Autorizzazione all'ingresso o permanenza del genitore in Italia: i gravi motivi ex art. 31 d.lgs. n. 286/1998
19 Marzo 2021
Massima
Non sussistono i gravi motivi ai sensi dell'art. 31, d.lgs. n. 286/1998, nel caso in cui genitori richiedenti l'autorizzazione alla permanenza in Italia siano privi del permesso di soggiorno o abbiano un figlio minore la cui età esclude che vi possa essere un radicamento sul territorio nazionale (nella specie minore di 1 anno)”. Il caso
M.J. e L.F., quali genitori della minore L.J. chiedevano al Tribunale per i Minorenni di Perugia di essere autorizzati alla permanenza in Italia ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998. Il Tribunale rigettava la richiesta e la Corte d'Appello, adita in sede di reclamo, confermava il provvedimento impugnato sul rilievo che entrambi i genitori erano privi di permesso di soggiorno, che quindi l'allontanamento dal territorio nazionale non pregiudicava l'unità familiare e che in ogni caso la tenera età della minore escludeva che si potesse parlare di rischio di sradicamento. Avverso detta sentenza, entrambi i genitori proponevano ricorso per cassazione articolato in quattro motivi ed in particolare: 1) violazione e/o falsa applicazione del'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 per aver interpretato in senso restrittivo il concetto di “gravi motivi”; 2) violazione del principio dell'unità familiare sostenendo che il nucleo non può essere diviso, né sradicato dal territorio nazionale; 3) violazione dell'art. 19, d.lgs. n. 286/1998 in particolare in relazione all'art. 9 e ss. della Convenzione dei Diritti del Fanciullo di New York del 1991 e del divieto di espulsione dei soggetti minori e del diritto all'unità familiare sostenendo che il diniego dell'autorizzazione ex art. 31, d.lgs. n. 286/1998 si traduce in un'espulsione di fatto del minore; 4) violazione dell'art. 31, d.lgs. n. 286/1998 e carenza e illogicità della motivazione laddove la pronuncia impugnata afferma che non vi sarebbero i presupposti per l'accoglimento dell'istanza lamentando la mancata adozione dl un giudizio prognostico circa i danni che potrebbe subire il minore. La questione
La pronuncia in commento affronta il problema dei presupposti applicativi e della ratio sottesa all'istituto previsto dall'art. 31, d.lgs. n. 286 del 1998. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento riguarda l'autorizzazione ex art. 31 d.lgs. n. 286/1998, richiesta da due genitori privi entrambi di permesso di soggiorno di una bambina di un anno e negata in ragione del fatto che entrambi i richiedenti erano privi di titolo per rimanere nel territorio dello Stato, che quindi non risultava pregiudicata l'unità familiare e che l'età della minore era tale da escludere un rischio di sradicamento. Il ricorso per cassazione dai medesimi instaurato avverso la predetta pronuncia si concludeva con un rigetto. La S.C., nello scrutinare le censure svolte dai ricorrenti, valutate congiuntamente stante la loro connessione, ha concluso per l'inammissibilità/infondatezza delle medesime. La Corte ha invero ritenuto che il giudice di merito si è “motivatamente” attenuto alla interpretazione dei gravi motivi offerta dalla giurisprudenza di legittimità escludendo la sussistenza di tale requisito trattandosi di due genitori entrambi privi di permesso di soggiorno cosicché il loro espatrio unitamente alla figlia non avrebbe potuto ledere l'unità familiare, dall'altro la Corte ha rilevato che le proposte censure in realtà postulano una rivisitazione del merito precluso in sede di legittimità non prospettando «se non in maniera del tutto generica ed astratta alcuna concreta situazione di grave pregiudizio per la minore trascendente l'allontanamento del genitore dallo Stato che… costituirebbe in re ipsa un grave motivo». La Corte, pertanto, in difetto di allegazione e di prova da parte dei ricorrenti di “elementi pregnanti tali da essere in grado di superare la regola generale per cui il minore segue il proprio genitore” ha ritenuto che nella specie non ricorressero i presupposti per l'invocata autorizzazione. Osservazioni
