Processo penale telematico: dalla fase emergenziale alla digital transformation della giustizia penale

06 Aprile 2021

Il processo penale telematico ha avuto, per l'emergenza sanitaria da COVD 19, un'improvvisa e inaspettata accelerata ed oggi, ad un anno dai primi provvedimenti nati per fronteggiare, anche in campo giudiziario, la grave pandemia, è possibile trarre un primo bilancio: alla luce dell'attuale quadro normativo di riferimento, dopo aver descritto il vero e proprio restyling normativo operato dal Legislatore in relazione agli “istituti digitali” messi in campo nelle Fasi 1 e 2 della pandemia, gli autori analizzano come e se le novità introdotte nel processo telematico vengano applicate nei vari uffici giudiziari, interrogandosi su cosa resterà (o potrebbe restare) del PPT dopo lo stato di emergenza, che è stato prorogato al 31 luglio 2021 dall' art. 6 del d.l. 1 aprile 2021, n. 44.
Il processo penale telematico prende forma

È passato poco più di un anno dall'inizio della pandemia e, con essa, dai primi provvedimenti normativi che hanno dovuto disciplinare – tra le altre – anche l'attività giudiziaria, con l'adozione di modalità procedimentali che valgano a garantire la salute pubblica, escludendo nei limiti del possibile i contatti fisici.

Nell'arco, infatti, dei primi due mesi di diffusione della pandemia, e dunque dai primi di marzo 2020, la giustizia penale è stata proiettata in una dimensione del tutto diversa, alla quale si lavorava da anni ma che, prima di essa, sembrava ancora di lontana attuazione: con le direttissime e con le convalide degli arresti, ossia con i procedimenti non sospesi ai sensi dell'art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (e prima ancora ai sensi del d.l. 9 marzo 2020, n. 11), che sono stati celebrati sulla piattaforma telematica messa a disposizione dal Direttore generale dei servizi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (di seguito DGSIA);con le prime ipotesi di deposito telematico di alcuni atti e con il giudizio cartolare si è di fatto aperta la strada al telematico, una strada percorsa poi con la legge di conversione del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, ed ulteriormente arata dagli ultimi decreti-legge adottati (i cd “Ristori” e “Ristori-bis”) e dalla legge n. 176 del 18 dicembre 2020, che ha convertito con modificazioni il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (cd. decreto “Ristori”), che di fatto ha introdotto modalità telematiche di trattazione dei procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari (meno a dibattimento), in appello ed in cassazione, contemplando, in aggiunta, una disciplina ad hoc per il deposito degli atti e, in particolare, per le impugnazioni trasmesse con PEC.

Ha preso così forma il Processo Penale Telematico, che trova oggi la sua principale fonte normativa di riferimento nella legge n. 176/2020 di conversione del d.l. 137/2020 ed in particolare negli artt. 23, 23 bis, 23 ter – questi ultimi due riproducenti, “per incorporazione” gli artt. 23 e 24 del d.l. 149/2020, cd Ristori bis, contestualmente abrogato – e 24 d.l. cit, che di seguito si commenteranno.

È una normativa, questa, che, oltre a rappresentare una grandissima novità, troverà applicazione fino al 31 luglio 2021, termine ultimo fissato dal recentissimo art. 6 del d.l. 1 aprile 2021, n.44.

Accanto ad essa continueranno a trovare applicazione le disposizioni normative preesistenti, che tratteggiavano aspetti del (futuro) processo penale telematico (il riferimento è soprattutto alla disciplina delle notifiche telematiche o alla partecipazione a distanza dell'imputato detenuto, ma anche agli applicativi utilizzati nel procedimento penale, come ad esempio TIAP o il Portale NDR), e che essendo previste da norme primarie, secondarie e regolamentari non emergenziali non incontrano limitazioni temporali nella loro efficacia.

Sganciandosi dalla mera analisi, in sequenza, delle disposizioni emergenziali di cui al d.l. 137/2020 cit, è infatti possibile cogliere nella normativa emergenziale attualmente in vigore e in quella preesistente non emergenziale, la forma del processo penale telematico, che si fonda su tre pilastri (udienze da remoto, deposito telematico di atti e giudizio cartolare) e che viene di seguito analizzato in modo nuovo e inusuale, ossia nelle singole fasi procedimentali e nei vari gradi di giudizio, osservando le novità presenti in ciascuna di esse.

Può infatti cogliersi una distinzione tra la fase delle indagini preliminari (con il deposito telematico nel portale e con PEC, nonché con le udienze in collegamento da remoto), la fase del dibattimento (con le udienze in collegamento da remoto), il giudizio di appello (con il nuovo giudizio cartolare a suo tempo disciplinato dal d.l. 146/2020 e oggi “incorporato” nel d.l. 137/2020, come convertito) ed il giudizio di legittimità (con il giudizio cartolare ex d.l. 137/2020, che a sua volta riprende l'art. 83 d.l. n. 18/2020), non senza trascurare ciò che comunque rappresenta una novità assoluta (che vale per ogni grado di giudizio e fase procedimento), ossia il generalizzato deposito di atti di parte con la pec.

Si è cercato, in definitiva, di ricucire i sopra menzionati segmenti normativi del procedimento telematico, finora apparentemente solo tratteggiati dal Legislatore, per impostare un'inziale organica ricostruzione, anche teorica (come si vedrà ex professo nell'ultimo paragrafo delle conclusioni), del processo penale telematico.

Fonte: ilprocessotelematico.it

Non più solo notifiche telematiche: la novità del deposito telematico

La riforma dovuta e legata all'emergenza COVID ha introdotto una novità di grandissimo rilievo: il deposito telematico degli atti.

Erano anni che, su sollecitazione soprattutto dell'avvocatura, si discuteva della possibilità, per le parti processuali, di inviare telematicamente atti agli uffici giudiziari. Ciò è di fatto accaduto con la recentissima riforma normativa, e in particolare nelle disposizioni normative contenute sin dall'art. 83 d.l. n. 18/2020, quindi nel decreto Ristori e, infine, nella legge n. 176/2020 di conversione con il nuovo testo dell'art. 24, che modifica in parte – disciplinandolo nel dettaglio – proprio la parte relativa al deposito degli atti.

Sul deposito telematico degli atti va tuttavia fatta una distinzione in premessa, che riguarda l'inquadramento delle questioni: una cosa sono infatti le notifiche telematiche, altra cosa è il deposito telematico di atti.

Prima della riforma emergenziale le uniche forme di trasmissione telematica di atti, disciplinate normativamente, erano le notifiche telematiche, effettuate con posta elettronica certificata (PEC) così come disciplinate dall'art. 16 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 novembre 2012, n. 221.

I primi interventi normativi – per intenderci quelli introdotti dall'art. 16 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 cit. – hanno infatti previsto la possibilità, per gli uffici giudiziari, di trasmettere atti con PEC ai difensori, e l'interpretazione giurisprudenziale che ne è seguita ha gradualmente esteso l'ambito dei destinatari delle notifiche telematiche, ammettendo la notifica telematica (sempre da parte dell'autorità giudiziaria) anche a quelle parti processuali obbligate per legge a dotarsi di PEC, escludendo espressamente che in questo novero potessero rientrare le persone indagate/imputate.

In ogni caso, la trasmissione telematica consentita dalla normativa primaria e secondaria riguardava le notifiche telematiche, ossia gli atti “in uscita” dagli uffici giudiziari, non già gli atti “in entrata” presso gli uffici giudiziari, provenienti dai difensori (per la polizia giudiziaria è infatti consentito trasmettere le comunicazioni di notizia di reato agli uffici della Procura, attraverso il sistema del Portale delle notizie di reato). La ragione di questa preclusione è presto detta: non esisteva infatti, prima della normativa emergenziale, una norma che – al pari dell'art. 16 d.l. n. 179/2012 cit – consentisse ai difensori di inviare atti con PEC o in modalità telematica e che permettesse, quindi, alle parti private il deposito telematico di atti presso l'Autorità giudiziaria, come invece esiste per il processo civile.

