Le conseguenze della mancata attivazione della videoconferenza con il detenuto
05 Marzo 2021
Massima
Nel periodo emergenziale, la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute o in stato di custodia cautelare deve essere assicurata, ove possibile, mediante videoconferenza o con collegamenti da remoto. La mancata attivazione della videoconferenza e degli altri mezzi di collegamento da remoto è equiparabile all'omessa traduzione all'udienza del detenuto, perché ugualmente lesiva del diritto di partecipazione, determinando la nullità assoluta e insanabile del giudizio e della relativa sentenza, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Il caso
Il Tribunale, adito ex art. 310 c.p.p. in sede di appello cautelare, ha confermato le ordinanze emesse dal G.i.p., con le quali erano state rigettate le istanze di sostituzione della custodia cautelare in carcere avanzate dall'indagato per avere partecipato ad una gara pubblica con false attestazioni, con l'aggravante dell'art. 416-bis. n. 1 c.p. per avere agevolato un'associazione mafiosa. Con il ricorso per cassazione, l'indagato ha dedotto la violazione di legge in relazione al mancato funzionamento del collegamento in videoconferenza per la sua partecipazione a distanza alla udienza camerale fissata per la trattazione dell'appello. Secondo l'assunto del ricorrente, il malfunzionamento, dovuto a ragioni non accertate e non rivelate, né rilevabili durante l'udienza neppure dal difensore, che ne ha avuto notizia solo dopo lo svolgimento dell'udienza, comporterebbe la nullità assoluta dell'udienza ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c), e 179 comma 1 c.p.p. La questione
La questione posta al vaglio della Suprema Corte può essere sintetizzata nel modo seguente: Nel periodo dell'emergenza epidemiologica, la mancata partecipazione, a distanza, tramite video-conferenza, del detenuto all'udienza determina la nullità del giudizio e della successiva decisione? Le soluzioni giuridiche
La Corte ha rilevato che il ricorrente, ristretto in stato di detenzione, in data 20 maggio 2020 aveva avanzato richiesta di partecipazione a distanza all'udienza camerale fissata per la trattazione dell'appello a norma dell'art. 83, comma 12, del d.l. 18/2020, conv., con modificazioni, dalla l. 27/2020. Dal verbale di tale udienza, però, non risultava che l'indagato fosse stato presente, seppur in videoconferenza. Il difensore, presente all'udienza, inoltre, non aveva eccepito la mancata attivazione del collegamento con il sito remoto. Così ricostruito quanto avvenuto nel giudizio camerale, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, ravvisando la nullità dell'udienza e della successiva ordinanza decisoria. Secondo la Corte, la violazione del diritto dell'indagato di partecipare, sia pure a mezzo di videoconferenza, all'udienza camerale, fissata nelle forme dell'art. 127 c.p.p., integra una nullità assoluta, allorché la richiesta di presenziare, sia pervenuta in tempo utile per predisporre i necessari collegamenti audiovisivi, come avvenuto nel caso in esame, tenuto conto della sua presentazione nove giorni prima dell'udienza. Anche in questa ipotesi, infatti, può trovare applicazione l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la mancata traduzione all'udienza camerale d'appello dell'indagato, che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale e che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Cass. pen. sez. un., 24 giugno 2010, n. 35399). Nel periodo emergenziale, più specificamente, la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute o in stato di custodia cautelare deve essere assicurata, ove possibile, mediante videoconferenza o con collegamenti da remoto. La mancata attivazione della videoconferenza e degli altri mezzi di collegamento da remoto è equiparabile all'omessa traduzione perché ugualmente lesiva del diritto di partecipazione. Osservazioni
1. La sentenza illustrata rappresenta l'occasione per tornare sugli strumenti previsti dal legislatore per consentire la partecipazione a distanza al giudizio penale dei detenuti nel periodo dell'emergenza pandemica. Come è noto, l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. già prevedeva la partecipazione a distanza della persona che si trova in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati negli artt. 51, comma 3-bis e 407, comma 2, lett. a), n. 4), c.p.p., anche relativi a reati per i quali sia in libertà, sia come imputato, sia come testimone. A questi soggetti si aggiunge la persona imputata ammessa a programmi o misure di protezione (mentre l'art. 147-bis, comma 2, disp. att. c.p.p. estende tale modalità di esame alla persona sottoposta a programma di protezione che debba essere ascoltata come imputata di reato connesso). Secondo la stessa norma, il giudice può disporre la partecipazione a distanza anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento e quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario.