L' art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 costituisce la norma di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri, fondato in via ordinaria sull'istituto del ricongiungimento familiare, apportando una eccezione alla disciplina sull'ingresso e sul soggiorno dello straniero quando ricorrano le condizioni per salvaguardarne il “preminente interesse” in situazioni nelle quali l'allontanamento suo o di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l'integrità fisio-psichica. Essa, poi, attua il bilanciamento necessario tra il rispetto alla vita familiare del minore e l'interesse pubblico generale alla sicurezza del territorio e del controllo delle frontiere. Il fulcro della norma ruota attorno al concetto di “gravi motivi” su cui si sono registrate contrastanti interpretazioni nell'ambito della stessa giurisprudenza di legittimità nel perenne ricerca di un punto di equilibrio tra la tutela di soggetti “deboli” quali appunto i minori e la difesa dei confini nazionali e dell'ordine pubblico. L'orientamento risalente ha interpretato restrittivamente il concetto di gravi motivi, ritenendo che questo richiedesse l'accertamento di situazioni di emergenza di natura eccezionale e contingente, di situazioni, cioè, che non siano normali e stabilmente ricorrenti nella crescita del minore (così Cass. civ. I, n. 11624/2001, Cass. civ. I, n. 3991/2002 e Cass. civ. I, n. 17194/2003). In altri termini la situazione legittimante l'autorizzazione è stata ritenuta in relazione a circostanze contingenti ed eccezionali che pongano in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore così da richiedere il sostegno del genitore per fronteggiarle, negandola invece in rapporto a situazioni che presentino carattere di normalità e tendenziale stabilità. Dopo la pronuncia Cass, civ. sez. un., n. 22216/2006, ha tuttavia cominciato a farsi strada una interpretazione estensiva dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, non limitati dai requisiti dell'eccezionalità e contingenza, ma strettamente connessi allo sviluppo del fanciullo in modo da prenderne in considerazione il preminente interesse in relazione alle varie circostanze del caso concreto, quali l'età, le condizioni di salute (anche psichiche) nonché il pregiudizio che potrebbe a questi derivare dall'allontanamento dei familiari. Con Cass. civ., sez. un., n. 21799/2010, le Sezioni Unite, componendo il contrasto, pur nel solco dell'indirizzo esegetico estensivo, premettendo che la tutela del diritto dei minori all'unità familiare è da considerare con riguardo ai parametri interpretativi prioritari tracciati dalla Corte Europea dei Diritti formulati dalla Corte di Giustizia, quali la durata e la stabilità dei rapporti, il radicamento del nucleo familiare e dei figli minori, le effettive necessità di reddito e di alloggio e che detta tutela, contrapposta alla tutela delle esigenze pubbliche di legalità e di sicurezza di cui al T.U. sull'immigrazione, hanno affermato che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. La successiva giurisprudenza di legittimità formatasi a seguito di tale pronuncia ha chiarito che detta autorizzazione non richiede necessariamente la sussistenza di situazioni di emergenza o circostanze eccezionali collegate alla salute del minore ma può comprendere qualsiasi danno effettivo e grave che potrà derivare allo stesso dall'allontanamento del familiare o dal suo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Quindi la norma prende in considerazione due posizioni soggettive: quella del minore che ha diritto alla cura ed all'assistenza in Italia e quella del genitore che ha diritto a garantire la cura del medesimo, l'una tutelata in via primaria, l'altra in via riflessa, ovvero oggetto di tutela nella misura in cui sia funzionale ad assicurare tutela al minore. Si è quindi ritenuto che i "gravi motivi" connessi con lo sviluppo psico-fisico di quest'ultimo siano il presupposto legittimante il rilascio dello speciale permesso di soggiorno, mentre l'età e le condizioni di salute del minore siano i parametri di giudizio per valutare se quel presupposto sussista o meno, sicché è sindacabile in sede di legittimità soltanto la pronuncia che abbia totalmente trascurato di considerare l'età o le condizioni di salute del minore, non anche quella che abbia preso in considerazione i detti parametri per trarne, però, conclusioni contestate dal ricorrente, ovvero abbia negato o affermato la sussistenza dei "gravi motivi". (Cass. , sez. I, n. 33360/2019). Sull'interpretazione del requisito de quo la S.C. è giunta infine a ritenere che i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore devono consistere in situazioni oggettivamente gravi, comportanti una seria compromissione dell'equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa. In tal senso si è sottolineato che la normativa in esame non può quindi essere intesa come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori. Inoltre sul richiedente l'autorizzazione incombe l'onere di allegazione della specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore