Sul diritto del figlio al risarcimento del danno non patrimoniale dovuto alla perdita della futura capacità di procreare della madre
08 Marzo 2021
Massima
“La perdita della capacità di procreare del genitore cagiona al figlio del danneggiato principale la lesione dell'interesse, costituzionalmente protetto dall'art. 29 Cost., a stabilire un legame affettivo con uno o più fratelli e, quindi, un danno non patrimoniale risarcibile, sempre che vi siano elementi, anche presuntivi, sufficienti a far ritenere che tale legame sarebbe stato acquisito e che la sua mancanza abbia determinato un concreto pregiudizio”.
Fonte: RIDARE Il caso
Nel caso di specie, una donna partoriva presso una Struttura ospedaliera e, a causa degli inadempimenti posti in essere dai sanitari che l'avevano assistita, veniva sottoposta ad isterectomia totale, dalla quale derivava l'impossibilità per la donna di avere ulteriori figli. In considerazione di ciò, la paziente e il marito, in proprio e come legali rappresentanti della figlia neonata, agivano in giudizio nei confronti della ASL locale, nonché dei sanitari coinvolti nel parto, chiedendo il risarcimento dei danni subiti. In particolare, la paziente chiedeva il risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa delle lesioni conseguite all'intervento, mentre il marito – in proprio e in rappresentanza della figlia neonata - chiedeva il risarcimento dei danni dai medesimi subiti in via riflessa sia dal turbamento derivante dalle condizioni di salute della donna, sia dal fatto che, a causa dell'isterectomia subita dalla paziente, gli stessi non avrebbero potuto realizzare il programmato contesto familiare composto da più figli, e, dunque, una famiglia più numerosa con cui instaurare plurimi legami affettivi. In primo grado, il Tribunale accoglieva soltanto la domanda formulata dalla paziente danneggiata, condannando la struttura sanitaria ed i sanitari al risarcimento dei danni subiti dalla stessa per la lesione alla propria salute; rigettava, invece, le domande formulate dai congiunti della paziente, ritenendo insussistenti i pretesi danni riflessi.
Impugnata la sentenza dai soccombenti, la Corte d'appello riformava parzialmente la decisione del giudice di prime cure: in particolare, la Corte rigettava la domanda di risarcimento riguardante il turbamento e le sofferenze subiti dal marito in via riflessa a causa delle complicanze del parto che avevano coinvolto la vittima primaria, mentre accoglieva la domanda risarcitoria riguardante i pregiudizi subiti dall'impossibilità di creare una famiglia più numerosa, liquidando tale posta risarcitoria, in via equitativa, nella misura di Euro 20.000,00. Si confermava, infine, la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso il risarcimento del danno riflesso a favore della figlia neonata. La causa proseguiva con ricorso alla Suprema Corte di cassazione. I ricorrenti, in particolare, fondavano le proprie ragioni su due ordini di motivi: in primo luogo, ritenevano errata la liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale subito dal coniuge della paziente danneggiata; in secondo luogo, lamentavano il mancato riconoscimento dei danni riflessi anche a favore della figlia neonata, danni, questi ultimi, derivati dalla perdita della capacità di procreare della madre e dalla conseguente impossibilità di avere, in futuro, fratelli o sorelle con i quali instaurare solidi legami affettivi. La Suprema Corte cassava con rinvio la sentenza d'appello. La questione
La Suprema Corte si pronuncia su un caso di malpractice medica scaturita a seguito delle complicanze di un parto che avevano costretto una paziente a subire un'isterectomia totale, con conseguente impossibilità di avere ulteriori figli.L'aspetto centrale della pronuncia è costituito, in particolare, dal riconoscimento del diritto a risarcire la figlia neonata per il danno non patrimoniale derivantole dalla impossibilità di stabilire un legame affettivo con uno o più futuri fratelli, a causa della sopravvenuta impossibilità di procreare della madre.I quesiti ai quali la Corte risponde sono dunque i seguenti: è risarcibile il danno non patrimoniale derivante dalla impossibilità di avere, per il futuro, fratelli o sorelle con cui instaurare legami affettivi? A quali condizioni è risarcibile questo tipo di danno riflesso?