In questo contesto, nonostante la mancanza di una norma espressa sul deposito telematico di atti, non sono comunque mancate pronunce che hanno ammesso la trasmissione telematica di atti da parte del difensore alla AG – rivenendo il riferimento normativo o nell'art. 4 d.l. n. 193/2009 o nell'art. 2, c. 6, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (CAD) – ma in ogni caso ammettendo questa possibilità sono nelle ipotesi in cui non esistano modalità specifiche di trasmissione di atti (come per le impugnazioni), e sempre con assunzione del rischio di intempestività a carico del difensore.

La normativa emergenziale ha cambiato tutto.

Accanto alle notifiche telematiche di atti – l'art. 16 d.l. n. 179/2012 è tuttora in vigore e non è stato toccato dalla normativa di emergenza, per cui, anche dopo il superamento della attuale condizione di crisi sanitaria globale e della normativa emergenziale ad esso ancorata, continuerà ad essere in vigore – è stato infatti disciplinato il deposito telematico di atti indirizzati alla Autorità giudiziaria, da parte dei difensori, realizzabile con diverse modalità, che variano a seconda della fase procedimentale e della tipologia di atti.

E così, se nella fase delle indagini preliminari è oggi possibile, come si vedrà, che i difensori trasmettano atti al P.M. o con PEC o attraverso il portale del processo telematico degli atti, individuato nel Portale Deposito Atti Penali (istituito già con la “prima” normativa emergenziale, ossia con l'art. 83, c. 12 quater, d.l. 17 marzo 2020 n. 18 e poi nuovamente regolamentato dal d.l. Ristori e dalla legge di conversione n. 176/2020); in tutte le fasi del procedimento è oggi possibile, in base sempre alla normativa emergenziale, inviare a mezzo PEC – e dunque depositare telematicamente – ogni tipologia di atti, comprese anche le impugnazioni (tipico caso per il quale la giurisprudenza è sempre stata ferma nell'escludere la possibilità di invio con PEC, prevedendo la normativa primaria forme tipizzate di deposito).

Detto diversamente, la normativa emergenziale ha sdoganato, per la prima volta, il deposito telematico di atti da parte dei difensori!

Il deposito è allora realizzabile, nella fase delle indagini preliminari, con PEC o attraverso il Portale, e la scelta dell'una o dell'altro dipende dalla tipologia di atti da inviare; in tutte le altre fasi del procedimento e del processo penale il deposito telematico può avvenire solo con PEC (e quindi non attraverso il Portale, che resta allo stato un sistema di trasmissione atti agli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali).

La norma di riferimento è, attualmente, per tutte queste ipotesi l'art. 24 del d.l. n. 137/2020, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020 n. 176 ed essa, entrata in vigore il 29 ottobre 2020, è e sarà in vigore, allo stato, fino al 31 luglio 2021.

L'art. 24 d.l. 137/2020 nella sua originaria formulazione e dunque già prima delle modifiche apportate dalla legge di conversione, ha una portata quasi “epocale”, aprendo esso a quel processo penale telematico cui si lavorava da tantissimo tempo e che, solo con la normativa emergenziale, ha visto di fatto prendere forma.

Rinviando ai successivi paragrafi l'analisi della normativa che consente il deposito telematico nella fase delle indagini preliminari e le riflessioni sull'impatto che essa ha avuto in questa fase del procedimento, va qui evidenziato che la possibilità di inviare atti con PEC nelle fasi del procedimento è ormai generalizzata: la prima parte dell'art. 24 co. 4 – disposizione, questa, non modificata in sede di conversione – prevede infatti che “Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2” – ossia diversi da quelli che vanno depositati presso gli uffici di Procura attraverso il Portale – e fino alla scadenza del termine che allo stato è quello del 31 luglio 2021, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata.

La portata della norma è chiara: il difensore può depositare con PEC qualunque tipo di atto, purché diverso da quelli depositabili nel portale.

Si tratta di una facoltà “in più” riconosciuta al difensore, che si affianca alle usuali modalità di trasmissione, come si desume agevolmente dalla circostanza che il legislatore utilizzi il termine “è consentito" e non faccia menzione in parte de qua a modalità esclusive di trasmissione.

Ovviamente occorrerà certezza della PEC cui inviare l'atto e da cui si invia l'atto in questione e questo spiega perché il legislatore – nella parte successiva dell'art. 24, co. 4 e poi in sede di conversione (in grassetto le modifiche ivi apportate) si è premunito di precisare che il deposito con PEC, per avere valore legale, va fatto “mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44” – inseriti, cioè nel cd. REGINDE - e che “il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio.”

In sede di conversione è stato poi aggiunto, sempre nell'ottica di disciplinare più nel dettaglio la modalità di trasmissione, che “Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al presente comma, il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza.”

Non vi sono limiti, dunque, alla trasmissione telematica con PEC alla A.G. di qualunque tipologia di atto da parte del difensore (diversi da quelli depositabili nel Portale) e ciò anche con riferimento alle impugnazioni, malgrado una pronuncia di segno contrario della Cassazione (Cass. Pen, Sez 1, n. 32566/2020) e la conseguente decisione del Tribunale di Milano di ritenere inammissibili tutte le impugnazioni presentate tramite PEC (divenuta nota attraverso l'allarme lanciato dalla locale Camera Penale), che prima della conversione con modifiche del d.l. n. 137/2020, avevano dato una lettura in termini estremamente riduttivi dell'art. 24, co. 4 cit. (lettura, ritenuta, sin dai primi commenti sul punto, non in linea con il dettato normativo)

Questo forse può spiegare la decisione, da parte del legislatore, di inserire in sede di conversione dell'art. 24, i commi dal 6 bis e seguenti, che disciplinano tutti, nel dettaglio, l'impugnazione da parte del difensore con PEC (applicandosi agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali) e che, tra le varie disposizioni, introducono un nuovissimo principio, stabilendo all'art. 24, co. 6 septies che nei casi di inammissibilità per così dire formale dell'impugnazione sia il giudice che ha emesso il provvedimento – e non già, come è regola, il giudice dell'impugnazione – a dichiarare, anche d'ufficio, l'inammissibilità dell'impugnazione, disponendo l'esecuzione del provvedimento impugnato (la norma in esame è stata oggetto anche di nota del Primo Presidente della Corte di Cassazione, trasmessa a tutti gli uffici giudiziari).

A norma infatti del combinato disposto dei commi 6 sexies e 6 septies dell'art. 24 d.l. cit, il giudice che ha emesso il provvedimento dichiarerà inammissibile l'impugnazione proposta con PEC:

a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;

b) quando le copie informatiche per immagine degli allegati non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale;

c) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel ReGINDE;

d) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;

e) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale DGSIA o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'art. 309, c. 7, c.p.p. dal provvedimento del Direttore DGSIA.

A fronte del sistema normativo della impugnazioni che prevede che sia il giudice dell'impugnazione a dichiararne l'inammissibilità, la norma, nella parte in cui stabilisce che sia il giudice che ha pronunciato il provvedimento a dichiarare inammissibile l'impugnazione, si pone come una evidente eccezione, che probabilmente trova la sua giustificazione nel fatto che è solo il giudice che ha emesso il provvedimento che può, tramite la sua cancelleria, verificare il contenuto della PEC alla quale l'impugnazione è stata inviata (l'impugnazione va infatti presentata presso l'A.G. che ha pronunciato il provvedimento mediante invio all'indirizzo PEC indicato in apposito provvedimento del Direttore DGSIA, pubblicato nel portale dei servizi telematici), possibilità, questa, che materialmente è irrealizzabile per il giudice dell'impugnazione, non avendo questi accesso, tramite la sua cancelleria, a PEC diverse da quelle proprie.

La fase delle indagini preliminari

Le disposizioni dettate per il periodo dell'emergenza da COVID-19 mirano a contemperare le esigenze di distanziamento sociale e le garanzie delle parti anche in relazione alla fase delle indagini preliminari. È da verificare, però, se e come lo strumento del collegamento a distanza consenta in maniera effettiva e soddisfacente la raccolta degli elementi di prova funzionali agli accertamenti della fase investigativa.

La risposta a tale quesito postula l'esame anche tecnologico dei veri e propri “istituti telematici” disegnati ad hoc dal Legislatore per far fronte alle menzionate esigenze.