2. Nel periodo emergenziale, per consentire la prosecuzione dell'attività giudiziaria in sicurezza e salvaguardare la salute dei detenuti, è stata stabilita la regola della partecipazione a distanza al giudizio delle persone detenute o sottoposte a custodia cautelare in carcere. L'art. 83, comma 12, del d.l. 18/2020, infatti, ha previsto la partecipazione a distanza “a qualsiasi udienza” delle persone “detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate” per un periodo originariamente compreso dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020 (poi prorogato al 31 luglio 2020 ex art. 3, comma 1, lett. i), del d.l. 28/2020). Da ultimo, poi, questa misura è stata confermata dall'art. 23, comma 4, del d.l. 137/2020, conv. dalla l. 176/2020. Con provvedimento del 20 marzo 2020, la Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati (DGSIA) ha stabilito che le udienze penali si svolgono, ove possibile, utilizzando gli strumenti di videoconferenza già a disposizione degli uffici giudiziari e degli istituti penitenziari ai sensi dell'art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen. ovvero, in alternativa con i programmi a disposizione dell'amministrazione Skype for Business o Microsoft Teams. La partecipazione “mediante videoconferenza o collegamento da remoto”, pertanto, è divenuta la regola nel periodo emergenziale, ha permesso la prosecuzione in sicurezza dell'attività giudiziaria, con il solo limite è rappresentato dalla materiale impossibilità tecnica (“ove possibile”). È stata introdotta una deroga alla tassativa tipologia di casi per i quali l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. prevede la partecipazione a distanza al giudizio, la quale è circoscritta alle sole categorie di soggetti indicati, che debbano prendere parte, non necessariamente come imputati, “a qualsiasi udienza” e non solo a quelle dibattimentali, senza che il giudice possa ritenere necessaria la presenza fisica della persona interessata in aula, come, invece, consente l'art. 146, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
3. Il d.l. 137/2020 ha espressamente abrogato l'art. 221, comma 9, del d.l. 34/2020, conv. dalla l. 77/2020, che, estendendo la partecipazione a distanza dei detenuti alle udienze da tenersi fino al 31 ottobre 2020, aveva subordinato tale possibilità al consenso delle parti. Duque, vi è stato un periodo intermedio, dal 19 maggio 2020 al 29 ottobre 2020, durante il quale la partecipazione a distanza a qualsiasi udienza penale presupponeva il consenso delle parti. L'eliminazione del consenso esprime la scelta del legislatore di impedire alle parti di pronunciarsi sulle modalità di partecipazione all'udienza, rendendo inderogabile la celebrazione a distanza dei processi con soggetti detenuti o internati allo scopo di garantire la speditezza del processo e di scongiurare, in tempi di pandemia, la presenza in aula di soggetti provenienti da ambienti per definizione promiscui come le carceri o che debbano tornare in tali ambienti, potendovi portare il virus contratto all'esterno.
4. L''art. 221, comma 9, cit. testualmente estendeva la partecipazione a distanza ai detenuti “per altra causa”. Nonostante l'abrogazione di tale norma, proprio il generico riferimento alle persone detenute ormai contenuto nella disposizione in esame e, dunque, la mancanza di precisazioni nell'art. 23, comma 4, del d.l. 137/2020, conduce a ritenere preferibile l'interpretazione secondo cui anche la partecipazione delle persone detenute “per altra causa” debba avvenire, ove possibile, mediante collegamenti a distanza. Del resto, una diversificazione della disciplina a seconda della ragione dello stato detentivo non sarebbe giustificata dalla ratio della norma.
5. La partecipazione al giudizio dei soggetti che sono sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari e a coloro che, in attesa dell'udienza di convalida, siano stati posti in uno dei luoghi previsti dall'art. 284, comma 1, c.p.p.. è regolata dall'art. 23, comma 5, dello stesso d.l. 137/2020.
6. Secondo l'art. 23, comma 4, del d.l. cit., le previgenti disposizioni in tema di partecipazione a distanza al dibattimento di cui all'art. 146-bis, commi 3, 4 e 5, disp. att. c.p.p. sono applicabili “in quanto compatibili”. In tal modo si è inteso assicurare un margine di elasticità sulle formalità da adottare per tener conto, per quanto è possibile, delle peculiarità del mezzo tecnico utilizzato. La norma, comunque, impone il rispetto di un nucleo essenziale di garanzie irrinunciabili. Esse riguardano l'uso di modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto; l'utilizzo di una modalità che permetta, nei processi cumulativi, a ciascuno dei detenuti di vedere ed udire gli altri; la possibilità per il difensore di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato, mentre, se presente nell'aula di udienza, di consultarsi riservatamente con l'imputato collegato da remoto. Nel caso di utilizzo dei programmi informatici indicati, in ragione delle stesse modalità di funzionamento, pare indispensabile per garantire colloqui riservati tra imputato e difensore il ricorso aggiuntivo ad altri strumenti tecnici, come ad esempio il telefono, alla stregua, peraltro, di quanto già avviene nel corso delle video-conferenze.
