Moglie e marito si separano, ma la procreazione assistita può comunque essere portata a termine
02 Marzo 2021
Il consenso prestato alla procreazione medicalmente assistita non è revocabile a posteriori in caso di separazione della coppia. In sostanza, la rottura tra marito e moglie non può impedire alla donna di portare avanti il percorso per diventare madre, percorso che, come detto, era stato condiviso originariamente dall'uomo, intenzionato a diventare padre, e si era già concretizzato nella crioconservazione di quattro embrioni destinati a essere impiantati nell'utero della donna (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. I Civile, ordinanza del 27 gennaio 2021).
All'origine della delicata vicenda i problemi riproduttivi di una coppia sposata. L'amara scoperta comporta inevitabili problemi, che però vengono alla fine superati, grazie anche alla decisione concorde di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. Così, lei e lui si preparano mentalmente all'idea di diventare finalmente genitori. La complessa e pesante procedura scientifica ha ripercussioni fisiche sulla donna. Per questo, una volta compiuta la fecondazione dell'ovocita, la terapia viene momentaneamente sospesa, e si opta per «la crioconservazione di quattro embrioni», poi trasferiti, su decisione concorde dei coniugi, nel ‘Centro' destinato a provvedere all'impianto nell'utero della donna. Sembra un percorso, quello della coppia, ormai avviato, e invece nuovi problemi mettono tutto a rischio. La situazione si complica quando i coniugi arrivano alla separazione e il marito «si rifiuta di prestare il consenso allo scongelamento degli embrioni e all'impianto» destinato a consentire alla moglie di rimanere finalmente incinta. Il clamoroso ripensamento del marito provoca la reazione della donna, che chiede al giudice di ordinare al ‘Centro' di «procedere all'impianto degli embrioni in utero, in via d'urgenza, avendo ella raggiunto l'età di 43 anni, con riduzione delle possibilità di successo». E il giudice istruttore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere accoglie nell'ottobre del 2020 la richiesta, ordinando al ‘Centro' di «procedere all'inserimento degli embrioni crioconservati nell'utero» della donna.
Questione chiusa, quindi, col provvedimento del giudice istruttore? Assolutamente no, perché il marito decide di contestare ulteriormente la richiesta della moglie, e ribadisce la legittimità del proprio dissenso all'impianto, soprattutto tenendo presente la separazione coniugale. In aggiunta, poi, egli sostiene anche la revocabilità del consenso – originariamente prestato all'idea di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita – «fino a quando non vi sia stato il trasferimento dell'embrione nell'utero», e pone in evidenza anche le possibili «problematiche di tipo psico-fisico» a suo danno, poiché, sostiene, «il bene ‘salute' sarebbe gravemente compromesso per il rifiuto psicologico dell'idea di proseguire nel progetto di filiazione». Per il marito non ci sono dubbi: va revocato l'ordine emesso dal giudice istruttore. Ma la sicurezza da lui mostrata non è condivisa dai Giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i quali, invece, ritengono doveroso confermare il ‘via libera' all'impianto nell'utero della donna. Alla luce della l. n. 40/2004 – che regolamenta la procreazione medicalmente assistita – «la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti è attuato assicurando, da un lato, la consapevolezza del consenso e la possibilità di revoca sino alla fecondazione, e, dopo tale momento, ritenendo prevalente il diritto alla vita dell'embrione che potrà essere sacrificato solo a fronte del rischio di lesione di diritti di pari rango ritenuti prevalenti perché facenti capo, per esempio, a soggetti già viventi – per lo più a tutela della salute della donna», premettono i Giudici. In questo caso, l'uomo lamenta che «il giudice di prime cure non ha dato rilievo agli eventi sopravvenuti alla fecondazione degli ovociti e, in particolare, alla separazione tra i coniugi». Dal Tribunale ribattono che «bisogna porre l'attenzione sulla circostanza che la separazione tra i coniugi elide solo in apparenza i presupposti soggettivi richiesti dall'articolo 5 della legge in questione “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile” e il diritto alla famiglia, garantito dall'articolo 30 della Costituzione. Lo stato di separazione dei coniugi non può porsi, infatti, sullo stesso piano di quello del genitore single o della coppia omosessuale, che danno vita a modelli di famiglia che si allontanano da quello tradizionale. Invero, il minore nato da genitori separati avrà diritto di godere di entrambe le figure genitoriali e sia il padre che la madre assumeranno i diritti e gli obblighi connessi alla genitorialità. L'ordinamento appresta tutela penalistica e civilistica ai diritti dei figli nei confronti dei genitori i quali sono tenuti alla salvaguardia dell'interesse dei figli sotto tutti gli aspetti, proteggendoli anche dai conflitti di coppia». Di conseguenza, «colui che presta il consenso alla ‘procreazione medicalmente assistita' assumerà tutti i diritti e gli obblighi genitoriali», chiariscono i Giudici.
Quanto poi alle problematiche psicologiche lamentate dall'uomo per il «rifiuto di portare avanti il progetto di filiazione con una donna con la quale non sussiste più un progetto di vita comune», i giudici annotano che «le stesse problematiche possono interessare l'altro genitore per non vedere realizzato il progetto di filiazione nonostante l'affidamento determinato dal consenso e l'avvenuta fecondazione. Inoltre, gli interessi delle parti devono bilanciarsi con la tutela dell'aspettativa di vita dell'embrione. La irrevocabilità del consenso, fissata al momento della fecondazione, diversamente da quanto argomentato dall'uomo, contempera e bilancia la tutela dei delicati interessi coinvolti. Né il bilanciamento dei delicatissimi interessi citati potrebbe essere diversamente modulato per le esigenze di tutela dei terzi – nuovi partner – genericamente enunciate». E comunque «non si comprende in cosa il terzo, informato dal partner del preesistente accesso alla ‘procreazione medicalmente assistita', dovrebbe fare affidamento». Infine, i Giudici pongono in evidenza che «il marito ha sottoscritto il consenso presso l'ospedale, dopo aver ricevuto tutte le informazioni previste dalla legge» e quel consenso «è divenuto irrevocabile con la fecondazione e dispiega effetti, pertanto, anche nei confronti della diversa struttura incaricata di proseguire il processo attivato, perché ciò che rileva per la legge è che le parti abbiano prestato il consenso, non precludendo la possibilità di optare per una diversa struttura». Ciò significa che «non vi sono dubbi che le parti abbiano incaricato per la prosecuzione il ‘Centro', come deduce la donna», che ora potrà sottoporsi all'impianto degli embrioni in utero e coltivare il proprio sogno di diventare madre.
Fonte: dirittoegiustizia.it |