Il perfezionamento del deposito telematico e il principio di autosufficienza nel processo di Cassazione

Giuseppe Vitrani
01 Aprile 2021

In tema di deposito telematico, se è vero che il perfezionamento va cronologicamente fissato al momento della seconda PEC, è altrettanto vero che detto perfezionamento è subordinato all'esito positivo dei successivi controlli automatici (terza PEC) e manuali (quarta PEC) ben potendo accadere che i controlli automatici riportino un errore.
Massima

In tema di deposito telematico, se è vero che il perfezionamento va cronologicamente fissato al momento della seconda PEC, come stabilisce l'art. 16 bis del d.l. 179/2012, è altrettanto vero che detto perfezionamento è subordinato all'esito positivo dei successivi controlli automatici (terza PEC) e manuali (quarta PEC) ben potendo accadere che i controlli automatici riportino un errore, ed in particolare un errore bloccante, riguardo al quale la cancelleria non può forzare il deposito, trattandosi di eccezioni non gestite o non gestibili che inibiscono materialmente l'accettazione, e, dunque, l'entrata dell'atto o del documento nel fascicolo processuale.

Il caso

Il caso scrutinato dalla Corte di cassazione presenta aspetti interessanti sia dal punto di vista della procedura civile in generale che dal punto di vista degli aspetti più propriamente legati al processo telematico.

I fatti posti a base del contenzioso appaiono ben delineati e concernono il reclamo avverso una sentenza dichiarativa di fallimento che, come noto, è regolamentato dall'art. 18 della l. fall.; la norma in questione prevede infatti che «contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni» (e prosegue poi dettando i requisiti contenutistici del ricorso).

Da quanto è dato comprendere la parte ricorrente aveva depositato tale reclamo per via telematica presso la cancelleria del contenzioso fallimentare della Corte d'appello e aveva ricevuto una segnalazione di errore con la PEC di comunicazione dei controlli automatici di cancelleria (cd. terza PEC).

A seguito di ciò (e del rifiuto dell'atto da parte della cancelleria fallimentare), il giorno seguente veniva effettuato il deposito presso la sezione civile, sennonché il termine per proporre reclamo era ormai spirato; come si può desumere dalla massima diffusa dalla Suprema Corte, la società ricorrente aveva però tentato di sostenere che il deposito si sarebbe perfezionato al momento della generazione della ricevuta di consegna (cd. seconda PEC) del primo deposito, ovvero quello effettuato su ruolo errato. La tesi non è stata però accolta.

La questione

Le questioni da analizzare sono pertanto due: Quando viene denunciato un error in procedendo con il ricorso in Cassazione, quali sono gli oneri di allegazione a carico della parte ricorrente? Quando si perfeziona effettivamente il deposito telematico e quali sono gli effetti della ricevuta di consegna nel caso in cui il deposito telematico sia affetto da errori che ne impediscono l'accettazione?

Le soluzioni giuridiche

Alle questioni suddette la Corte di cassazione ha risposto in maniera molto chiara.

È stato innanzitutto evidenziato il mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, stante che la parte ricorrente non aveva in alcun modo documentato i fatti sui quali fondava l'impugnazione; in particolar non risultava richiamato nessun documento dal quale si evincesse l'esito negativo dei controlli automatici e il conseguente rifiuto del deposito, né tantomeno tale documentazione (a quanto par di capire) risultava prodotta.

La Corte di legittimità osservava come la denuncia dell'error in procedendo non fosse stata effettuata secondo i dettami del codice di rito e delle proprie Sezioni Unite; a tale ultimo proposito occorre infatti ricordare che «ogni qualvolta l'indagine sia diretta ad accertare se il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non potendo la Corte ricercare e verificare a suo piacimento i documenti interessati dalla verifica, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo contenga tutte le precisazioni ed i riferimenti necessari a comprendere la dedotta violazione processuale ed a procedere alla verifica dell'esistenza della soluzione alternativa a quella praticata dai giudici di merito, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente» (Cass. civ., sez. un., 26 febbraio 2019, n. 5640).

È bene altresì aggiungere che, nel caso di specie, la parte ricorrente avrebbe certamente potuto produrre la documentazione inerente la fase del deposito del reclamo, trattandosi a tutta evidenza di produzione relativa all'ammissibilità dell'impugnazione e perciò consentita dall'art. 372 c.p.c.

Il mancato adempimento degli oneri di produzione e di «localizzazione» degli atti e documenti fondanti il ricorso, per usare le parole della Corte Suprema, ha condotto irrimediabilmente alla inammissibilità dell'impugnazione.

Per quanto concerne invece la questione più strettamente telematica, la Corte di cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza, che considera la «seconda PEC» o, meglio la ricevuta di consegna (erroneamente indicata come «ricevuta di accettazione» in sentenza) come quella che cristallizza la data del deposito ma solo nel caso in cui gli effetti della stessa si consolidino a seguito della definitiva accettazione del deposito da parte della cancelleria e dell'inserimento dello stesso nel fascicolo digitale.