La normativa emergenziale stabilisce che nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono avvalersi di collegamenti da remoto, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (DGSIA), per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini si opponga, quando l'atto richiede la sua presenza (art. 23, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176).

Il DGSIA ha individuato i predetti collegamenti da remoto negli strumenti di videoconferenza già a disposizione degli uffici giudiziari, nonché negli applicativi Skype for Business e Teams di Microsoft (artt. 2 e 4 del provvedimento direttoriale del 2 novembre 2020, n. 10632).Lo stato di emergenza e l'assenza di software appositamente dedicati hanno portato all'utilizzo diffuso, nell'ambito del procedimento penale, anche di programmi ideati e distribuiti per un uso “generalista” e, comunque, non specificamente giudiziario.

Questi applicativi, in particolare Teams che costituisce una più sofisticata evoluzione di Skype for Business, appaiono molto duttili in quanto progettati per essere piegati a molteplici forme di condivisione (aziendale, scolastica, convegnistica ecc.) e sono stati ampiamente utilizzati nella prassi giudiziaria per lo svolgimento dell'attività procedimentale penale a distanza fin dalle prime fasi della pandemia con l'intento di emulare virtualmente la compresenza impedita dall'emergenza epidemiologica (in forza dell'art. 2, comma 7, del d.l. 8 marzo 2020, n.11 e dell'art. 83, commi 12,12 bis e 12 quater del d.l. 17 marzo 2020 n. 18). Attraverso tale tecnologia di comunicazione a distanza si intende riprodurre le attività procedimentali di raccolta degli elementi investigativi nella fase delle indagini preliminari. Ciò può avvenire nell'ambito di “team” (gruppi di persone, abilitate all' uso del software secondo i limiti della licenza di utilizzo di Microsoft, che interloquiscono in videoconferenza o in audioconferenza e condividono messaggi, nonché documenti informatici), appositamente creati dall' ufficio del pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, che emulano appunto la compresenza di più soggetti in un luogo fisico dove si svolge l'atto investigativo.

In relazione alle indagini preliminari la norma di cui all' art. 23, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 consente attualmente sia al pubblico ministero che alla polizia giudiziaria di utilizzare i collegamenti da remoto per tutti gli “atti” che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone.

Risulta evidente che la disposizione sopra citata è formulata in modo tanto ampio da ricomprendere astrattamente pressoché tutte le principali attività investigative cui partecipano il pubblico ministero e la polizia giudiziaria durante le indagini preliminari (assunzioni di informazioni, ispezioni, interrogatori, confronti, individuazioni, conferimenti di incarichi di consulenza ex artt. 359 o 360 c.p.p. ed atti investigativi della polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 348 e ss. c.p.p.).

Ma torniamo al nodale quesito sull' effettiva idoneità degli “istituti” investigativi emergenziali a far davvero fronte a tutte le esigenze istruttorie della fase delle indagini preliminari. Deve osservarsi, in proposito, che in taluni casi il mezzo tecnico del collegamento da remoto non è, strutturalmente e per sua natura, idoneo a surrogare esaustivamente la reale compresenza con i soggetti che partecipano all'attività investigativa in quanto, durante le indagini preliminari, vi sono anche segmenti di detta attività (si pensi ad esempio ai rilievi tecnici) che necessitano, per l'efficace raggiungimento delle finalità latamente probatorie connesse a tale fase preprocessuale, di un contatto diretto con la realtà materiale oggetto di accertamento e che non consentono l'interpolazione dell' investigazione con lo strumento della video connessione a distanza. L'utilizzo dello strumento investigativo da remoto deve, perciò, essere sempre preceduto dalla concreta e prudente verifica dell'idoneità tecnologica dei dispositivi forniti dall'Amministrazione giudiziaria a soddisfare effettivamente le esigenze sottese agli istituti che governano il compimento degli atti delle indagini preliminari cui partecipano i soggetti individuati dall' art. 23, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Così ridimensionati i confini dell'applicazione della tecnologia messa a diposizione degli investigatori, emerge che il campo elettivo dei collegamenti da remoto, durante la fase delle indagini preliminari, è costituito principalmente, se non esclusivamente, da tutte le attività che sono volte a raccogliere le dichiarazioni della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, dei consulenti, degli esperti o di altre persone. In tale ambito è, infatti, agevole riprodurre anche a distanza condizioni di interrelazione molto simili a quelle che si realizzano durante una compresenza materiale con i soggetti intervenuti all'attività investigativa.

La facoltà del pubblico ministero e della polizia giudiziaria di utilizzare i collegamenti da remoto nel corso delle indagini incontra però un ulteriore limite, questa volta non intrinsecamente tecnologico ma costituito da un potere di “veto” del difensore della persona sottoposta alle indagini il quale può opporsi ad nutum all'instaurazione del collegamento a distanza quando l'atto richieda la sua presenza; analogo potere non compete, invece, alla persona sottoposta alle indagini (argomentando ex art. 23, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176). La ratio della norma citata è, con tutta evidenza, individuabile nella massima valorizzazione della strategia del difensore che potrà optare, a suo insindacabile giudizio ed anche indipendentemente dalla volontà dell'indagato da lui difeso, per la necessità della formazione, o meno, nel caso concreto di un compendio istruttorio senza l'intermediazione dello strumento del collegamento a distanza. La previsione, così formulata, tradisce la sostanziale sfiducia nella capacità dello strumento tecnico in parola di riprodurre adeguatamente da remoto le condizioni per la concreta attuazione delle garanzie difensive in ordine al compimento di atti investigativi.

La materiale dislocazione delle postazioni telematiche sul territorio indicata dall' art. 23, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, evidenzia come la normativa sulle indagini preliminari in collegamento da remoto sia finalizzata a limitare al massimo gli spostamenti dal perimetro più prossimo alla residenza delle persone che partecipano all'atto investigativo. Le persone chiamate a partecipare all'atto predetto sono, infatti, tempestivamente invitate a presentarsi presso l'ufficio di polizia giudiziaria più vicino al loro luogo di residenza, che abbia in dotazione strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto. Le finalità di certezza dell'identificazione delle persone che partecipano al compimento dell'atto sono soddisfatte con la presenza di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria che procede alla loro identificazione presso l'ufficio dove sono state invitate.

Completa la disciplina lo sforzo del Legislatore di tratteggiare, con scrupolose disposizioni di dettaglio, un contesto materiale che riproduca quanto più possibile le medesime condizioni dell'attività investigativa in presenza fisica. Il compimento dell'atto deve avvenire, infatti, con modalità idonee a salvaguardarne, ove necessario, la segretezza e ad assicurare la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di consultarsi riservatamente con il proprio difensore. L'ufficio di polizia giudiziaria deve quindi garantire che l'attività di collegamento a distanza si svolga in appositi locali riservati ed in assenza di soggetti non legittimati alla partecipazione all'atto di indagine. Il difensore può scegliere se partecipare da remoto mediante collegamento dal proprio studio o se essere presente nel luogo ove si trova il suo assistito. Qualora il difensore decida di partecipare dal suo studio sarà anche necessario assicurare una comunicazione telefonica riservata tra l'indagato ed il suo difensore. Il pubblico ufficiale che redige il verbale deve dare atto nello stesso delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'art. 137, c. 2, c.p.p. (art. 23, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176).

Il restyling del portale deposito atti penali. PEC o PDP: quando l'una, quando l'altro?

Il Ministero della giustizia ha introdotto numerose novità ampliando e semplificando ulteriormente per i difensori le procedure di deposito nel Portale Deposito atti Penali (PDP). Superata la fase di “collaudo” inziale del servizio, le modifiche strutturali del funzionamento del portale operate dall' Amministrazione giudiziaria sembrano, infatti, aver disegnato un vero e proprio PDP “2.0” sia sotto il profilo tecnico che funzionale.

Passeremo in rassegna tali novità (intervenute all' esito di una sorta di “restyling” del servizio culminato nelle recenti disposizioni dell' art. 6 del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 che ha novellato l'art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176) partendo dalle nozioni fondamentali di tale strumento informatico anche al fine di tracciare organicamente il perimetro del suo utilizzo nei rapporti con l'uso della PEC per il deposito degli atti giudiziari.

