Una generica potenzialità lavorativa attribuita all'ex moglie, non giustifica la riduzione dell'assegno
17 Marzo 2021
Massima
Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Si impone, in particolare, una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l'assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. Il caso
Il Tribunale di Velletri pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Tizio e Caia, ponendo a carico dell'ex marito l'obbligo di corrispondere un assegno divorzile, quantificato in € 2000. Tizio proponeva appello, che era parzialmente accolto. La Corte d'Appello di Roma, infatti, aveva ridotto l'assegno divorzile ad € 1000, con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio: dopo aver valutato comparativamente le risorse economiche e patrimoniali delle parti, i giudici di secondo grado ritenevano che la riduzione fosse adeguata, in virtù della potenzialità lavorativa di Caia, della sua precedente esperienza nel settore del commercio e per l'attività svolta in tale ambito con il fratello. Non era stata, però, provata l'entità dell'apporto di Caia né la relativa percezione di redditi. Caia ha proposto così ricorso per cassazione, articolando tre motivi, mentre Tizio resisteva con controricorso. La questione
Quali sono i criteri da utilizzare per accertare l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente l'assegno divorzile? Qual è l'efficacia e quali sono i limiti dell'assegno divorzile? le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione ha accolto i primi due motivi del ricorso – esaminati congiuntamente perché connessi – e dichiarato assorbito il terzo, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione. La ricorrente lamentava la violazione della legge n. 898/1970, in particolare dell'art. 5, comma 6, riguardante «l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive», oltre al mancato rispetto degli articoli 113, 115 e 116 c.p.c., inerenti i poteri del giudice. Caia sosteneva che la Corte territoriale non aveva esplicitato in modo congruo il percorso del ragionamento, effettuando una distorta valutazione delle posizioni delle parti. Pare opportuno ricordare che, come indicato dalle Sezioni Unite (v. Cass. civ. n. 18287/2018), l'assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e presuppone l'accertamento di uno “squilibrio effettivo e di non modesta entità” delle condizioni economiche delle parti «riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi» (v. Cass. civ. n. 21926/2019). Il riconoscimento dell'assegno di divorzio richiede, dunque, l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con applicazione dei criteri contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, i quali costituiscono, in posizione equiordinata, i parametri «cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno» (v. Cass. civ. n. 1882/2019). Nel caso in esame, la Corte, pur dando atto della disparità reddituale dei coniugi, non espone un ragionamento logico e coerente capace di giustificare la riduzione dell'assegno: non è indicata l'età di Caia; le si attribuisce una generica potenzialità lavorativa, nonostante la stessa abbia cessato ogni impiego in costanza di matrimonio; non risulta provata l'entità della sua collaborazione lavorativa nell'impresa del fratello dopo la separazione e, di conseguenza, nemmeno i relativi redditi percepiti. Queste circostanze rendono poco comprensibile l'iter seguito dalla Corte di merito e a ciò si aggiunge la mancata considerazione del nesso causale tra la accertata sproporzione reddituale e l'apporto effettivo dato da Caia nella conduzione del menage familiare ed alla costituzione del patrimonio, sia comune che personale dell'altro coniuge. Ne consegue l'accoglimento dei primi due motivi, nei termini precisati, per la carenza motivazionale della decisione impugnata. Caia lamentava, infine, con il terzo motivo, rimasto assorbito, la violazione della legge n. 898/1970 anche per l'erronea statuizione in merito alla decorrenza dell'assegno divorzile dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Sul punto il Supremo Collegio ha voluto dare continuità al principio per cui «l'assegno di divorzio traendo la sua fonte nel nuovo status delle parti, ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale» (v. Cass. civ., n. 19330/2020), per cui il giudice di merito – con il temperamento dell'art. 4, comma 13, della citata normativa – può anticiparne la decorrenza, con adeguata motivazione e in relazione alle circostanze del caso concreto. Se nella fase presidenziale o istruttoria del giudizio divorzile sono emessi, quindi, provvedimenti provvisori, temporanei ed urgenti, questi ultimi si sostituiscono a quelli adottati nel giudizio di separazione, in virtù dell'autonomia – sia sul piano sostanziale che processuale – tra il giudizio di separazione e quello di divorzio. Osservazioni
La vicenda in questione permette di evidenziare la “funzione complessa” dell'assegno, così come chiarita dopo l'intervento delle Sezioni Unite (v. Cass.civ., n. 18287/2018). La natura compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, che discende dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato a quanto fornito nella realizzazione della vita familiare, considerando anche leaspettative professionali sacrificate. L'elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà con quello assistenziale: entrambi sono finalizzati a ristabilire l'equilibrio, che con lo scioglimento del vincolo viene a mancare. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, infatti, non è volta alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma alla valorizzazione del ruolo e dell'apporto dato dalla parte economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli stessi (v. Cass. civ., n. 27771/2019). Questa nuova impostazione ottiene l'effetto di adeguare l'istituto dell'assegno divorzile all'evoluzione della società contemporanea: «non una rendita assistenziale, ingiustificata proiezione dopo lo scioglimento del matrimonio dei vincoli solidaristici che lo caratterizzano, ma una equa compensazione dei sacrifici fatti da ciascuno durante la convivenza a favore delle esigenze familiari» (v. Prof. Carlo Rimini, in Giurisprudenza Italiana, n. 8-9/2018, Torino). Per quanto riguarda l'efficacia e i limiti dell'assegno divorzile, invece, occorre ribadire che nella sua originaria quantificazione, lo stesso decorre dal momento della formazione del titolo in forza del quale è dovuto, cioè dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il procedimento davanti al giudice del divorzio, a meno che quest'ultimo non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria, i quali sono destinati a sovrapporsi quelli adottati in sede di separazione (v. Cass. civ., n. 7547/2020). La domanda proposta nel giudizio di divorzio è, dunque, non soltanto autonoma rispetto a quella pendente in separazione, ma altresì «successiva (logicamente e cronologicamente), incompatibile e a sua volta assorbente”: motivo per cui l'assegno di separazione è “fisiologicamente destinato a venire meno con il divorzio, sicché si tratta unicamente di individuare fino a quale momento il giudice della separazione continua a disporre del potere di pronunciarsi in materia» (v. F. Danovi, I rapporti tra separazione e divorzio: vie parallele, cumulo processuale o cessazione della materia del contendere?). |