Si osserva infatti come sia vero che il perfezionamento vada cronologicamente fissato al momento della seconda PEC, come stabilisce l'art. 16-bis del d.l. 179/2012, ma è altrettanto vero che detto perfezionamento è subordinato all'esito positivo dei successivi controlli automatici e manuali, ben potendo accadere che detti controlli riportino un errore, ed in particolare un errore bloccante, riguardo al quale la cancelleria non può forzare il deposito, trattandosi di eccezioni non gestite o non gestibili che inibiscono materialmente l'accettazione, e, dunque, l'entrata dell'atto o del documento nel fascicolo processuale.

Osservazioni

Le risposte date dalla Corte di cassazione vanno analizzate con attenzione.

Per quanto concerne il mancato rispetto del principio dell'autosufficienza del ricorso non si può che concordare con i giudici di legittimità, posto che, a quanto par di capire leggendo la sentenza, si sarebbe in presenza di una violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6) c.p.c. il quale onera la parte della «specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda».

Nel caso di specie non solo non vi è stata tale indicazione, ma non paiono essere stati neppure prodotti i documenti a supporto della tesi difensiva, documenti che pure avrebbero potuto essere prodotti ai sensi dell'art. 372 c.p.c.

Per quanto concerne le argomentazioni relative agli effetti della ricevuta di consegna nel processo civile (telematico), occorre una riflessione più ampia.

Seguendo il ragionamento della Corte di cassazione è certamente indiscutibile che gli effetti della ricevuta di consegna (ovvero della seconda PEC) possono cristallizzarsi solo nel caso in cui il deposito abbia buon esito e possa essere accettato dalla cancelleria; diversamente l'atto processuale non figura neppure all'interno del fascicolo di causa e men che meno possono esserne valutati gli effetti.

Sennonché né la Corte di cassazione, né, a dire il vero, la parte ricorrente paiono aver preso in considerazione i ragionamenti più approfonditi che sono stati fatti da parte della giurisprudenza di merito e che probabilmente avrebbero consentito già alla cancelleria del giudice di merito di accettare il deposito e comunque alla Suprema Corte di affrontare con una diversa prospettiva il caso di specie.

Il riferimento è al filone giurisprudenziale che qualifica l'indicazione di «errato registro» (ipotesi verificatasi nel caso di specie) come mero errore materiale non in grado di travolgere la validità del deposito telematico dell'atto. Secondo siffatta giurisprudenza, invero, l'accettazione dell'atto da parte della cancelleria non concorre a integrare la fattispecie del deposito, ma riguarda “il mero inserimento dell'atto nel fascicolo digitale, non potendosi ammettere che “anomalie che bloccano l'inserimento nel fascicolo sortiscano l'effetto di travolgere retroattivamente il deposito. È infatti opportuno evitare per gli atti telematici che meri errori materiali, anche di piccola entità e privi di rilevanza negli atti analogici, comportino gravi conseguenze processuali, in ipotesi in cui potrebbe non applicarsi l'istituto della rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., che presuppone la non imputabilità della causa della decadenza (così, Trib. Torino, 23 dicembre 2016).

Alla luce di tali motivazioni si è ritenuto, ad esempio, che il nuovo invio della comparsa di risposta, a fronte di un primo deposito su un registro errato (in quel caso registro lavoro invece che contenzioso civile) avesse esclusivamente comportato l'eliminazione dell'errore materiale che impediva l'inserimento nel fascicolo di un atto già ritualmente depositato, poiché, come risulta anche dal punto 7.1 della circolare ministeriale del 23 ottobre 2015, “il sistema informatico non consente ancora il trasferimento del fascicolo telematico dall'uno all'altro registro.

È evidente che, mutatis mutandis, si tratta di situazione speculare a quella in commento, nella quale, valorizzando tale giurisprudenza, si sarebbe potuto far valere «l'effetto cristallizzante» della seconda PEC dopo la correzione del mero errore materiale con il deposito nel registro corretto.

In conclusione, si ritiene certamente corretto e dirimente il dictum relativo al mancato rispetto del principio dell'autosufficienza, che evidentemente ha condizionato la decisione della Corte, che non ha potuto far altro che dichiarare l'inammissibilità del ricorso.

Per quanto concerne invece gli effetti della seconda PEC non si può non ribadire come il ragionamento condotto in astratto sugli effetti della ricevuta di consegna avrebbe potuto essere approfondito in concreto, per quanto concerne la fattispecie specifica del deposito su un registro errato.

Va però detto che il difetto di ammissibilità dell'impugnazione non può non aver condizionato anche i successivi ragionamenti, che non hanno certamente potuto essere adeguatamente approfonditi.