Va, anzitutto, chiarito che il Legislatore ha previsto un “portale del processo penale telematico” onde consentire l'accesso, attraverso la rete internet, ai servizi telematici resi disponibili dal dominio giustizia per il deposito di atti, documenti e istanze.

Per favorire la semplificazione delle attività di deposito durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19 , l' art. 24, comma 1, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 ha stabilito che fino al 31 luglio 2021 (termine così aggiornato con successivo provvedimento di proroga) il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall'articolo 415-bis, comma 3, del codice di procedura penale presso gli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali avviene, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del DGSIA e con le modalità stabilite nel medesimo provvedimento, anche in deroga alle previsioni del decreto emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24.

L'art. 24, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 ha anche disposto che, con uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per quali sarà reso possibile il deposito telematico con le modalità stabilite dal sopra menzionato provvedimento del DGSIA. In relazione a tale norma è stato emanato un primo decreto ministeriale volto ad estendere l'uso del portale del processo penale ad ulteriori atti. Il Ministro della Giustizia con DM del 13 gennaio 2021 (pubblicato su G.U. del 21 gennaio 2021) ha, infatti, stabilito che, negli uffici delle Procure della Repubblica presso i Tribunali, il deposito da parte dei difensori dell'istanza di opposizione all'archiviazione indicata dall'art. 410 cpp, della denuncia di cui all'art. 333 cpp, della querela di cui all'art. 336 cpp e della relativa procura speciale, della nomina del difensore e della rinuncia o revoca del mandato indicate dall'art. 107 cpp avviene esclusivamente mediante deposito telematico ai sensi dell'art. 24, comma 1, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, tramite il portale del processo penale telematico e con le modalita' individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Il menzionato DM, peraltro, in forza del combinato disposto dei commi 2 e 6, dell'art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 siccome convertito in legge, se da un lato amplia il novero degli atti depositabili con il PDP, dall' altro restringe l'ambito d'applicazione dei depositi a mezzo PEC (si veda in particolare l'art.24 comma 6 quinquies del citato d.l. in ordine all' opposizione di cui all'art.410 c.p.p.).

In proposito va evidenziato che l'art. 24, comma 4, del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 ha previsto una ulteriore modalità, alternativa al portale, per il deposito a distanza in quanto “per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 del d.l. 25 marzo 2020 n. 19, convertito con modificazioni dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44”. Il deposito con tali modalità deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del DGSIA che prevede anche le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio (tale provvedimento direttoriale è stato emanato il 9 novembre 2020 con prot. n.10791).

Il portale del processo penale telematico rimane, però, lo strumento elettivo del deposito digitale dei difensori in quanto l'art. 24, comma 6, del d.l. n. 137/2020 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 stabilisce che, per gli atti per i quali è reso possibile il deposito nel portale del processo penale, “l'invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge”.

Il portale del processo penale telematico, con apposita disposizione tecnica, è stato espressamente individuato nel sistema informatizzato del PDP (Portale Deposito atti Penali).

Il provvedimento del DGSIA del 24 febbraio 2021 ha, inoltre, stabilito che il deposito con modalità telematica di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall'art. 415-bis, comma 3, c.p.p., della istanza di opposizione alla archiviazione indicata nell'art. 410 c.p.p., della denuncia di cui all'art. 333 c.p.p., della querela di cui all'art. 336 c.p.p. e della relativa procura speciale, della nomina del difensore e della rinuncia o revoca del mandato indicate dall'art. 107 c.p.p. avviene attraverso il servizio esposto sul PDP. Pertanto, va chiarito che per tali atti, essendo stato reso possibile il deposito nel portale del processo penale, l'invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge.

Il servizio di deposito del PDP è accessibile in area riservata dal PST (Portale Servizi Telematici) del Ministero della giustizia all'indirizzo http://pst.giustizia.it, solo ai soggetti iscritti nel ReGIndE (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici) con il ruolo di avvocato e previa loro identificazione informatica. Il predetto registro è gestito dal Ministero della giustizia e contiene i dati identificativi nonché l'indirizzo di PEC (Posta Elettronica Certificata) dei soggetti abilitati esterni, tra i quali vi sono anche i professionisti iscritti al consiglio dell'ordine degli avvocati.

Il PDP ha la duplice natura di applicativo informatico e di servizio automatizzato di “web front office”, entrambe le sue funzioni sono strutturalmente deputate alla gestione del flusso documentale proveniente da utenti esterni agli uffici giudiziari con modalità selettive di importazione dei documenti informatici nei sistemi digitali del Ministero della giustizia.

Gli atti del procedimento ed i documenti allegati sono telematicamente depositati dai difensori nell'ufficio giudiziario avvalendosi del PDP secondo la specifica procedura prevista dagli artt. 4 e ss. del provvedimento del DGSIA del 24.2.2021.

Quest'ultima disposizione direttoriale (rimodulando sensibilmente le specifiche tecniche inizialmente impartite con i provvedimenti dell'11 maggio 2020 e del 4 novembre 2020) ha stabilito anche il formato dell'atto del procedimento e dei documenti allegati in forma di documento informatico depositabili telematicamente dal difensore presso l'ufficio del pubblico ministero, vediamo in che termini:

- l'atto del procedimento in forma di documento informatico deve essere in formato PDF con dimensioni cm 21,00 per 29,70 (formato A4), essere ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti (non essendo ammessa la scansione di immagini deve quindi trattarsi di un documento “nativo digitale”) ed essere sottoscritto con firma digitale,

- i documenti allegati all'atto del procedimento in forma di documento informatico devono essere in formato PDF con dimensioni cm 21,00 per 29,70 (formato A4) ed essere sottoscritti con firma digitale solo nei casi previsti dalla legge; di conseguenza, i documenti allegati non devono necessariamente essere “nativi digitali”, tanto è vero che non ne è esclusa la generazione attraverso la scansione di immagini e, pertanto, argomentando dalla sopra citata norma tecnica direttoriale nonché dall' espressa previsione di uno standard di scansione da analogico (l'art.5 comma 7 provvedimento del DGSIA del 24.2.2021 stabilisce che “Se il documento è acquisito attraverso scansione di documento analogico dovrà essere in bianco e nero ed avere una risoluzione pari a 200 dpi”), deve ritenersi ammessa, al fine di effettuare la produzione degli allegati da inserire nel PDP, la realizzazione di documenti informatici per immagine provenienti da documenti formati in origine su supporto analogico, i quali dovranno essere firmati digitalmente solo nel caso la legge espressamente lo preveda (a tale forma vincolata è riconducibile il novero degli “allegati” di cui all' art.24, commi 6-bis e ss., del d.l. n. 137/2020 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 i quali devono essere trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore “per conformità all'originale”),

- la nomina, la revoca, la procura speciale, la denuncia e la querela, se depositati come atto principale, sono ammesse anche quando rispettano i sopra citati requisiti dei meri documenti allegati (la disposizione formulata dall' art. 5, comma 3, del provvedimento DGSIA del 24.2.2021 risulta, quindi, ammettere sia il deposito telematico di tali atti anche quando siano documenti informatici per immagine provenienti da documenti formati in origine su supporto analogico, sia la concorrenza su gli stessi atti di una firma digitale con quella analogica in caso di atto firmato da più soggetti; fermo restando che, in generale, gli atti possono essere sempre firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante).

La menzionata disciplina è ormai sostanzialmente analoga a quella dei documenti allegati all'atto del procedimento in forma di documento informatico inviati dal difensore mediante PEC (Posta Elettronica Certificata). Infatti, ai sensi dell'art. 3 del provvedimento n.10791 del DGSIA in data 9 novembre 2020 intervenuto a disciplinare i formati e le modalità di deposito telematico con PEC, il documento allegato all'atto del procedimento in forma di documento informatico, depositabile a mezzo PEC presso l'ufficio del pubblico ministero, non necessita di sottoscrizione con firma digitale o firma elettronica qualificata.

Tale complessivo assetto (determinatosi proprio con le menzionate modifiche introdotte da DGSIA in data 24 febbraio 2021 rimodulando le disposizioni dell'11 maggio 2020 e del 4 novembre 2020) risulta ora più congruente con le finalità di certezza connaturali al deposito dei meri “documenti allegati” nel procedimento penale, specie allorché tali documenti informatici non sono manifestazione della dichiarazione di chi li ha formati.