La soluzioni giuridiche
Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte evidenzia, in primo luogo, la correttezza della decisione della Corte d'appello nella parte in cui esclude la risarcibilità del danno derivante dai turbamenti e dalle sofferenze subiti indirettamente dal marito: la Corte, in particolare, ritiene che detto turbamento non sia di rilievo e di importanza tale da superare quella “soglia necessaria” affinchè si possa configurare un danno non patrimoniale risarcibile. A tal proposito, la Corte di cassazione richiama i propri precedenti (Cass., SU, 11 novembre 2008, n. 26972; Cass., Sez. III, 15 maggio 2018, n. 11754; Cass., Sez. VI, 12 novembre 2019, n. 29206), ed, in particolare, l'indirizzo pacifico secondo il quale il danno non patrimoniale che deriva dalla lesione di diritti inviolabili della persona può essere risarcito soltanto se ricorrono i seguenti presupposti: in primo luogo, se l'interesse che è stato leso abbia una rilevanza costituzionale; inoltre, se la lesione sia grave, in quanto la stessa supera quella soglia minima di tollerabilità che il soggetto deve sopportare in ragione dei doveri di solidarietà che sono imposti a tutti consociati; infine, che il danno non sia futile, e, quindi, non si sostanzi semplicemente in un disagio. Pertanto, sulla base di tali precedenti e sulla base del fatto che il turbamento patito dal coniuge non è stato ritenuto esorbitare la soglia di tollerabilità, la Corte ha ritenuto corretta la conclusione della sentenza di secondo grado che aveva escluso il relativo risarcimento del danno.La Corte Suprema ha confermato la decisione d'appello nella parte relativa al risarcimento del danno rilesso subito dal marito a causa della sopravvenuta incapacità di procreare della moglie, dunque, a causa dell'impossibilità di formare una famiglia numerosa, ed ha, altresì, ritenutocorretta la decisione di secondo grado di liquidare il danno in via equitativa. Come noto, la Corte d'appello, ritenendo sussistente il predetto pregiudizio, aveva liquidato il danno allegato dal marito in base a presunzioni di fatto: in particolare, in base al fatto che il matrimonio fosse stato contratto al fine di formare una famiglia; che la parziale perdita di talepossibilità, dopo la nascita di un solo figlio, costituisse un pregiudizio per tale legittima aspettativa
di vita, non risultando diversamente. E, comunque, la Corte investita del gravame aveva liquidato il danno in base alla considerazione concreta che il progetto di vita relativo alla formazione di una famiglia più ampia, la cui irrealizzabilità era stata riconosciuta quale pregiudizio risarcibile nei confronti della moglie, non potesse non essere comune anche al coniuge di quest'ultima. Ebbene, sulla base di queste argomentazioni, la Corte di cassazione sostiene che, una volta accertati i danni riflessi attraverso criteri presuntivi, illustrati gli specifici pregiudizi in concreto subiti dall'attore, e dato conto delle ragioni per cui si è ritenuto di prendere in considerazionel'importo liquidato in favore della moglie (direttamente colpita dalla lesione biologica), appare del tutto corretto che la quantificazione di detti danni avvenga attraverso lo strumento equitativo. Si fornisce, in tal modo, un fondamento alla liquidazione equitativa del tutto idoneo a dare contodelle ragioni della decisione ed a consentirne la verifica ex post. Tale scelta, pertanto, secondo la Corte di legittimità, non può ritenersi arbitraria: il giudice di merito, infatti, non avrebbe potuto tenere conto di circostanze diverse, non provate, per quantificare in maniera diversa il dannoriflesso. La Suprema Corte, poi, ritiene fondato anche il motivo di ricorso riguardante il riconoscimento del danno riflesso subito dalla figlia neonata della paziente danneggiata e legato alla impossibilità, per la stessa, di avere in futuro fratelli o sorelle. Ciò, in antitesi con le statuizioni della Corte d'appello, la quale aveva, invece, escluso la sussistenza di un danno connesso alla perdita di capacità di procreare della madre, ritenendo che l'impossibilità di accrescere la propria famiglia con nuovi fratelli o sorelle non potesse ritenersi rientrante nelle aspettative di una neonata. Ad avviso della Corte di cassazione, invece, una volta accertato in fatto che i genitori dell'attrice avessero il comune progetto di vita di creare una famiglia più