella specie, nella quale la beneficiaria era affetta da cecità assoluta), come ha osservato la nomofilachia (Cass. 27 settembre 2017, n. 22602), il dissenso espresso va tenuto in considerazione da parte del g.t., in quanto espressione di autodeterminazione individuale. In particolare, si consideri che l'art. 407, comma 2, c.c. espressamente dispone che, in sede decisoria, il giudice debba «tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione, dei bisogni e delle richieste di questa». Tra le “richieste” espresse dal disabile in sede di audizione, di cui il giudice deve sempre tener conto, può apprezzarsi il dissenso critico ad una nomina di a.d.s. dallo stesso ritenuta non gradita che, pur sempre, si rivela limitativa della capacità di agire. Compito del giudice è la difficile individuazione del “giusto mezzo”, nella tensione tra autodeterminazione individuale ed esigenza di non abbandono civilistico del disabile. D'altro canto, la Corte Costituzionale, rigettando una questione di legittimità costituzionale sollevata da un giudice di merito, aveva escluso che il consenso dell'interessato costituisca presupposto di istituzione della misura protettiva («è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 2 e 3 cost., la questione di legittimità costituzionale degli art. 407 e 410 c.c., nella parte in cui non subordinano al consenso dell'interessato l'attivazione della misura dell'amministrazione di sostegno e il compimento dei singoli atti gestionali, o comunque non attribuiscono efficacia paralizzante al suo dissenso in ordine a tale attivazione e al compimento di tali atti. L'art. 407 c.c., infatti, espressamente prevede che il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e deve tenere conto “compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”, sicché il giudice può anche non procedere alla nomina dell'amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell'interessato, ove ritenga detto dissenso - nel contesto della fattispecie sottoposta al suo giudizio - giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione»: Corte. cost. 19 gennaio 2007, n. 4).
2. Con riguardo alla condizione personale astrattamente suscettibile di intervento di protezione (menomazione fisica o psichica della persona), ci si è chiesti se l'amministratore di sostegno vada necessariamente nominato. A questo riguardo, è indispensabile la verifica dell'inferenza causale della patologia sulla quotidianità della persona, sulla capacità di espletamento delle funzioni esistenziali, sulla possibilità di provvedere ai propri interessi, economici e personali (art. 404 c.c.). Prima degli interventi nomofilattici in discorso, lo scrutinio del presupposto in oggetto è stato delibato e filtrato dalla riflessione compiuta dai giudici di merito. Dopo una prima pronunzia della Corte d'appello di Bologna, che aveva escluso la correttezza della nomina di a.d.s. a favore di persona tetraplegica già adeguatamente assistita da personale posto alle sue dipendenze (App. Bologna 7 aprile 2008, in personaedanno), il dibattito è stato alimentato da un decreto del Tribunale di Vercelli, chehamotivatamente escluso una tale inferenza, in presenza dell'intervento di “ausilio altrui”. Si è affermato che: «non va nominato l'amministratore di sostegno a beneficio persona disabile che sia in grado di esercitare con pienezza i propri diritti laddove la stessa fruisca del proficuo aiuto da parte di terze persone, posto che la nomina dell'amministratore di sostegno implica la privazione, seppur parziale, della capacità di agire». Ad analoga conclusione è pervenuto l'Ufficio tutelare Geminiano: «la misura di protezione dell'amministrazione di sostegno non è attivabile in presenza di rete sociale attenta e vigile, di idoneo supporto alla persona, non ravvisandosi il requisito dell'impossibilità gestionale» (Trib. Modena 5 febbraio 2016). La misura protettiva sarebbe applicabile nei limiti della stretta necessità, dal momento che la stessa determina, quale primario effetto giuridico, la limitazione, seppur parziale, della capacità di agire della persona; una limitazione giustificabile unicamente nei casi previsti dalla legge. Pertanto, in presenza di rete protettiva tutelante (familiare amicale e/o istituzionale), la protezione istituzionale ex art. 405 c.c. non andrebbe attivata. Autorevole dottrina si è espressa per la linea di “non intervento”, richiamando il requisito normativamente inespresso della sussidiarietà (o, altrimenti detta, della c.d. sussidiarietà rimediale), ovvero, anche detto della “non necessità” di intervento protettivo; l'art. 404 c.c. dispone infatti che la persona “priva in tutto o in parte di autonomia può - non “deve” - essere assistita dall'a.d.s.”