Va, poi, evidenziato che al deposito della nomina deve essere sempre allegato un “atto abilitante” (ovvero un atto da cui risulti per il difensore la conoscenza dell'esistenza di un procedimento relativo al proprio assistito e dell' associato numero di Registro) qualora il procedimento sia in fase di indagine preliminare e non sia stato ancora emesso o non sia previsto uno degli avvisi di cui agli artt. 408, 411 o 415-bis c.p.p. (art. 5 comma 4 del provvedimento del DGSIA del 24 febbraio 2021). Tale previsione tende a consentire l'immediato “allineamento telematico” tra la nomina ed il procedimento penale (si pensi, ad esempio, al tipico atto abilitante costituito dalla certificazione delle informazioni richieste ex art. 335 c.p.p. che conterrà gli elementi di pronta individuazione del singolo procedimento nel quale si intenda depositare la nomina).

Secondo le originarie disposizioni della DGSIA (provvedimenti dell'11.5.2020 e del 4.11.2020) prima di poter procedere al deposito telematico dell'atto del procedimento o del documento allegato, il depositante doveva preliminarmente ottenere l'annotazione nel Re.Ge.WEB (il modulo del sistema informatico per la gestione dei registri di cancelleria) della sua nomina di difensore dell'indagato la quale doveva essere accettata digitalmente dalla segreteria del pubblico ministero.

La predetta preventiva annotazione della nomina del difensore, infatti, era “requisito indispensabile per il deposito degli atti del procedimento e dei documenti allegati” (art. 5, comma 1, del provvedimento del DGSIA n.5447 dell'11 maggio 2020, richiamato dall' art. 4 del provvedimento direttoriale n.10667); sicché, solo dopo <<l'accettazione>> della nomina da parte del sistema si poteva procedere con il deposito degli atti del procedimento e dei documenti allegati.

Alla luce delle nuove disposizioni della DGSIA la preventiva annotazione nel Re.Ge.WEB della nomina del difensore è ormai requisito indispensabile solo per ottenere visibilità dei procedimenti autorizzati (art. 6 del provvedimento DGSIA del 24.2.2021), conseguentemente, è ora possibile operare il contemporaneo deposito della nomina e degli ulteriori atti del procedimento. L'innovazione evita così di segmentare informaticamente l'acquisizione dei documenti in due distinti sottoprocedimenti (uno volto alla acquisizione del nomina del difensore e l'altro diretto al materiale conseguimento degli ulteriori atti ed allegati) superando lo iato esistente tra il deposito della nomina nel PDP, il deposito del documento e la loro effettiva acquisizione ad opera del sistema e del personale amministrativo che avrebbe potuto incidere sulla tempestività dell'osservanza dei termini ad opera del difensore.

L'applicativo, al fine di acquisire validamente gli atti inseriti nel PDP, procede (previa verifica degli standard tecnici del formato dei file) ad una elaborazione automatizzata, anche con l'ausilio di un sistema di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR: Optical Character Recognition), dei documenti informatici depositati dal difensore. Dopo tale riconoscimento l'applicativo effettua l'analisi algoritmica del testo del documento, verificando anche automaticamente la coerenza fra le informazioni fornite dal difensore al momento dell'accesso al portale e quelle riportate nel documento stesso, onde associarlo correttamente al procedimento per il quale se ne chiede il deposito.

Conclusa questa prima fase di controlli automatizzati, il documento e le informazioni fornite dal depositante vengono traslate nella disponibilità informatica della segreteria del pubblico ministero che potrà, così, gestire una seconda fase di controlli “manuali”, operando, secondo i limiti definiti dall'esito delle verifiche automatizzate del sistema, un accertamento definitivo della congruenza tra il documento informatico, i dati forniti dal depositante ed il procedimento penale pendente presso l'ufficio giudiziario.

Nelle more di questa seconda fase dei controlli, al difensore, al quale sarà rilasciata dal sistema una ricevuta automatizzata, non resterà che attendere i tempi materiali di gestione della procedura digitale ad opera della segreteria del pubblico ministero. Quest'ultima, avvalendosi dell'ausilio dell'esito dei preventivi controlli automatici eseguiti dai sistemi, potrà accettare o rifiutare il deposito (art. 8 del provvedimento del DGSIA in data 24.2.2021). Il difensore potrà verificare lo stato dei suoi depositi accedendo al PDP e consultandone l'esito.

Va rilevato che l' art. 6, d.l. 1° aprile 2021, n. 44 ha novellato l'art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prevedendo il comma 2-bis secondo il quale “il malfunzionamento del portale del processo penale telematico è attestato dal Direttore generale per i servizi informativi automatizzati, è segnalato sul Portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia e costituisce caso di forza maggiore ai sensi dell'art. 175 c.p.p.”.

Pertanto, ai difensori competerà, per far valere il malfunzionamento del portale del processo penale telematico (che costituisce quindi un impedimento oggettivo ex lege), ai sensi dell'art.175 c.p.p., la facoltà di essere restituiti nei termini stabiliti a pena di decadenza utilizzando una prova estremamente semplificata che sarà possibile fornire acquisendo un‘attestazione tecnica del DGSIA direttamente dal sito internet del Ministero della giustizia.

Qualora il blocco operativo del PDP fosse, invece, imputabile a problematiche tecniche non di tipo generalizzato (o comunque non segnalate sul Portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia), ma relative al singolo Ufficio giudiziario o alla singola segreteria del PM, i difensori potranno, comunque, fornire una prova (alternativa alla mera produzione dell' attestazione della DGSIA) secondo lo schema ordinario dell' art. 175 c.p.p. per far valere la forza maggiore determinata dai singoli inconvenienti tecnici del servizio del portale.

Nei casi di malfunzionamento del portale del processo penale telematico l'art. 6, d.l. 1° aprile 2021 n.44 ha, comunque, previsto che “fino alla riattivazione dei sistemi, l'autorità giudiziaria procedente può autorizzare il deposito di singoli atti e documenti in formato analogico”, ciò all' evidente fine di evitare, specie nei casi di urgenza, che i difensori siano costretti ad attivare successivamente i meccanismi recuperatori del termine per effettuare il deposito telematico momentaneamente impedito da cause tecniche.

A margine di tale normativa dedicata ai casi di problematiche “bloccanti” del sistema del PDP, il Legislatore ha anche introdotto un'opportuna disposizione di chiusura secondo la quale “l'autorità giudiziaria può autorizzare, altresì, il deposito di singoli atti e documenti in formato analogico per ragioni specifiche ed eccezionali” (art. 24, comma 2-ter, siccome novellato dall' art. 6, d.l. 1° aprile 2021, n.44). La previsione risulta disciplinare tutti quei casi, anche diversi dagli improvvisi blocchi funzionali del sistema del PDP, idonei a rallentare le attività urgenti o, comunque, essenziali del procedimento penale (si pensi, ad esempio, alla necessità per i difensori di depositare “allegati” non facilmente convertibili in formati conformi alle specifiche tecniche del PDP).

Le udienze in collegamento da remoto: solo nella fase delle indagini preliminari?

La legislazione emergenziale ha introdotto, oltre alle modalità telematiche di trasmissione degli atti, anche la possibilità di celebrare le udienze in collegamento da remoto, modalità, questa, realizzata utilizzando lo strumento tecnico di Microsoft-Teams (messo a disposizione dal Direttore Generale dei Sistemi Informatizzati ed Automatizzati del Ministero della Giustizia) e che, laddove sia tecnicamente possibile (nel senso che le strutture degli uffici giudiziari siano dotate dei dispositivi necessari e analoghi dispositivi siano presenti in sufficienza presso le salette delle carceri e gli uffici di polizia giudiziaria), si rivela ancora necessaria, qualora debba essere scongiurato o comunque fronteggiato il rischio di diffusione del contagio da Covid-19.

Sul punto è necessario un chiarimento.

Pur potendo essere tra loro collegati, una cosa è la partecipazione da remoto all'udienza da parte dell'imputato detenuto; altra cosa – non necessariamente coincidente con la prima – è l'udienza in collegamento da remoto.