dall'allontanamento del genitore (vedi Cass., sez. VI-I, n. 9391/2018; Cass, sez. VI-I, n. 773/2020) Nel descrivere il perimetro della norma, la Corte, dopo aver precisato che l'art. 31 del d.lgs. n. 286/1998 non può essere interpretato in senso restrittivo, tutelando esso il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori anche in deroga alle altre disposizioni del decreto, cosicché la norma non pretende la ricorrenza di situazioni eccezionali o necessariamente collegate alla sua salute, ma comprende qualsiasi danno grave che potrebbe subire il minore, sulla base di un giudizio prognostico circa le conseguenze di un peggioramento delle sue condizioni di vita con incidenza sulla sua personalità ( cui egli sarebbe esposto a causa dell'allontanamento dei genitori o dello sradicamento dall'ambiente in cui è nato e vissuto, qualora segua il genitore espulso nel luogo di destinazione), ha ritenuto che le situazioni che possono integrare i "gravi motivi" di cui al citato art. 31 non si prestano ad essere catalogate o standardizzate, spettando al giudice di merito valutare le circostanze del caso concreto con particolare attenzione, oltre che alle esigenze di cure mediche, all'età del minore, che assume un rilievo presuntivo decrescente con l'aumentare della stessa, e al radicamento nel territorio italiano, il cui rilievo presuntivo è, invece, crescente con l'aumentare dell'età, in considerazione della prioritaria esigenza di stabilità affettiva nel delicato periodo di crescita (Cass., sez. I, n. 4197/2018). Con specifico riguardo all'età, si è affermato, anche di recente che la vulnerabilità di minori nati in Italia ed integrati nel tessuto socio territoriale e nei percorsi scolastici, deve essere presunta, in applicazione dei criteri di rilevanza decrescente dell'età, per i minori in età prescolare, e di rilevanza crescente del grado di integrazione, per i minori in età scolare. Pertanto la condizione di vulnerabilità di tali minori deve essere ritenuta prevalente, sino a prova contraria, rispetto alle norme regolanti il diritto di ingresso e soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, dovendosi dare primario rilievo al danno che deriverebbe loro per effetto del rimpatrio in un contesto socio-territoriale con il quale il minore stesso non abbia alcun concreto rapporto (vedi in tal senso Cass., sez. II, n. 18188/2020). La pronuncia in commento si inscrive a pieno titolo nell'ambito dell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità dell'art. 31 del d.lgs. n. 286/1998 nel ritenere che la speciale autorizzazione ivi prevista debba essere rilasciata solo in presenza di un una situazione di grave pregiudizio per il minore.
Solo una interpretazione rigorosa può, invero, consentire la tenuta di un sistema che deve sicuramente assicurare, alla luce dei principi sanciti dalla normativa nazionale e sovranazionale, il rispetto dell'unità familiare e l'interesse preminente del minore ma anche le esigenze di controllo dei flussi migratori e dell'ordine pubblico interno. Se occorre tenere conto in tale valutazione del pregiudizio per il minore derivante dall'allontanamento di uno dei genitori oppure dello sradicamento del minore da un contesto in cui il medesimo è nato e si è inserito, anche se in età prescolare, tali ragioni non sussistono nel caso in cui il minore abbia trascorso un esiguo periodo (nel caso di specie un anno), tale da non consentire alcun tipo di radicamento nel nostro paese mentre i genitori entrambi privi di permesso di soggiorno devono lasciare il territorio nazionale. In linea con la ratio della norma non si può, invero, ritenere che la mera presenza del minore sul territorio dello Stato possa automaticamente costituire il presupposto fondante il rilascio della richiesta autorizzazione atteso che in tal modo si determinerebbe una sorta di aggiramento della disciplina riguardante l'ingresso dei cittadini extracomunitari. Diverso sarebbe, invece, il caso in cui i genitori, in un caso similare a quello dedotto, dovessero allegare a sostegno della richiesta specifiche esigenze legate alla salute del minore, specialmente se affetto da patologia curabile o più facilmente curabile in Italia. Più problematico potrebbe essere, invece, il caso in cui i richiedenti dovessero allegare, nel breve o medio periodo, difficoltà relative alla loro collocazione lavorativa, una volta rimpatriati, se dalla stessa dovesse derivare difficoltà nel condurre una vita dignitosa per sé e per il minore (Cass., sez. I, n. 4197/2018; Cass., sez.II, n. 18188/2020).
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