Contestazioni a catena, calcolo dei termini di custodia cautelare di fase e sospensione prevista dalla normativa COVID-19 nei procedimenti ad urgenza relativa
26 Marzo 2021
In tema di contestazioni “a catena”, la sospensione dei termini di custodia cautelare, disposta dal giudice con riferimento alla misura adottata per prima, opera anche con riferimento ai termini, decorrenti dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza, relativi alla misura adottata con la seconda ordinanza. Nei procedimenti “ad urgenza relativa” (da trattare solo ad istanza di parte) la sospensione ex lege dei termini di custodia cautelare prevista dall'art. 83 del d.l. Cura Italia, fino a quando l'imputato ha manifestato la propria volontà di trattare il primo procedimento, è applicabile pure alla misura retrodatata.
Questi gli importanti principi di diritto – suscettibili di futura rivisitazione o cristallizzazione giurisprudenziale – enucleati dalla pronuncia n. 11165/2021, nella quale la seconda sezione di legittimità ha respinto il ricorso presentato da un indagato avverso la decisione del Tribunale di Torino che, adito con appello cautelare, ha riformato in parte qua l'ordinanza di custodia cautelare in carcere sostituendola con gli arresti domiciliari. Rigettando, invece, il gravame laddove si sosteneva che vertendosi in tema di contestazioni a catena, fosse scaduto il termine di fase dell'ordinanza custodiale (emessa il 22 maggio 2020), pur dopo la retrodatazione dei termini dal 13 gennaio 2020 (data in cui aveva avuto inizio l'esecuzione di altro titolo cautelare per altri fatti connessi), ritenendo non operativa la sospensione dei termini COVID-19 prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. n. 18/2020 c.d. Cura Italia per il periodo che va dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020.
Calcolo del termine massimo di fase da parte del ricorrente. Con riferimento a quest'ultimo profilo, il ricorrente denuncia la violazione dalla normativa per contrastare l'emergenza pandemica da Coronavirus, nell'interpretazione seguita dal Giudice cautelare laddove ha fatto decorrere la sospensione dei termini di cautela a partire solo dal 16 aprile 2020 – data in cui l'imputato ha manifestato la propria volontà di trattare il primo procedimento, trattandosi di un procedimento ad urgenza relativa, come tale da trattare solo ad istanza di parte – e non dal 9 marzo 2020; periodo che anzi dovrebbe partire dal 17 marzo 2020, data di entrata in vigore del decreto Cura Italia, onde evitare applicazioni retroattive dell'art. 83 comma 4 dello stesso. Nei calcoli del ricorrente, in definitiva, nulla quaestio sulla retrodatazione ex art. 297 comma 3 c.p.p., (trattandosi di fatti connessi già noti al momento dell'emissione del primo titolo cautelare), essendo stato emesso nel secondo procedimento il 23 luglio 2020 il decreto di giudizio immediato, era interamente decorso il termine semestrale di fase il 12 luglio 2020. Il prospettato sentiero ermeneutico e, dopo avere precisato che le norme del d.l. n. 18/2020 distinguono tra procedimenti ad urgenza assoluta (da trattare in ogni caso e per i quali non è prevista alcuna sospensione dei termini) e quella relativa (da trattare ad istanza di parte), una volta sussunto il caso de quo in quest'ultima casistica, ritengono corretto il calcolo dell'impugnata ordinanza che ha sospeso ex lege i termini di custodia dal 9 marzo al 16 aprile 2020, data in cui il ricorrente ha manifestato la volontà di trattare il primo procedimento. Pertanto, il 23 luglio 2020 – momento di emissione del decreto di giudizio immediato – non era maturato il termine massimo di custodia cautelare della fase delle indagini preliminari in quanto, ai sei mesi decorrenti dal 13 gennaio 2020 andavano aggiunti i 38 giorni di sospensione Covid-19.
