Figli affidati in via esclusiva al padre, se la madre non ascolta i loro bisogni e alimenta il conflitto
01 Marzo 2021
Massima
Nel caso in cui, in corso di causa, sia accertato che un genitore viola o tralascia i propri doveri genitoriali ovvero abusa dei suoi poteri, con grave pregiudizio per i figli, il giudice può decidere di non pronunciarsi sulla decadenza genitoriale, bensì adottare provvedimenti adeguati al caso specifico, quali l'allontanamento del genitore negligente dalla residenza familiare, oppure, come nel caso de quo, lasciare ai figli la scelta d'incontrare la madre, nel rispetto del principio dell'autodeterminazione. Il caso
La Corte d'Appello territoriale revoca la pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre sui figli minori pronunciata dal Tribunale dei minorenni e affida i medesimi in via esclusiva al padre, attribuendo a quest'ultimo l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale per tutte le questioni riguardanti i figli, anche senza il consenso della madre. Dispone, inoltre, che i figli possano incontrare la madre secondo la loro volontà, invitando la signora a seguire un percorso di terapia individuale come indicato dal CTU. Contro tale decisione, la madre presenta ricorso alla Suprema Corte che, però, lo respinge, affermando che la decisione dei giudici di seconde cure appare corretta oltre che conforme ai precedenti di legittimità.
La questione
Si possono rilevare profili di contraddittorietà nella pronuncia dei giudici di secondo grado che, pur ritenendo la condotta della madre non così grave da dichiararne la decadenza dalla sua responsabilità genitoriale, riconoscono l'esistenza dei presupposti necessari all'applicazione dell'affidamento super esclusivo a favore del padre? Le soluzioni giuridiche
Nel merito, la Corte d'Appello ha ritenuto che le risultanze istruttorie e la CTU non potevano comportare la decadenza della responsabilità genitoriale della madre, per la «mancanza di adeguati elementi di prova di specifiche violazioni da parte della madre dei doveri connessi alla responsabilità genitoriale, di gravità tale da giustificare l'adozione di un provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale». Ha ritenuto, invece, che i profili di inidoneità rilevati, in merito alle criticità legate alla difficoltà della madre ad armonizzare con i figli, a capire i loro bisogni oltre che a comprendere i propri errori ed il notevole contributo dato dalla stessa alla cronicizzazione del conflitto genitoriale, in seno al quale i figli avevano indicato il padre come parte debole, tendendo a prenderne le parti senza che fosse emerso un condizionamento paterno, potevano essere soddisfatti dall'applicazione dell'affido “super esclusivo” dei ragazzi al padre che, pur non privando la madre della responsabilità genitoriale, conferiva all'altro genitore affidatario la possibilità di assumere da solo tutte le decisioni per i ragazzi, anche sulle questioni di maggiore importanza. Nel caso che ci occupa, i giudici di seconde cure hanno accertato, grazie ad un'articolata istruttoria, il clima di grave conflittualità familiare vissuto dai minori - caratterizzato da emozioni prevalentemente negative ricondotte dagli stessi al comportamento materno, e senza che fossero emersi condizionamenti da parte del padre considerato dai figli come parte debole all'interno di questo conflitto. Questa condizione li aveva portati ad un progressivo allontanamento dalla figura materna ed al rifiuto ad incontrarla, senza che la madre avesse dimostrato di avere acquisito consapevolezza degli errori e del grave contributo dalla stessa fornito alla nascita ed alla cronicizzazione del conflitto genitoriale e dei bisogni affettivi e relazionali dei figli. La stessa, infatti, non appariva in grado di svolgere alcuna funzione educativa nei confronti dei figli minori, in tal modo mettendo in atto una condotta per loro pregiudizievole. In casi di questo tipo, vi è da evidenziare che il Giudice, quando abbia accertato che un genitore viola o trascura i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio, ha la possibilità di non pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale, ai sensi dell'art. 330 c.c., e di graduare le misure applicabili, come previsto dall'art. 333 c.c., secondo il quale, quando la condotta appare pregiudizievole per il figlio, il giudice «può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore convivente che maltratta o abusa del minore». Tale assunto evidenzia che è riservato al giudice stabilire la misura che in concreto si riveli più adatta, anche facendo applicazione – in un caso come il presente in cui non vi era già più la convivenza familiare – all'istituto dell'affido declinato secondo la modalità più pertinente ex art. 337-quater c.c. e, quindi, anche nella forma dell'affidamento esclusivo rafforzato, per cui la pronuncia in esame non presenta alcuna contraddittorietà. La Suprema Corte, in linea con quanto appena evidenziato, ritiene che la decisone di secondo grado sia corretta anche nel passaggio in cui illustra la ragione di ammettere la scelta volontaria dei minori rispetto alla possibilità di incontrare la madre, secondo un principio di autodeterminazione. Osservazioni