La partecipazione alle udienze mediante collegamenti da remoto degli imputati detenuti, internati, o in stato di custodia cautelare trova agli artt. 146 bis e 146 ter disp. att. c.p.p., recentemente implementati dalla Riforma Orlando, ossia nei meccanismi della giustizia penale a distanza, la propria normativa di riferimento. Si tratta, in concreto, dell'utilizzo di specifici impianti, denominati MVC-1 (Multi-Video-Collegamento), collocati nei palazzi di giustizia e nei luoghi di detenzione.

Il sistema cd. della videoconferenza però – ormai e già da tempo ritenuto compatibile con i principi costituzionali e convenzionali – non era da solo in grado di fronteggiare il pericolo della diffusione del contagio da covid-19 ed è per questo motivo che il legislatore dell'emergenza ha affiancato ad esso quello dei collegamenti da remoto, realizzati mediante il sistema individuato dal DGSIA in Microsofr-teams.

A differenza dunque della partecipazione a distanza dell'imputato detenuto, alle udienze penali “virtuali”, cd. in collegamento da remoto, così come disciplinate attualmente dall'art. 23, d.l. 137/2020, convertito dalla legge n. 176/2020, le parti processuali (e volendo, in base all'attuale assetto normativo, anche lo stesso giudice, a differenza del suo ausiliario che, a norma dell'art. 23, co. 7 d.l. cit, deve essere presente in ufficio, potendo accedere solo da lì ai registri informatici) possono tutte collegarsi da remoto, ossia in un luogo diverso dall'aula di udienza “fisica” ed è questa la modalità di celebrazione che è stata prevista, in via del tutto eccezionale, proprio dalla normativa emergenziale. Le modalità di svolgimento delle udienze sono fissate dall'art. 23 d.l. cit ed esse si sostanziano nella comunicazione da parte della cancelleria del giorno ora e modalità del collegamento; nella presenza nell'aula di udienza dell'ausiliario del giudicie; nell'attestazione da parte del difensore dell'identità degli assistiti, se liberi e presenti presso lo studio del legale, da parte dell'ufficiale di polizia giudiziaria attrezzato, se agli arresti domiciliari; nella possibilità per il giudice, sia in composizione monocratica ma anche in composizione collegiale, di partecipare da luogo diverso dell'ufficio.

Il ricorso alle udienze celebrate in collegamento da remoto si è reso infatti necessario sin dal primo lockdown, nel periodo in cui è stata disposta la sospensione ex lege delle attività giudiziaria, con la sola eccezione di alcuni ambiti e settori; in questo contesto, l'art. 83 c. 3 d.l. n. 18/2020 ha previsto che non potessero essere sospese alcune attività ed ha quindi stabilito che venisse assicurata la partecipazione alle udienze delle persone detenute (nonché di quelle internate o in stato di custodia cautelare) mediante, ove possibile, videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le norme sul dibattimento a distanza, previste ai commi 3, 4 e 5 dell'art. 146-bis disp att. c.p.p. (e lo strumento utilizzato è stato appunto individuato in Microsoft-Teams)

Tale disposizione è stata di fatto ripresa anche nei successivi provvedimenti normativi ed anche quando l'attività giudiziaria è generalmente ripresa “in presenza” essa ha continuato ad essere di fatto disciplinata, fino all'ultimo provvedimento normativo, costituito dall'art.23 d.l. 29 ottobre 2020, n. 137, convertito con modifiche dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Come nel caso del deposito telematico di atti da parte dei difensori, anche le udienze penali in collegamento da remoto saranno in vigore fino al 31 luglio 2021, e ciò a differenza della partecipazione a distanza dell'imputato detenuto (cd. Videocollegamento) che, in quanto disciplinato dagli artt 146 e bis e 146 ter disp. att. c.p.p., continuerà ad essere in vigore anche oltre quella data.

In ogni caso, attualmente e fino a quando continuerà ad essere in vigore la normativa emergenziale, anche la partecipazione alle udienze penali delle persone detenute o in stato di custodia cautelare continuerà ad essere affidata, oltre che al videocollegamento, anche ai collegamenti da remoto, e ciò per la loro facilità applicativa (il sistema Microsoft – teams è infatti scaricabile su qualunque dispositivo e consente una partecipazione diffusa, a differenza del videocollegamento che presuppone aule apposite dedicate) ed in questo i punti “di contatto” tra la partecipazione a distanza dell'imputato detenuto e le udienze penali in collegamento da remoto, avendo il legislatore dell'emergenza, all'art. 23, c. 4 d.l. n. 137/2020, e, prim'ancora con gli artt. 146-bis e -ter disp. att. c.p.p., disciplinato la partecipazione dell'imputato all'udienza fisica mediante collegamenti da remoto.

Tanto chiarito - e sgombrato il campo da un equivoco di fondo con riferimento alla partecipazione a distanza dell'imputato detenuto - alle udienze in collegamento da remoto disciplinate come detto esclusivamente dalla normativa emergenziale, si fa ricorso soprattutto nella fase delle indagini preliminari e ciò in ragione del disposto normativo di cui all'art. 23. d.l. n. 137/2020 che al comma 2, sia nella sua originaria formulazione, sia in sede di conversione, consente, il ricorso all'udienza da remoto in caso di interrogatorio di garanzia (di cui all'art. 294 c.p.p.), richiamando, in parte de qua, la disciplina della celebrazione da remoto dettata nella prima parte comma 2 con riferimento alle attività di indagine compiute dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria.

La norma in questione individua, al comma 5, un regime apposito per le udienze da remoto, stabilendo, in generale, che “le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice” possano essere tenute, laddove ciò sia “tecnicamente” possibile – nel senso sopra precisato - mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia.

La norma pone tuttavia un'importante eccezione, stabilendo che l'udienza preliminare e l'udienza dibattimentale possono essere celebrate da remoto solo con il consenso delle parti e che non è mai possibile procedere da remoto alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonché in caso di incidente probatorio, e infine per la discussione in sede di giudizio abbreviato o all'esito del dibattimento.

Per la celebrazione delle udienze da remoto residua quindi uno spazio più ampio nella fase delle indagini preliminari, rispetto alla fase dibattimentale, connotata essenzialmente da attività istruttoria che, a rigore, non è oggi consentita.

Nella fase delle indagini preliminari, è quindi possibile celebrare in collegamento da remoto, oltre agli interrogatori di garanzia, anche le udienze di convalida di arresto o fermo; le udienze camerali su incidente di esecuzione; le udienze preliminari, sempre che le parti vi consentano; mentre è escluso che possa procedersi con queste modalità al giudizio abbreviato, così come è escluso che possa procedersi all'incidente probatorio.

Nella fase dibattimentale, il ricorso alle udienze in collegamento da remoto è decisamente più limitato.

Le udienze istruttorie e le udienze di mera discussione non possono essere celebrate in forma virtuale, nemmeno con il consenso delle parti: è questa una previsione espressa, contenuta all'art. 23, co. 5 d.l. cit, ed essa non sembra lasciare margini per soluzioni alternative o diverse

L'ambito applicativo della norma di cui all'art. 23 d.l. cit riguarda allora essenzialmente le udienze di convalida dell'arresto e il giudizio direttissimo, esclusa la fase eventuale del giudizio abbreviato (non mancano tuttavia uffici giudiziari che, valorizzando il consenso delle parti, consentono il ricorso al collegamento da remoto anche nel caso di giudizio abbreviato che segue all'udienza di convalida dell'arresto, sostenendosi come l'instaurazione del rito abbreviato a seguito dell'udienza di convalida rappresenti una ipotesi diversa dal rito abbreviato ordinario, non essendo prevista dall'art. 441 c.p.p., bensì dall'art. 451 c.p.p. e valorizzando quindi la circostanza che la definizione con questo tipo rito alternativo viene chiesta nell'ambito del giudizio direttissimo, per il quale non vi è alcuna preclusione normativa, sempre che vi sia il consenso delle parti); le prime udienze cd. di smistamento, in cui non si svolge attività istruttoria e fino dunque a questa fase (vi sono anche tribunali che ammettono la celebrazione da remoto fino alla richiesta e all'ammissione delle prove); tutti i procedimenti camerali, tra i quali soprattutto gli incidenti di esecuzione, che rappresentano una fetta comunque non irrilevante delle procedure pendenti innanzi ai tribunali.

