Tra Fondo di tesoreria e Fondo di garanzia: ultime novità giurisprudenziali sul pagamento del TFR nell'insolvenza

Alessandro Corrado
07 Aprile 2021

Tre recenti pronunce giurisprudenziali, una di merito (Trib. Roma, sez. lav., 12 ottobre 2020, n. 10414) e due di legittimità (Cass., sez. lav., 23 febbraio 2021, n. 4897; Cass. 16 marzo 2021, n. 7352) offrono l'occasione per fare il punto della situazione in merito al tema del pagamento del trattamento di fine rapporto nell'ambito dell'insolvenza del datore di lavoro.

Tre recenti pronunce giurisprudenziali, una di merito (Trib. Roma, sez. lav., 12 ottobre 2020, n. 10414) e due di legittimità (Cass., sez. lav., 23 febbraio 2021, n. 4897; Cass. 16 marzo 2021, n. 7352) offrono l'occasione per fare il punto della situazione in merito al tema del pagamento del trattamento di fine rapporto nell'ambito dell'insolvenza del datore di lavoro.

Considerate insieme, per la ricchezza della casistica e delle questioni affrontate, le sentenze in commento possono a buon diritto essere considerate una minirassegna molto utile per districarsi.

La frequenza delle decisioni giurisprudenziali sul tema conferma inoltre in modo indiretto il largo utilizzo dei Fondi di garanzia e tesoreria e la loro grande utilità nel soddisfare le esigenze per le quali sono stati istituiti.

Con sentenza del 12 ottobre 2020, la Sezione Lavoro del Tribunale di Roma ha stabilito che l'ammissione al concordato preventivo non esclude l'obbligo di pagare al dipendente il TFR accantonato presso il Fondo di tesoreria.

Un lavoratore aveva infatti chiesto ed ottenuto – nei confronti della datrice di lavoro – l'emissione di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dell'importo dovuto a tale titolo. Quest'ultima aveva presentato opposizione sostenendo che la pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese ex art. 161 l.f. determina per il debitore il divieto di eseguire pagamenti per obbligazioni sorte anteriormente alla presentazione del ricorso e per i creditori quello di intraprendere azioni esecutive (art. 168 l.f.).

La società precisava in ogni caso di aver attivato presso l'Inps la procedura per consentire ai propri ex dipendenti di percepire il pagamento del TFR accantonato al Fondo di tesoreria, mentre quello accantonato in azienda sarebbe stato erogato dopo l'apertura della procedura di concordato preventivo.

Il Tribunale di Roma, pur dando atto che la società aveva in effetti presentato ricorso per l'ammissione al concordato con riserva e domandato al Fondo di tesoreria Inps l'erogazione del trattamento di fine rapporto al lavoratore, ha disatteso l'opposizione richiamando diversi precedenti di legittimità secondo cui il lavoratore ha diritto ad insinuare al passivo le quote maturate e non versate dal datore di lavoro al Fondo di tesoreria perché quest'ultimo “non si limita ad essere un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarità passiva dell'obbligazione di versare il TFR stesso” (Cass. n. 12009/2018).

Pertanto, il tribunale ha concluso che il lavoratore può rivolgersi alla datrice di lavoro che rimane legittimata passiva per l'obbligazione di versamento del TFR ed ha pertanto condannato la società negando che la richiesta di ammissione di un decreto ingiuntivo e la notificazione del precetto possano integrare azioni esecutive vietate dall'art. 168, comma 1, l.f.

La seconda sentenza in rassegna, resa il 23 febbraio 2021, n. 4897, riguarda invece il Fondo di garanzia, in merito al quale la Cassazione ha ribadito i propri numerosi precedenti (Cass. n. 10875 e 20675 del 2013; n. 12971 del 2014; n. 19277 del 2018) con cui sono state chiarite le condizioni necessarie per l'accesso ai fini del pagamento del TFR, ovvero: insolvenza dell'effettivo datore di lavoro; verifica dell'esistenza e misura del credito vantato dal lavoratore, nell'ambito del procedimento di accertamento dei crediti; cessazione del rapporto ed insolvenza del datore di lavoro alla data di cessazione.