In materia di provvedimenti che riguardano i figli, l'attuale cornice normativa, come modificata dalla legge n. 54/2006 e, più recentemente, dal d.lgs. n. 154/2013, stabilisce il primario diritto del minore alla bi-genitorialità. Già la legge n. 54/2006, laddove stabiliva, all'art. 155, comma 3, c. c. che “la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori”, obbligava il giudice a considerare l'affidamento condiviso come soluzione prioritaria, esiliando l'affidamento cosiddetto monogenitoriale ad ipotesi eccezionali. In continuità con tale scelta legislativa, l'art. 337-ter, introdotto dal D.Lgs. n. 154/2013, prevede che «la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori” e conferma così il ruolo residuale dell'affidamento esclusivo che il giudice può disporre “qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore». La giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte ribadito che i provvedimenti che dispongono l'affidamento esclusivo devono essere specificatamente motivati dal giudice che li adotta, sia in ordine al «pregiudizio potenzialmente arrecato ai figli da un affidamento condiviso» sia “all'idoneità educativa o alla manifesta carenza dell'altro genitore”. Inoltre, ha chiarito il contenuto del pregiudizio nei confronti del minore. In particolare, in positivo, ha riconosciuto che esso è rinviabile in tutte quelle situazioni idonee ad alterare o porre in pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico del minore; in negativo, la Corte, analizzando una delle ipotesi più ricorrenti nei giudizi di famiglia, ha statuito che il pregiudizio per il minore non può risolversi nell'indicazione di una conflittualità fra figlio e genitore o fra genitori, non essendo questa sufficiente a rimuovere il diritto alla bi-genitorialità per il minore né lo simmetrico dovere di responsabilità genitoriale che esiste in capo al genitore. La stella verso cui deve orientarsi ogni provvedimento giudiziario relativo ai minori – e dunque anche quelli inerenti il loro affidamento – è quel principio del best interest of the child, traducibile come “protezione del miglior interesse del bambino”, stabilito in primis dall'art. 3 della Convenzione di New York sulla protezione dei diritti del fanciullo del 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 176/1991) e recepito dalla legislazione comunitaria e nazionale e dalla giurisprudenza a tutti i livelli. Inoltre, appare necessario chiarire, per come fatto nelle “Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa per una giustizia a misura di minore”, adottate il 17 novembre 2010, che il superiore interesse del minore va necessariamente rapportato alla ricerca di una soluzione contingente. Ed invero, il provvedimento adottato deve garantire l'effettiva attuazione, non di un interesse astratto e preconcetto, ma dell'interesse concreto di “quel” minore che, nel singolo caso sottoposto a valutazione, è destinatario di “quel” provvedimento. Ed è proprio nell'ottica del superiore interesse del minore che deve essere inquadrato l'istituto dell'affidamento condiviso esclusivo rafforzato, che la giurisprudenza ha saputo estrapolare dalle righe dell'art. 337-quater c.c., introdotto dal d. lgs. n. 154/2013. In una sorta di scalata di ascendente di “gravità” del provvedimento adottabile, con conseguente, aggravato, onere motivazionale da parte del giudice, il regime dell'affidamento c.d. super esclusivo si colloca al gradino più alto di tutela, ed insieme di residualità. L'inciso che ha aperto un pertugio alla creazione giurisprudenziale della figura del c.d. affidamento esclusivo rafforzato è quel «salvo che non sia diversamente stabilito», inserendo prima della disposizione per cui “le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori”, di cui all'art. 337-quater c.c. che afferma la derogabilità giudiziaria di affidamento esclusivo, in favore di uno ancora più