Le proposte dell'AGCM per migliorare l'efficienza e la qualità dei servizi pubblici locali a beneficio di cittadini e imprese

Emanuela Furiosi
29 Marzo 2021

Tra le proposte per la modifica dell'attuale impianto normativo in tema di concorrenza, elaborate dall'AGCM e indirizzate al Governo al fine di “riprendere tempestivamente il sentiero della crescita"...

Tra le proposte per la modifica dell'attuale impianto normativo in tema di concorrenza, elaborate dall'AGCM e indirizzate al Governo al fine di “riprendere tempestivamente il sentiero della crescita”, v'è anche il completamento della riforma dei servizi pubblici locali, circoscrivendo “il ricorso agli affidamenti in house ai soli casi in cui l'alternativa offerta dal mercato non costituisca una soluzione più efficiente” (pag. 8). A tale tema è principalmente dedicata la terza sezione della segnalazione.

La proposta elaborata dall'Autorità parte dal presupposto che mercati efficienti dei servizi pubblici locali potrebbero sia portare al miglioramento qualitativo dei servizi erogati sia avere ricadute positive sulla competitività e sullo sviluppo dei sistemi economici locali, incidendo altresì “sul livello di produttività aggregata e sulla crescita del prodotto pro capite”.

Tuttavia, i servizi pubblici locali sarebbero oggi erogati prevalentemente sulla base di un “capitalismo pubblico” che precluderebbe il raggiungimento di “adeguati livelli di efficienza e di qualità dei servizi”. Al fine di porre rimedio a detta criticità l'Autorità svolge alcune specifiche proposte.

La proposta di adozione di un “Testo Unico sui Servizi Pubblici Locali”

In particolare, ad avviso dell'Autorità, rilevata la preponderante presenza di società a partecipazione pubblica, vi sarebbe un forte controllo economico e politico degli enti locali nei confronti dei servizi pubblici. Sicché, anche nel caso in cui sono bandite delle gare, l'amministrazione giocherebbe “un doppio ruolo: quello di banditore e di soggetto partecipante”. Inoltre, sarebbe da rilevare un “massiccio” ricorso di affidamenti in house a società prive dei requisiti previsti ex lege o comunque in assenza di una adeguata motivazione circa la convenienza di tale scelta (in argomento si può vedere l'approfondimento critico di G. Greco, Concessioni affidate alle società in house: una contradictio in adjecto, in Giustiziainsieme.it).

L'Autorità, alla luce di un quadro normativo che la stessa definisce “disaggregato e complesso”, suggerisce l'adozione di un “Testo Unico sui Servizi Pubblici Locali”, che disciplini in modo organico le modalità di affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale.

Le società a partecipazione pubblica

Ad avviso dell'Autorità, il miglioramento dell'efficienza e della qualità dei servizi resi dalle partecipate pubbliche sarebbe un tassello importante della strategia di promozione della competitività e della crescita economica.

Rileva, infatti l'AGCM che il processo di riduzione del numero delle partecipate, accelerato con l'adozione del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (TUSPP), avrebbe perso vigore, soprattutto a livello locale. Vi sarebbero poi alcuni successivi interventi normativi che avrebbero escluso dall'ambito di applicazione del TUSPP “diverse società attive in regime di libero mercato e non connotate dalla finalità di raggiungere un prevalente interesse pubblico.

Dai piani di revisione delle partecipate, sarebbe altresì emerso che il mantenimento di partecipazioni in società, soprattutto in house, che si trovano in forti difficoltà finanziarie, svolgerebbe la funzione di “ammortizzatore sociale improprio”. Tale situazione provocherebbe un duplice danno: alla P.A., che si troverebbe a ripianare le perdite con le entrate pubbliche, e alla collettività, che verrebbe privata di fondi che potrebbero essere destinati ad altri scopi utili.

Inoltre, dall'analisi delle delibere di acquisto di partecipazioni pubbliche sarebbero emersi sia un “eccessivo ricorso al modello in house, in particolare per l'affidamento dei servizi pubblici locali”, sia la pratica frequente di acquisto da parte di enti pubblici locali di partecipazioni di minoranza di società interamente pubbliche “al fine di un successivo, ma eventuale, affidamento in house di servizi”.

