Liquidazione del patrimonio: piano di distribuzione e poteri del giudice

Mariacarla Giorgetti
04 Marzo 2021

Nel caso di liquidazione del patrimonio, quando ad esito della liquidazione il liquidatore predispone un progetto di distribuzione, quali sono gli strumenti assegnati ai creditori per muovere eventuali contestazioni al riparto? Quali sono i poteri del giudice della procedura?

Nel caso di liquidazione del patrimonio, quando ad esito della liquidazione il liquidatore predispone un progetto di distribuzione, quali sono gli strumenti assegnati ai creditori per muovere eventuali contestazioni al riparto?

E quali sono i poteri del giudice della procedura?

Anticipiamo sin da subito che per rispondere al quesito occorre rivolgersi alla recente introduzione del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, che ha modificato, anche sotto tale aspetto la normativa precedente.

Occorre richiamarsi in particolare all'art. 220 CCI, che disciplina il procedimento di ripartizione, a sua volta successivo alla fase di accertamento del passivo: a questo proposito giova sottolineare che il d.lgs. n. 147/2020 ha modificato la norma e ha introdotto una specifica previsione relativa alla comunicazione dell'esito del procedimento di accertamento del passivo preso in esame all'art. 205 d.lgs. n. 14/2019.

Si prevede, infatti, che il curatore debba dare immediata comunicazione ai ricorrenti della dichiarazione di esecutività dello stato passivo. Proprio nella richiamata comunicazione, il curatore deve informare i ricorrenti del diritto di proporre opposizione in caso di mancato accoglimento della domanda e deve, altresì, allegare anche una copia dello stato passivo reso esecutivo. In forza della modifica, poi, è richiesto oggi che la comunicazione debba contenere una sintetica esposizione delle concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori concorsuali. Dalla norma si evince la volontà del legislatore - volontà che percorre l'intera procedura - di disincentivare la proposizione di impugnazioni allo stato passivo da parte dei creditori che non avrebbero alcuna possibilità di veder soddisfatto il proprio credito in considerazione dell'esiguità dell'attivo anche laddove le loro ragioni venissero accolte. Si evince, dunque, una generale tendenza a evitare ingerenze pretenziose da parte dei creditori che non siano seriamente legittimati.

Come noto, la fase della liquidazione dell'attivo si sviluppa in tre momenti, consistenti nella predisposizione del programma di liquidazione, nella cessione dei beni (vendita dell'azienda o di suoi rami o di beni o rapporti in blocco; cessioni di crediti, azioni revocatorie e partecipazioni) e nella vendita dei diritti sulle opere dell'ingegno, sulle invenzioni industriali e sui marchi.

Il programma di liquidazione rappresenta l'atto di preparazione dell'attività liquidatoria da parte del curatore ed è disciplinato dall'art. 213 CCI.

Come è dato leggere nella Relazione Illustrativa, rispetto alla corrispondente disposizione dell' art. 104 ter l. fall., la disciplina del programma di liquidazione è stata oggetto di una generale razionalizzazione della materia, nonché di cambiamenti resi necessari dagli indirizzi che la legge delega imponeva. Si può notare come i termini per la redazione del programma di liquidazione da parte del curatore (art. 6, comma 1, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015 n. 132) siano rimasti identici, e come il curatore non possa più affidare ad altri professionisti o a società specializzate alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo.

Ciò significa che tutti i rapporti si giocano, anche nella fase di liquidazione, tra curatore, creditori e giudice.

Si può notare come la nuova norma non indichi più un contenuto dettagliato e omnicomprensivo del programma di liquidazione, come accadeva nel già citato art. 104 ter l. fall.: oggi il testo legislativo si limita a precisare che il programma è diviso in sezioni e che esso deve avere dei contenuti minimi.

In tal modo, lo spazio di azione per eventuali opposizioni si è ulteriormente compresso, perché solo laddove carenti i requisiti minimi sarà consentito dubitare della correttezza formale del programma.

Gli elementi essenziali del programma di liquidazione sono:

- i criteri e le modalità della liquidazione dei beni immobili;

- i criteri e le modalità della liquidazione degli altri beni;

- i criteri e le modalità della riscossione dei crediti, con indicazione dei costi e dei presumibili tempi di realizzo; l'indicazione delle azioni giudiziali di qualunque natura;

- l'indicazione del subentro nelle liti pendenti, con i costi per il primo grado di giudizio.

È richiesto, altresì, che il programma indichi gli atti necessari per la conservazione del valore dell'impresa, come ad esempio l'esercizio dell'impresa da parte del curatore e l'affitto di azienda, laddove sia in atto, anche quando gestione e contratti si riferiscano a singoli rami dell'azienda, nonché le modalità di cessione unitaria dell'azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco. Il programma poi, deve indicare il termine di presumibile completamento della liquidazione dell'attivo, che non può eccedere i cinque anni dal deposito della sentenza di apertura della procedura, salvi casi di eccezionale complessità in cui il termine può essere prolungato fino a sette anni con provvedimento del giudice delegato.