. Scrive Cendon: «qualora la rete familiare fosse hic et nunc ben tesa, all'erta, senza smagliature, con tutti gli allarmi accesi, attiva ventiquattrore al giorno, e qualora non fosse d'altronde il pericolo dell'innescarsi di conflitti significativi e di ribellioni imbarazzanti tra il disabile ed il suoi congiunti, orbene, la linea del “non facciamo niente”, il diritto lasciamolo da parte, andiamo avanti come prima del code Napoleon, potrebbe ancora aver il suo senso». Laddove sia in concreto ravvisabile una rete protettiva, familiare, amicale e/o istituzionale, in grado di surrogare, aiutare ed assistere e/o sostituire la persona affetta da disabilità nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, perché dovrebbe essere attivata la misura di protezione, legittimando l'intervento tribunalizio d'autorità? In tal caso, difetterebbe il presupposto codicistico costituito dall'incapacità gestionale della persona, presupposto da porre in correlazione inferenziale con quello della disabilità psichica/fisica acclarata. Quindi la misura non andrebbe disposta, dovendo la persona mantenere piena capacità d'agire. Una diversa impostazione, come si è autorevolmente osservato (Bonilini), finirebbe per comportare “una inammissibile rinunzia alla propria capacità di agire o a parte della medesima”, in presenza di ricorso avanzato dallo stesso beneficiario. In situazioni consimili, l'intervento delle istituzioni, come pure quello di parenti, familiari, amici o conoscenti, i quali, a motivo di solidarietà sociale o per dovere istituzionale, gestiscono gli “affari altrui” che sono identificabili negli interessi (personali e/o patrimoniali) del disabile (artt. 2028-2031 c.c.), in forza dei principi resta esclusa l'attivazione della protezione istituzionale. Il disabile non si trova in condizioni di abbandono civilistico e neppure è impossibilitato alla gestione dei propri interessi, sicchè risulterebbe, per converso, ingiustificato l'intervento dell'amministratore di sostegno. D'altro canto, l'intervento giurisdizionale a tutela della persona fragile appare doveroso unicamente quale extrema ratio e nella misura della stretta necessità; quando difettino ulteriori strumenti di protezione civilistici, meno invasivi e maggiormente performanti, quali l'ausilio e l'intervento delle istituzioni, di terzi o di familiari, come pure il provvidenziale conferimento a terzi di una procura sostanziale ad operare nell'interesse altrui (art. 1392 c.c.). In conclusione, la nomofilachia, con una prima pronunzia del 2017 (Cass. 27 settembre 2017, n. 22602), ha condiviso ed affermato il principio enucleato in dottrina ed applicato dalla giurisprudenza dei giudici tutelari, del “non intervento” autoritativo e protettivo in presenza di rete protettiva attiva e tutelante: «l'amministrazione di sostegno non può essere istituita nei confronti di chi, pienamente lucido, vi si opponga, sempre che il giudice accerti che i suoi interessi siano comunque tutelati, sia in via di fatto dai familiari che per il sistema di deleghe attivato autonomamente dall'interessato». La pronunzia in rassegna ha avuto cura di ribadire identico principio di diritto. D'altro canto, la ratio della rinnovata protezione del disabile, come emergente dall'art. 1 della l. n. 6/2004 («la presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente»), richiede che, nella tutela della persona priva in tutto o in parte di autonomia, vi sia “la minore limitazione possibile della capacità di agire”. E, come è stato osservato (Piccinni), ciò può anche significare la non necessità, e dunque l'inopportunità, di una misura giudiziale di protezione. In conclusione, pur a fronte di non infondati entusiasmi che hanno accompagnato l'introduzione della nuova misura di protezione introdotta nel 2004 - meno invasiva, più moderna e personalizzata con riguardo alle esigenze del beneficiario rispetto alla rigidità di interdizione ed inabilitazione- non va dimenticato che essa induce, comunque, una limitazione della capacità di agire, che ultima rappresenta un diritto fondamentale della persona. Cosicché la nomina di sostegno si giustifica nella misura dello stretto indispensabile, come oltre trent'anni or sono insegnava Bianca (“la limitazione della capacità di agire può essere costituzionalmente legittima solo se giustificata da un'effettiva e preminente esigenza di tutela della persona e nei limiti di questa esigenza”). Riferimenti
Sacco, Il consenso del beneficiario di amministrazione di sostegno e il conflitto tra dignità e libertà; in Giur. Cost., 2007, 2277 Masoni, Consenso e dissenso del beneficiario di amministrazione di sostegno, in Dir. Fam. Pers., 2008; Figone, Amministrazione di sostegno e dissenso del beneficario, in Fam. Dir., 2007, 10, Masoni, Amministrazione di sostegno e intervento di terzi: la nomina è sempre necessaria ? in Il familiarista,; Bonilini, L'anziano consapevole e adeguatamente assistito, no abbisogna di amministratore di sostegno. In soccorso può intervenire il mandato in Fam. Dir., 2016, 177, Piccinni, Misure di protezione e principio di sussidiarietà nell'attuazione dei diritti delle persone non autonome, in Nuova giur. Civ. Comm., 2016, 6, 827: BIANCA, Per una radicale riforma della condizione giuridica del sofferente psichico, 1988 ed oggi in Realtà sociale ed effettività della norma, scritti giuridici, Milano, 2002, II, 729 e segg. Cendon, in Cendon, R. Rossi, Amministrazione di sostegno, Torino, 2009, I, 397-398. Bonilini, in Bonilini, Tommaseo, Dell'amministrazione di sostegno, Milano, 2018, 2 ed., 98. Masoni, Il giudice tutelare, Milano, 2018, 430 e segg. |