numerosa (presupposto, questo, sulla base del quale è stato del resto riconosciuto ai genitori il risarcimento dell'analogo danno nonpatrimoniale) e che la realizzazione di tale progetto di vita fosse stato impedito dalla condotta illecita del personale sanitario, deve necessariamente conseguire, sul piano logico, che anche la figlia minore (neonata) abbia perduto la possibilità di avere uno o più fratelli, e, pertanto, digodere del legame affettivo con gli stessi.Il predetto legame affettivo – spiega la Corte - costituisce certamente un valore tutelato dall'ordinamento ai sensi dell'art. 29 Cost.: e, così come non si dubita che vada riconosciuto il risarcimento del danno provocato dalla sua perdita in caso di morte di un fratello già nato, dovrà altrettanto essere riconosciuto anche nel caso in cui si tratti di un legame, nella sostanza, meramente “potenziale” (come nel caso in cui la vittima o il superstite fossero in età neonatale).Osservazioni
Nella pronuncia in commento, i giudici della Cassazione prendono le mosse dall'art. 29 della Costituzione, in virtù del quale l'ordinamento riconosce come valore fondante della nostra società meritevole di tutela il c.d. “legame affettivo”, sussumendolo a valore costituzionalmente riconosciuto. Ebbene, la Suprema Corte, proprio in considerazione della rilevanza dei legami affettivi che caratterizzano l'ambito familiare, parla di “danno riflesso” per indicare quei pregiudizi occorsi ad un soggetto diverso (c.d. vittima secondaria) dalla persona che concretamente ha subito le conseguenze dannose della condotta illecita altrui (c.d. vittima primaria); con ciò, riconoscendo il diritto al risarcimento – oltre che alla vittima della malpractice - ad altri membri della famiglia, come risvolto indiretto ed eventuale della vicenda. La c.d. vittima secondaria, o di rimbalzo, deve tuttavia trovarsi in un particolare rapporto con la vittima dell'illecito (familiare, convivente) tale da subirne le conseguenze in termini di compromissione dei propri diritti, sostanziandosi in un peggioramento della qualità della vita, in una sofferenza morale, o in un vulnus all'integrità psico-fisica. In tal caso, le vittime secondarie acquisiscono il diritto al risarcimento del relativo pregiudizio iure proprio. Sulla scorta di questi ragionamenti, la Corte riconosce, dunque, un diritto risarcitorio c.d. riflesso sia al coniuge che alla bambina neonata, nel caso in cui venga del tutto preclusa – a causa dell'errore medico di cui sia stata vittima la madre - la possibilità di formare una famiglia più Nella pronuncia in commento, i giudici della Cassazione prendono le mosse dall'art. 29 della Costituzione, in virtù del quale l'ordinamento riconosce come valore fondante della nostra società meritevole di tutela il c.d. “legame affettivo”, sussumendolo a valore costituzionalmente riconosciuto. Ebbene, la Suprema Corte, proprio in considerazione della rilevanza dei legami affettivi che caratterizzano l'ambito familiare, parla di “danno riflesso” per indicare quei pregiudizi occorsi ad un soggetto diverso (c.d. vittima secondaria) dalla persona che concretamente ha subito le conseguenze dannose della condotta illecita altrui (c.d. vittima primaria); con ciò, riconoscendo il diritto al risarcimento – oltre che alla vittima della malpractice - ad altri membri della famiglia, come risvolto indiretto ed eventuale della vicenda. La c.d. vittima secondaria, o di rimbalzo, deve tuttavia trovarsi in un particolare rapporto con la vittima dell'illecito (familiare, convivente) tale da subirne le conseguenze in termini di compromissione dei propri diritti, sostanziandosi in un peggioramento della qualità della vita, in una sofferenza morale, o in un vulnus all'integrità psico-fisica. In tal caso, le vittime secondarie acquisiscono il diritto al risarcimento del relativo pregiudizio iure proprio.Sulla scorta di questi ragionamenti, la Corte riconosce, dunque, un diritto risarcitorio c.d. riflesso sia al coniuge che alla bambina neonata, nel caso in cui venga del tutto preclusa – a causa dell'errore medico di cui sia stata vittima la madre - la possibilità di formare una famiglia più Non occorre, di certo, scomodare Aristotele ed i suoi molti esegeti per scorgere l'abisso che separa la “potenza” dall' “atto”. Abisso che, stavolta, parrebbe esser stato ignorato.
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