Il legislatore vuole, però, che l'attività di liquidazione abbia inizio il prima possibile: ecco perché è stato fissato un termine entro il quale l'attività liquidatoria deve avere inizio. Il curatore ha ancora la possibilità di redigere un supplemento del programma di liquidazione, laddove siano sopravvenute esigenze, mentre è stata eliminata la possibilità per il comitato dei creditori di proporre al curatore modifiche al programma. È opportuno riflettere su questa forte limitazione che il legislatore ha voluto inserire. Infatti, dare ai creditori la possibilità di proporre modifiche al programma di liquidazione avrebbe complicato la programmazione della liquidazione medesima, pur rimanendo inalterato il potere del comitato di approvare il programma medesimo. Inoltre, il programma di liquidazione è sempre approvato dal comitato dei creditori, mentre - giova ripeterlo perché anche la Relazione Illustrativa insiste sul punto - esso perde in ogni caso il potere di proporre modifiche.

Un altro personaggio destinato ad interviene è, ovviamente, il giudice delegato. Infatti, ai fini di un maggior controllo sulla liquidazione si prevede che i singoli atti debbano essere approvati dal giudice delegato, previa verifica di conformità con il programma. Quello che spicca è la scomparsa della possibilità di un'autorizzazione generalizzata al curatore degli atti conformi al programma di liquidazione.

I creditori possono tuttavia proporre reclamo al Giudice delegato contro il progetto di riparto entro il termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione effettuata dal curatore. Ecco quali sono, dunque, gli strumenti in mano ai creditori, per fare sentire la propria voce sul programma di liquidazione.

Quanto alla figura del giudice delegato, egli, su istanza del curatore, dichiara esecutivo il progetto di ripartizione dopo che sono decorsi i termini per proporre il reclamo senza che sia stato presentato ricorso da parte dei creditori. Il potere del giudice delegato è, dunque, quello di dichiarare esecutivo il progetto, a conclusione di un iter di valutazione della legittimità del percorso fino a quel momento svolto.

Alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione si possono rivelare utili per meglio illustrare la disciplina, pur riferendosi - come ovvio - a un momento storico in cui era vigente la legge fallimentare.

In un arresto del 2019 (Cass. civ., 6 settembre 2019, n. 22383), a proposito dell'art. 107 l. fall., nel testo applicabile "ratione temporis", prima dell'efficacia delle modifiche introdotte dall'art. 11 del d.l. n. 83 del 2015, conv. con modif. dalla l. n. 132 del 2015, la Corte sottolinea come al curatore sia attribuita ampia discrezionalità circa le modalità di liquidazione dei beni fallimentari tramite procedure competitive, tanto da non apparire necessario il rispetto del termine di quarantacinque giorni previsto dall'art. 490, comma 2, c.p.c., purché la vendita avvenga con pubblicità idonea ad assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati. In altri termini, l'inosservanza delle forme di pubblicità previste dalla legge o quelle ulteriori eventualmente indicate nel provvedimento di autorizzazione ex art. 104 ter l.fall. del Giudice Delegato al curatore in relazione alla "vendita competitiva", danno luogo a nullità del procedimento di vendita e si rifletterebbero sull'aggiudicazione, quale atto conseguente, determinandone la nullità, senza che sia necessaria, da parte di chi ne contesta la validità, la prova del concreto interesse fondato sull'ipotetico maggior risultato raggiungibile. In un ancora più recente pronuncia (Corte di Cass. civ., 26 novembre 2020, n. 26870), la Corte ricorda che il programma di liquidazione si presenta come il progetto, che il curatore deve redigere ed al quale deve attenersi per quanto concerne le modalità e i termini per la realizzazione dell'attivo, costituendo una vera e propria mappa dell'attività del curatore medesimo. Tale documento è da ritenersi così importante perché è sottoposto, ai sensi dell'art. 104 ter l.fall., all'approvazione del comitato dei creditori; inoltre, costituendo un atto a formazione progressiva e plurisoggettiva, esso incanala l'attività del curatore in tempi definiti e schemi predeterminati.

Possiamo, infine, ricordare come la giurisprudenza di legittimità si è mossa in riferimento ad un'ipotesi di reclamo. La Corte di Cassazione, nella stessa pronuncia del 2020, ha sostenuto che il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 36, co. 2, l.fall., sul provvedimento reso dal giudice delegato in ordine all'impugnativa del programma di liquidazione adottato dal curatore non ha natura definitiva e decisoria, in quanto non incide con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale, rientrando viceversa tra i provvedimenti di controllo sull'esercizio del potere amministrativo del curatore, espresso attraverso un atto avente funzione pianificatrice e di indirizzo; ne consegue che il decreto non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

Le dinamiche del rapporto tra le parti della procedura concorsuale, così come illustrate dalla Corte, sebbene riferite a una disciplina ormai non più vigente, possono costituire un suggerimento esegetico che l'interprete del nuovo codice è tenuto a considerare.