L'Autorità propone, quindi, da un lato, di rimuovere gli interventi normativi che avrebbero ingiustificatamente limitato l'ambito di applicazione del T.U. in materia di società a partecipazione pubblica, sollecitando altresì la dismissione da parte degli enti locali delle partecipazioni in società in perdita e che non soddisfino i requisiti previsti dal T.U. Dall'altro lato, l'Autorità propone di inserire all'articolo 5 del T.U. sulle partecipate pubbliche l'espressa previsione che le delibere di acquisto di partecipazioni in società pubbliche finalizzate a successivi affidamenti in house o affidamenti diretti illustrino contestualmente la sussistenza dei requisiti previsti per tale forma di affidamento e la relativa motivazione analitica.

Gli oneri di motivazione analitica in caso di affidamento in house

L'art. 192, c. 2 del Codice dei contratti pubblici impone un onere di motivazione analitica in caso di affidamento in house, subordinando detta modalità di affidamento ad un rafforzato onere motivazionale. Dalla prassi applicativa di detta previsione, tuttavia, rileva l'Autorità, emergerebbe che “la prescritta motivazione presenti spesso formule di stile che denotano l'assenza di una valutazione concreta”.

L'Autorità propone, quindi, la modifica dell'art. 192, c. 2 del Codice dei contratti pubblici, anticipando la pubblicazione della motivazione - oggi prevista nel provvedimento di affidamento del servizio in house - nel precedente momento in cui l'amministrazione decide di optare per il regime di autoproduzione.

Ciò garantirebbe maggiormente che le valutazioni rimesse all'amministrazione – in ordine alle caratteristiche soggettive del soggetto affidatario e all'individuazione del modello più efficiente ed economico - siano effettivamente ed efficacemente svolte.

L'affidamento in house nei trasporti pubblici locali

Con particolare riferimento al settore dei trasporti pubblici locali, l'Autorità, facendo riferimento alla sentenza del TAR Liguria del 3 ottobre 2020, n. 683 - oggi oggetto di impugnazione davanti al Consiglio di Stato - riterrebbe escluso il settore dei trasporti pubblici locali dalla previsione dell'art. 192, c. 2 del codice dei contratti pubblici. In altre parole, ad avviso dell'Autorità, l'attuale normativa non imporrebbe in tale settore l'onere di una motivazione analitica nel caso l'Amministrazione opti per un affidamento in house.

Sulla base di tale – non pacifica – ricostruzione normativa, l'Autorità evidenzia che gli obblighi di motivazione analitica in ordine al mancato ricorso al mercato e ai benefici derivanti dalla forma di gestione prescelta “dovrebbero essere espressamente previsti anche per gli affidamenti diretti e in house dei servizi di trasporto pubblico locale”.

L'Autorità richiama, inoltre, l'art. 34, c. 20 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 che prevede per i servizi pubblici locali di rilevanza economica – tra i quali sono compresi anche i servizi di trasporto pubblico locale - la pubblicazione da parte dell'ente affidante di un'apposita relazione che giustifichi le ragioni e la sussistenza dei requisiti per la forma di affidamento prescelta. Disposizione che, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 100/2020, “non può che essere letta come necessità di rendere palesi (anche) i motivi che hanno indotto l'amministrazione a ricorrere all'in house invece di rivolgersi al mercato”.

Sulla base del quadro normativo come delineato e interpretato dall'Autorità, quest'ultima propone, quindi, di rendere applicabile l'articolo 192, c. 2 del Codice dei Contratti pubblici anche al settore dei trasporti pubblici locali o, alternativamente, di modificare l'articolo 34, comma 20, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 nel senso di prevedere che, in caso di affidamento in house, l'amministrazione motivi espressamente anche le ragioni del mancato ricorso al mercato e i benefici per la collettività, pubblicando la relativa relazione nel primo momento in cui l'amministrazione decide di optare per il regime di autoproduzione, vale a dire in un momento precedente alla determinazione di affidamento del servizio.

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