Coerenza dell'impianto normativo dal rischio di effetti distorsivi. Respinta con forza dagli ermellini la lettura datane dal ricorrente secondo la quale la manifestazione espressa di volontà di procedere renderebbe inoperante l'effetto sospensivo anche per i giorni precedenti la manifestazione del procedere. Si evidenziano, all'uopo, gli effetti distorsivi e paradossali di tale esegesi: basterebbe che l'imputato manifesti tale volontà verso lo scadere del “proprio” termine di fase per determinare la perdita di efficacia della misura in quanto fino a quel momento nessun atto sarebbe stato adottato per la sospensione ex lege di tutti i termini processuali. Si ritiene correttamente bilanciato l'interesse dell'imputato ad una celere definizione del procedimento con le esigenze connesse all'epidemia in corso, facendo regredire quest'ultimo solo in presenza di una manifestazione di volontà di procedere.
Sul dies a quo della sospensione. Rigettati anche i tentativi del ricorrente di posticipare l'inizio del termine di sospensione dal 17 marzo 2020 (e non dal 9 marzo 2020). Si richiama, mutandis mutandis, l'architrave motivazionale della sentenza n. 278 del 2020 della Corte costituzionale che, nel rigettare i dubbi di legittimità costituzionale sulla sospensione dei termini di prescrizione, ha escluso che tale disposizione abbia effetti retroattivi, estendendo le argomentazioni anche alla sospensione dei termini di custodia. A tal proposito la Consulta ha osservato come l'art. 83, commi 1 e 2, d.l. n. 18/2020, entrato in vigore il 17 marzo 2020, ha previsto la sospensione dei processi e dei procedimenti penali fin dal 9 marzo e quindi (apparentemente) in modo retroattivo quanto al periodo dal 9 al 17 marzo. In realtà, però così non è perché il rinvio ex lege (e quindi la sospensione temporanea) dei procedimenti e dei processi penali nel (breve) periodo precedente il 17 marzo 2020 e la simmetrica sospensione del termine di prescrizione trovano il loro fondamento normativo nell'art. 1 del d.l. n. 11/2020, entrato in vigore il 9 marzo 2020, il quale sì non è stato convertito in legge, e anzi prima ancora è stato abrogato dall'art. 1 della legge n. 27/2020, ma la stessa disposizione ne ha fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo, unitamente a quelli oggetto del precedente d.l. n. 9 del 2020. Ravvisandone, pertanto, una continuità normativa che allontana le censure di illegittimità sulla retroattività delle norme a carattere sostanziale della prescrizione.
Sulle contestazioni a catena. La Suprema Corte nel corso del suo iter argomentativo aveva già respinto il motivo logicamente precedente nel quale il ricorrente contestava l'incomunicabilità alla seconda ordinanza cautelare retrodatata delle cause di sospensione dei termini applicabili alla misura applicata al primo procedimento. Eccependo, pertanto, l'applicabilità ai termini di custodia della misura retrodatata emessa nel secondo procedimento, del periodo di prescrizione asseritamente maturato nel primo; un periodo tra l'altro interamente decorso prima del secondo titolo cautelare (emesso il 22 maggio 2020). Si richiama, in argomento, quell'orientamento di legittimità secondo cui, in tema di contestazioni “a catena”, la sospensione dei termini di custodia cautelare, disposta dal giudice con riferimento alla misura adottata per prima, opera anche con riferimento ai termini, decorrenti dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza, relativi alla misura adottata con la seconda ordinanza (Sez. III, n. 19407/2009; seguita da Sez. II, n. 2775/2016 e Sez. VI, nn. 12610 e 30550/2013).
L'unicità della vicenda cautelare non consente il recupero ex post della diversità delle misure cautelari. Per il collegio di legittimità non può accordarsi l'auspicata tutela in sede di ricorso a chi, avendo ottenuto la retrodatazione della seconda ordinanza al momento applicativo della prima, intenda successivamente recuperare la diversità delle misure cautelari nel momento in cui la loro trattazione unitaria, quanto al computo dei relativi termini, non risulti più conveniente a causa dell'emersione, nel primo procedimento, di una causa di sospensione. Nessun ostativo letterale o sistematico, in definitiva, si frappone a che la gravata ordinanza segua gli sviluppi procedimentali del primo titolo cautelare, quanto ai termini di sospensione dei termini maturati in conseguenza della normativa per fronteggiare l'emergenza sanitaria da Covid-19.
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