7. Come già l'art. 83, comma 12, del d.l. 18/2020, inoltre, anche l'art. 23, comma 4, del d.l. 137/2020 non richiama l'art. 146 bis, comma 6, disp. att. c.p.p. Non è previsto, pertanto, che un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza debba essere presente nel luogo ove si trova l'imputato detenuto, per attestarne l'identità e dare atto che non sono posti impedimenti all'esercizio dei diritti a lui spettanti. Il fatto che il collegamento intervenga con persona ristretta in un istituto penitenziario, però, permette di superare i dubbi sull'identità di chi prende parte all'udienza, perché un agente di polizia penitenziaria è comunque presente.
8. Nel caso di specie, la Corte ha preso atto che l'indagato era detenuto e che aveva chiesto, tempestivamente di partecipare all'udienza, esercitando una facoltà prevista dall'art. 127 c.p.p., richiamato dall'art. 310 c.p.p. La partecipazione a distanza non è avvenuta. Secondo la Corte, la mancata partecipazione ha determinato una nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa decisione. Tale nullità è equiparabile alla mancata traduzione in udienza dell'imputato che abbia chiesto di prendervi parte (cfr. Cass. pen., sez. un., 22 novembre 1995, n. 40, dep. 1996; Cass. pen., sez. un., 24 giugno 2010, n. 35399). Trattandosi di una nullità assoluta, essa è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e non presuppone la formulazione di un'eccezione del difensore.
9. Provando ad allargare l'orizzonte oltre la disciplina dell'appello cautelare, la partecipazione del detenuto all'udienza di riesame è stata di recente disciplinata dalla legge n. 47 del 2015. Nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, il soggetto sottoposto a misura privativa o limitativa della libertà personale, che intenda esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza camerale ai sensi dell'art. 309, comma 8-bis, c.p.p., deve formularne istanza, personalmente o a mezzo del difensore, nella richiesta di riesame (Cass. pen., sez. I, 10 maggio 2019, n. 30714; Cass. pen., sez. un., 27 febbraio 2020, n. 11803). In tema di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, il diritto della persona sottoposta a restrizione della libertà di partecipare all'udienza non è sottoposto a limitazioni o decadenze, purché la relativa richiesta, qualora avanzata in epoca successiva all'atto introduttivo dell'incidente cautelare, pervenga in tempo utile per organizzare la tempestiva traduzione, dovendo altrimenti essere disattesa con adeguata motivazione (Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2019, n. 24894). Il tema della tempistica della richiesta di partecipazione all'udienza camerale, in verità, è stato affrontato dalle Sezioni unite le quali hanno rilevato che, a differenza del giudizio ordinario, nel giudizio camerale di appello «l'imputato detenuto ha l'onere di comunicare al giudice di appello la sua volontà di comparire» e il diritto alla partecipazione è correlato alla regolarità e alla tempestività dell'adempimento, ossia alla circostanza che «la comunicazione sia fatta con modalità tali da permettere la traduzione dell'imputato per l'udienza», non potendosi prescindere da un «bilanciamento tra il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito prescelto dal medesimo imputato e di assicurare che la durata del processo non sia irragionevolmente e senza necessità prolungata per effetto di condotte dell'imputato maliziose o non giustificate» (Cass. pen., sez. un., 14 giugno 2010, n. 35399, cit.). Su questo tema sono tornate di recente le stesse Sezioni unite, affermando che «Nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive la persona detenuta o internata ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilità di partecipare all'udienza camerale può esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza stessa solo se ne ha fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l'istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentita su specifici temi con l'istanza di differimento ai sensi dell'art. 309, comma 9-bis, c.p.p.» (Cass. pen., sez. un., 27 febbraio 2020, n. 11803, cit.). Nel caso di specie, anche in tema di appello cautelare (e nonostante che l'art. 310 c.p.p. non richiami i commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p.), la Corte ha ritenuto di dover valutare se la richiesta di partecipazione fosse stata proposta in tempo utile, concludendo, peraltro, in senso positivo. |