Le udienze camerali in collegamento da remoto possono però essere celebrate anche nel giudizio innanzi alle corti di appello, ed è questa un'altra novità introdotta dalla normativa emergenziale.

Per quanto riguarda il giudizio che si svolge innanzi alle corti di appello è prevista - accanto alla regola generale della trattazione scritta dei ricorsi avverso le sentenze e i decreti in materia di misure di prevenzione – la possibilità, in via eccezionale, di procedere alla trattazione dei ricorsi avverso le sentenze e i decreti in materia di misure di prevenzione con discussione, in presenza ovvero da remoto (artt. 23 bis, comma 1, ultima parte, e 7, l. n. 176/2020) e la possibilità in ogni caso di procedere alla trattazione da remoto, purchè vi sia però con il consenso delle parti (ex artt. 23, comma 5, l. n. 176/2020).

Non solo.

Le regole dettate dall'art. 23, commi 4, 5, 7, 9 d.l. n. 137/2020 cit. valgono anche per i procedimenti che si svolgono in unico grado innanzi alla Corte di Appello (le revisioni ex art. 630 e ss c.p.p. e le revocazioni ex art. 28, d.lgs 159/2011; art. 314 c.p.p.; art. 17, l. 69/2005; art. 704 c.p.p.; art. 743 c.p.p.; art. 734 c.p.p.; art. 12, d.lgs. n.161/2010; art. 11 d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37, e le altre competenze attribuite in materia di cooperazione internazionale; 666 e ss c.p.p.; le opposizioni ex artt. 99 e 170 DPR 115/2002). Per esse è infatti previsto la possibilità che possano svolgersi da remoto, con le modalità ivi indicate.

Di particolare rilievo per questa fase processuale – essendo le deliberazioni della corte di appello tutte collegiali - è l'art. 23, c. 9 d.l. 137/2020 cit (non modificata in sede di conversione), a norma del quale il luogo da cui si collegano i magistrati mediante i collegamenti da remoto individuati dalla DGSIA (ossia attraverso Microsoft-teams) è considerato a tutti gli effetti di legge Camera di consiglio, ed in questi casi, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile. Queste disposizioni, dettate per la celebrazione delle udienze da remoto, non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto.

La norma in questione è richiamata anche per la decisione sui ricorsi per cassazione: è quindi applicabile, per la deliberazione da parte della Corte di cassazione, la regola della camera di consiglio a distanza, con dispositivo che viene deposito e comunicato alle parti, essendo esclusa la sua lettura immediata ex art. 615, c. 3 c.p.p.

Il giudizio cartolare in Corte d'Appello e in Cassazione

Innanzi alle corti di appello e nel giudizio innanzi alla corte di cassazione la normativa emergenziale ha previsto, per fronteggiare l'emergenza pandemica, il cd giudizio cartolare, ossia la trattazione scritta, che rappresenta la massima semplificazione possibile.

E se nel giudizio innanzi alle corti di appello questa modalità – che rappresenta la regola – conosce, come ipotesi eccezionale, la possibilità di celebrare anche udienze in collegamento da remoto, tale possibilità, innanzi alla Corte di cassazione manca del tutto, essendo solo previsto che il giudizio possa svolgersi con trattazione scritta.

Anche con riferimento a questi giudizi, in considerazione dello stretto nesso tra modalità procedimentali ‘eccezionali' individuate e la finalità specifica che con esse s'intende perseguire, ossia evitare la diffusione del contagio da Covid-19, è fissato lo stesso termine finale di cui all'art. 1, d.l. n.19/2020, convertito con modificazioni nella legge n. 35/2020, ossia, allo stato, il 31 luglio 2021.

L'ultima normativa emergenziale, per il giudizio di appello - introdotto dal d.l. 137 e dal d.l. 149/2020, il primo convertito nella legge n. 176 del 24 dicembre 2020 che ha, nel contempo, abrogato il secondo, riproducendone tuttavia “per incorporazione” i contenuti di talchè gli artt. 23 e 24, sono oggi i nuovi artt. 23 bis e 23 terha introdotto un procedimento camerale non partecipato, di struttura simile a quella già previsto, dalla stessa normativa emergenziale già con l'art. 83 d.l. n. 18/2020 cit. per la Corte di cassazione.

Il comma 12 ter dell'art. 83 del d.l. n. 18/2020, come modificato in sede di conversione dalla legge del 24 aprile 2020, n. 27, prevedeva, infatti, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 30 giugno 2020, per i procedimenti ex artt. 127 c.p.p. e 614 c.p.p. dinanzi alla Corte di Cassazione, la decisione in camera di consiglio senza la presenza delle parti. I termini per l'invio delle conclusioni erano stabiliti in quindici giorni antecedenti l'udienza per l'inizio delle richieste del P.G. e cinque giorni antecedenti l'udienza per le parti private. La richiesta di discussione orale poteva essere fatta dalle parti venticinque giorni prima dell'udienza e presentata a mezzo di posta certificata.

L'art. 23, c. 8 del d.l. 137/2020 (non modificato in sede di conversione) ha riproposto la previsione dell'udienza non partecipata quale regola per i procedimenti dinanzi alla Corte di Cassazione ed è stato poi il d.l. 149/2020 (ora articolo 23 bis l. 176/2020) ad aver esteso la una disciplina molto simile anche al giudizio di appello.

E così, innanzi alla Corte di cassazione, a norma dell'art. 23, c. 8 d.l. 137/2020 (non modificato come detto in sede di conversione) prevede ora quale regola ordinaria per il procedimento in Cassazione, sia per quello camerale partecipato ex art. 127 c.p.p. che in pubblica udienza ex art. 614 c.p.p., la trattazione senza l'intervento delle parti e del Procuratore Generale, salvo che una di esse faccia richiesta di trattazione orale; nel qual caso la richiesta deve pervenire entro il termine libero di 25 giorni dall'udienza ed inviata mediante posta elettronica certificata, e, dove richiesta da una parte privata, va fatta dal difensore abilitato ai sensi dell'art. 613 c.p.p.

In caso contrario, entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza il Procuratore Generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo posta elettronica certificata, che sarà comunicato ai difensori delle parti private, le quali, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, potranno trasmettere sempre a mezzo di posta elettronica certificata le proprie richieste.

Il procedimento partecipato, tanto quello disciplinato dall'art. 614 c.p.p. e che si svolge normalmente in udienza pubblica, nella quale le parti private sono rappresentate dai rispettivi difensori, quanto quello disciplinato dall'art. 127 c.p.p. (modalità, questa, normalmente utilizzata per i ricorsi in materia di misure cautelari personali e reali) diventa, quindi, di norma cartolare, lasciando salva la possibilità che una delle parti, pubblica o privata, chieda che si proceda a discussione orale.

Quindi, per il giudizio di cassazione la scelta è stata quella di non interrompere l'attività giudiziaria risolvendo i problemi posti dalla emergenza sanitaria con la adozione della procedura dell'art. 611 c.p.p. che, nel disciplinare in generale il procedimento in camera di consiglio, esclude la presenza delle parti e rappresenta la regola generale per la trattazione dei ricorsi avverso i provvedimenti non emessi nel dibattimento, salvo le sentenze emesse in giudizio abbreviato.

È comunque garantito il diritto pieno alla udienza “in presenza”, qualora vi sia volontà della parte che dovrà essere espressamente manifestata. È un diritto di scelta pieno ed incondizionato che, in particolare, vale a garantire che la disciplina emergenziale non deroghi al riconoscimento del diritto di rango costituzionale e convenzionale alla udienza pubblica.

Pur essendo la previsione della trattazione cartolare una modalità tipica ma non obbligatoria, essa è stata sinora (compreso il periodo di applicazione della simile disposizione del d.l. 18/2020), ampiamente accettata, considerato che del resto già nella prassi ordinaria larga parte dei procedimenti in cassazione si svolgono senza la presenza delle parti private che è facoltativa.