stringente. Preme ricordare che il regime di affidamento esclusivo lascia, infatti, comunque in capo al genitore non affidatario la possibilità di adottare, insieme al genitore affidatario, le decisioni di maggior importanza per i figli. La clausola di riserva sopraccitata, invece, permette al genitore “affidatario rafforzato” di adottare, di fatto, tutte le decisioni relative ai figli, senza la consultazione, né tantomeno il consenso, dell'altro genitore. Nell'applicazione dell'art. 337-quater c.c. ha fatto scuola il Tribunale di Milano, seguito poi da altra giurisprudenza di merito. Il Tribunale di Milano, con un'ordinanza ex art. 708 c. p. c, ha disposto che al genitore affidatario competano in esclusiva anche le decisioni di maggiore importanza inerenti il figlio minore, tenendo, ovviamente, in conto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Le ipotesi alle quali tale istituto è stato applicato sono residuali e marginali. Facendo un esempio specifico, era stato applicato nel caso del padre di un bambino che era risultato totalmente inidoneo a rivestire la figura genitoriale: egli viveva in uno stato estero, si era disinteressato sia del figlio che delle vicende giudiziarie che lo vedevano coinvolto e aveva, per di più, utilizzato il figlio come occasione di ritorsione nei confronti della moglie. Inoltre, questo padre si era anche reso responsabile di diversi episodi di violenza nei confronti della madre del bambino e aveva lasciato in capo alla stessa ogni incombenza economica inerente il mantenimento del figlio, che all'epoca aveva solo un anno. Alla luce di tali elementi, nel caso appena descritto, è stato ritenuto prevalente l'interesse del bambino ad avere un solo centro decisionale, ma tempestivo e funzionante, piuttosto che quello alla bi-genitorialità, in considerazione, fra l'altro, del totale disinteresse del padre alla vita del figlio. Per quanto riguarda il contenuto del regime di affidamento esclusivo rafforzato, è necessario ricordare che esso non priva del tutto il genitore non affidatario della propria responsabilità genitoriale. Secondariamente, è – altresì - importante evidenziare che il giudice, nel determinare il regime di affidamento dei minori deve necessariamente tener conto del preminente interesse del minore. Il Tribunale di Milano ha, peraltro, precisato che proprio in ragione della mancata soppressione della responsabilità genitoriale, è specifico onere del genitore non affidatario quello di continuare a contribuire al mantenimento del figlio. L'ordinanza del 30 marzo 2014, cristallizza un ulteriore principio fondamentale, vale a dire evitare che «la macchina di rappresentanza degli interessi del minore sia inibita nel funzionamento, a causa del completo e grave disinteresse del padre per la propria famiglia». Ci si deve chiedere, a questo punto, cosa residui della responsabilità genitoriale in capo al genitore non affidatario. E se tale regime non rappresenti una sorta di decadenza dalla responsabilità genitoriale. Sul punto interviene lo stesso art. 337 quater c. c. che affida al genitore non affidatario un compito di vigilanza e la possibilità di adire il giudice, laddove ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli per i figli. Lo stesso legislatore ha ritenuto di dover porre dei limiti alla strumentalizzazione del regime di affidamento esclusivo, prevedendo che se la domanda risulti manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli. Gli operatori del diritto hanno il ruolo di evidenziare gli eccessi sia da un lato che dall'altro: evitare che un genitore disinteressato possa “liberarsi” facilmente dalle responsabilità verso il proprio figlio ed, altresì, evitare l'ipotesi che l'altro genitore riesca ad allontanare con facilità la controparte dalla gestione dei figli. Riferimenti
Ruscello F., La tutela dei figli nel nuovo “affido condiviso”, in Familia, 2006; Ruscello F., Affidamento condiviso, collocazione abitativa del figlio e dovere di cura dei genitori, in F. Ruscello (a cura di), Studi in onore di Davide Messinetti, Napoli, 2008; Sicchiero, G., La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015; Tommaseo F., Le nuove forme sull'affidamento condiviso: b) profili processuali, in Fam. e dir., 2006; Uccella F., Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nella propria famiglia: un nuovo principio fondamentale in tema di filiazione, in F. Uccella, Il figlio e la responsabilità genitoriale. Evoluzione normativa, approccio interodinamentale e “speranze giuridiche”, Nuovi Quaderni di Vita notarile, Palermo, 2014. |