Così le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 9004/21; depositata il 31 marzo.
Il caso. Il Tribunale pronunciandosi sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, contratto con rito concordatario, proposto giudizialmente dai coniugi, poneva a carico dell'uomo l'obbligo di corrispondere alla donna un assegno divorzile.
Avverso il solo capo attinente il riconoscimento dell'assegno divorzile, veniva proposto appello dall'ex marito, innanzi alla Corte di appello competente; il giudice del gravame rigettava l'appello, richiamando l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del diritto all'assegno divorzile, ritenendo dimostrata l'indisponibilità di mezzi adeguati da parte dell'ex moglie.
Avverso la predetta sentenza, l'ex marito proponeva ricorso per Cassazione articolato in tre motivi; l'ex moglie resisteva con controricorso.
La causa veniva avviata alla trattazione in camera di consiglio della Suprema Corte e, con ordinanza, veniva rinviata alla pubblica udienza rilevando che unitamente alla memoria di cui all'art. 380-bis, comma 2, c.p.c., l'ex marito aveva depositato copia di una sentenza con cui la Corte di appello aveva resa esecutiva nel nostro ordinamento una pronuncia emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale, e ratificata dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio.
Con ordinanza, la Suprema Corte ha, innanzitutto, rigettato l'eccezione di inefficacia della sentenza di delibazione, dando atto del passaggio in giudicato della stessa. Avendo poi il ricorrente richiesto che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere, in virtù della sopravvenuta dichiarazione di nullità del matrimonio, si rimettevano gli atti alle Sezione Unite per la risoluzione di un contrasto di giurisprudenza diretto a comprendere se il giudicato interno che dichiari la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario sia idoneo a paralizzare gli effetti della nullità del matrimonio, dichiarata con sentenza ecclesiastica, successivamente delibata dalla Corte di appello, solo in presenza di statuizioni economiche assistite dal giudicato o anche in assenza di dette statuizioni.
Inidoneità della sentenza ecclesiastica a impedire la prosecuzione del giudizio di divorzio. La Suprema Corte a Sezioni Unite, in applicazione del principio di diritto che afferma che in tema di divorzio, il riconoscimento dell'efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili, ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno divorzile.
Deve quindi escludersi che la produzione della sentenza, divenuta definitiva, con cui è stata dichiarata efficace nel nostro ordinamento la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio contratto dalle parti, risulti idonea a precludere la prosecuzione del giudizio: considerato infatti che la sentenza di primo grado ha costituito oggetto di impugnazione nella sola parte in cui ha riconosciuto il diritto della resistente alla corresponsione dell'assegno divorziale e ne ha determinato la misura; il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, verificatosi a seguito della proposizione dell'appello e quindi in data anteriore alla delibazione della sentenza ecclesiastica, consente di escludere l'operatività di quest'ultima, non solo ai fini dello scioglimento del vincolo coniugale, ma anche in ordine alla determinazione delle relative conseguenze economiche, imponendo di procedere all'esame delle censure proposte con il ricorso per cassazione.
Gli Ermellini hanno ritenuto inammissibili il primo e il terzo motivo di impugnazione e infondato il secondo, ritenendo sufficientemente motivata la sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso è stato rigettato, e, ritenuta la complessità della questione trattata, compensate le spese.
*fonte: www.dirittoegiustizia.it