Per quanto riguarda il giudizio cartolare di appello, la normativa di riferimento è contenuta agli artt 23-bis, comma 1, 2, 3, 4, 7 (che riproducono l'abrogato art. 23 del d.l. 146/2020, c.d. Ristori bis, ad eccezione del comma 7 introdotto per la prima volta in sede di conversione) e 23, comma 9, d.l. 137/2020, come modificati dalla l. n. 176/2020, ed essa prevede, come regola generale, la trattazione scritta dei ricorsi avverso le sentenze di primo grado e i decreti in materia di misure di prevenzione.

Pertanto, dal 9 novembre 2020 (data di entrata in vigore del d.l. ristori bis) sino al termine, allo stato, del 31 luglio 2021 nei giudizi penali di appello proposti contro la sentenza di primo grado la Corte di Appello proceda in camera di consiglio senza partecipazione del P.G. e dei difensori delle parti, laddove non si debba rinnovare l'istruttoria dibattimentale e salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire.

Il procedimenti di trattazione scritta, al netto della disciplina transitoria fissata ai commi 5 e 6 dell'art. 23 bis cit., si svolge nei seguenti termini: la richiesta di discussione orale va formulata per iscritto dal Pubblico Ministero o dal difensore entro il termine, indicato come perentorio, di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della Corte di Appello per via telematica con PEC; entro lo stesso termine perentorio di quindici giorni e con le medesime modalità, l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza; quindi, entro il decimo giorno precedente l'udienza, il Pubblico Ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della Corte di Appello per via telematica con PEC; la cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica con le medesime modalità ai difensori delle altre parti; entro il quinto giorno antecedente l'udienza, i difensori delle parti private possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della Corte d'Appello sempre per via telematica con PEC; la Corte di Appello procede con le modalità di cui all'art. 23, c. 9, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge n. 176/2020 e, quindi, mediante collegamento da remoto, ed il dispositivo della decisione viene comunicato alle parti.

In conclusione

Cosa resterà della normativa emergenziale?

Allo stato, in base alla normativa penale attualmente in vigore, e prescindendo dal settore degli applicativi che era, è e sarà in vigore anche dopo la pandemia, è possibile affermare che l'assetto normativo “telematico” esistente prima dell'emergenza e che di fatto ha “convissuto” con essa, laddove le disposizioni legislative non vi abbiano derogato, continuerà a restare in vigore (in questo senso, il settore delle notificazioni in uscita dagli uffici giudiziari o le norme che disciplinano la partecipazione a distanza dell'imputato detenuto o internato); nell'ambito di quei settori che hanno trovato il proprio esclusivo fondamento nella normativa emergenziale, continuerà a sopravvivere solo ciò che è ancorato a norme che non abbiano un termine finale (il pensiero, in questo senso, va all'art. 221, co. 11, d.l. 34/2000 convertito in l. n. 77/2020, disposizione che non conosce un termine finale e che è al momento sospesa perchè derogata dall'art. 24 d.l. 137/2020 come convertito in l. n. 176/2020), salvo eventuali interventi governativi o parlamentari ad hoc che potrebbero lasciare in vita quei settori che hanno trovato la loro base nella normativa emergenziale e che, una volta attuati e quindi sperimentati, abbiano dato prova di offrire un valido e solido apporto alla giustizia.

Quali sono, in conclusione, i pilastri dell'attuale PPT?

A bene vedere, osservando l'attuale sistema del processo penale telematico, come disegnato dal Legislatore durante l'emergenza pandemica, si possono individuare tre i pilastri sui quali esso si fonda:

1) il deposito degli atti, sul portale o mediante invio con PEC;

2) la piattaforma digitale (su Microsoft Teams) sulla quale si celebrano le udienze virtuali;

3) il giudizio cartolare nelle fasi del gravame.

Il sistema complessivo sopradescritto ha visto intersecarsi due variabili che ne hanno influenzato i tempi e la capillarità di diffusione negli Uffici giudiziari: la necessità di modificare costantemente le caratteristiche tecnologiche di parte dei suoi pilastri fondanti e l'impossibilità di un uso omogeneo sul territorio nazionale di alcune delle tecnologie connesse a tali pilastri.

In particolare, il servizio del deposito atti telematico è stato in costante “divenire” avendo richiesto un'implementazione continua (abbiamo parlato non a caso addirittura di un ampio restyling per il PDP già a pochi mesi dal suo rilascio e subito dopo la sua versione “beta”) per essere adeguato alle concrete esigenze che si sono manifestate durante il suo concreto utilizzo (sono stati davvero strettissimi i tempi per confezionare un prodotto informatico “finito” che potesse effettivamente interagire dall' esterno con i registri informatizzati ed il sistema documentale giudiziario secondo le dinamiche del procedimento penale).

Le udienze virtuali in TEAMS hanno poi avuto una diffusione sul territorio nazionale direttamente proporzionale alla diffusione del contagio (vi sono uffici giudiziari che hanno ininterrottamente celebrato le direttissime in collegamento da remoto, con riflessi positivi, alla lunga, sulla facilità e rapidità nella loro celebrazione) e, soprattutto, agli eterogenei livelli di affidabilità locale delle infrastrutture di supporto alla connessione internet ed intranet.

In definitiva, laddove il servizio ha funzionato, godendo soprattutto della positiva congiuntura infrastrutturale oltre che degli sforzi di tutti gli operatori del mondo giudiziario, è stato usato ed, a parere di chi scrive, rappresenterà un fondamentale punto di partenza (e di non ritorno) per l'ulteriore sviluppo digitale della giustizia penale.

Come la normativa emergenziale ha inciso sul futuro sviluppo del PPT?

Il procedimento penale telematico durante la pandemia si è espanso ben oltre quanto sarebbe stato immaginabile in un periodo non emergenziale.

Non può negarsi che alcuni istituti del procedimento penale sono stati parzialmente rimodellati in vista della loro nuova dimensione telematica ed hanno assunto un'improvvisa ed inedita connotazione anche digitale.

Gli operatori del diritto sono stati, infatti, proiettati su piattaforme telematiche chiamate a surrogare le interrelazioni processuali in una dimensione dematerializzata.

Gli Uffici giudiziari hanno reso parzialmente virtuali le loro postazioni consentendo ai difensori di esercitare alcune facoltà procedimentali dal loro studio legale.

I registri penali e gli atti del procedimento penale sono stati resi consultabili, per i soggetti legittimati, attraverso la rete internet (con il felice superamento di un ormai risalente tabù tecnologico legato alla cybersecurity dei sistemi informatizzati del Ministero della giustizia).

In questo scenario, a suo modo rivoluzionario, sono stati quasi subito agitati gli spettri dei pericoli connessi alla fisica dematerializzazione delle funzioni giudiziarie e forensi; addirittura è stata lumeggiata la possibilità della definitiva riduzione del processo penale ad un luogo di confronto tra “avatar” di magistrati, avvocati ed altri soggetti del procedimento, tutti definitivamente svuotati della loro consistenza materiale.

Sarebbe, tuttavia, errato temere i progressi della telematica del processo penale e considerali, alla luce dei fatali limiti dell'esperienza emergenziale sviluppatasi in un contesto di inziale di effettiva inadeguatezza di alcuni strumenti tecnici, solo come forieri di limitazione delle garanzie e delle prerogative delle parti del processo.

È doveroso, invece, costruire un moderno procedimento penale che tenga conto delle grandi opportunità offerte dalle tecnologie più innovative e sofisticate per il compiuto esercizio delle facoltà processuali. Tante soluzioni tecniche e giuridiche (ottenute anche all' esito della rapida sperimentazione avvenuta nel corso della pandemia e che, come visto, ha finito per dare alla luce, più o meno consapevolmente, nuovi “istituti digitali”) si sono, infatti, rivelate rispondenti alle esigenze del procedimento penale nel pieno rispetto delle garanzie ad esso sottese.

Il progresso non può essere fermato, ma deve essere governato nel suo sviluppo; a tal fine è perciò, necessario realizzare un modello di processo penale tecnologicamente avanzato che tuteli le garanzie delle parti anche quando le stesse vengono declinate nei moderni territori digitali: questo deve essere il terreno di confronto, questo deve essere lo spirito profondo della digital transformation giudiziaria il cui futuro è solo nelle nostre mani, oggi più che mai.

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