Proprio partendo da tali imprescindibili presupposti, la Suprema Corte – richiamando le argomentazioni di Cass. n. 19277/2018 secondo cui quello del TFR garantito dal Fondo Inps è un diritto di credito di una prestazione previdenziale, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato dal lavoratore verso il proprio datore di lavoro – ha disatteso la domanda di pagamento del TFR maturato ed insinuato al passivo da una lavoratrice il cui rapporto era stato trasferito (ed era pertanto continuato) con la società cessionaria dell'azienda, dal momento che insolvente è un soggetto diverso da quello divenuto effettivo datore di lavoro sulla base del trasferimento d'azienda ed il TFR è esigibile solo al momento della cessazione del rapporto.

L'Inps, chiarisce infatti la Cassazione, non è vincolato al provvedimento di ammissione al passivo della quota maturata a carico del datore di lavoro cedente, in quanto estraneo alla procedura.

Di conseguenza, non può trovare applicazione il principio stabilito dalla sentenza di Cassazione n. 26021/18 con cui era stato riconosciuto il diritto di un lavoratore trasferito ai sensi dell'art. 2112 c.c. nell'ambito di un contratto di affitto d'azienda e retrocesso all'originario datore di lavoro nel frattempo fallito, licenziato dalla curatela ed ammesso al passivo per l'intero credito di TFR comprese le quote di maturate presso l'affittuaria, sul presupposto che la società fallita ne rispondesse quale coobbligata in via solidale (mi permetto di rinviare al Blog del sottoscritto del 3 dicembre 2018 “Retrocessione d'azienda a fallimento e TFR maturato durante l'affitto: la Cassazione rimette la palla al centro”).

Tale orientamento giurisprudenziale, ineccepibile dal punto di vista formale, rischia ora di essere messo in discussione da quello che sta prendendo piede sulla scorta della novità introdotta dal Codice della crisi e dell'insolvenza (il nuovo comma 5 bis dell'art. 47, legge 428/90 in attesa di entrare in vigore) secondo cui nelle ipotesi di trasferimento d'azienda di imprese insolventi il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell'azienda ed il Fondo di garanzia interviene anche a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell'acquirente, dal momento che “la data del trasferimento tiene luogo di quella della cessazione del rapporto di lavoro”.

In questo senso si è infatti espressa la Corte d'Appello di Milano l'11 febbraio 2019 (cfr. A. Corrado, Trasferimento d'azienda e intervento del Fondo di garanzia Inps a favore del lavoratore trasferito “in continuità”, in questo portale, 23 luglio 2019), anticipando di fatto l'entrata in vigore della previsione del Codice della crisi e dell'insolvenza ed assicurando l'intervento del Fondo di garanzia nel frequentissimo caso in cui il rapporto di lavoro continui con il cessionario, ma non sia ancora giunto a cessazione.

Completa la rassegna la sentenza 16 marzo 2021, n. 7352 con cui il Supremo Collegio – decidendo una questione già affrontata – conferma l'orientamento che nega all'imprenditore committente ed obbligato in solido con il datore di lavoro insolvente la possibilità di surrogarsi nella posizione del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia in quanto la posizione giuridica soggettiva del committente che, in forza dell'art. 29, d.lgs. n. 276/2003 corrisponda i trattamenti retributivi ed il TFR ai dipendenti del proprio appaltatore non è riconducibile a quella dell'”avente diritto dal lavoratore”, beneficiario della garanzia del Fondo.

Pertanto, come ha già avuto occasione di affermare con le sentenze 20 maggio 2016, nn. 10543 e 10544, la Cassazione stabilisce che il committente adempie ad un'obbligazione propria nascente dalla legge e, pertanto, non diviene avente diritto dal lavoratore e non ha titolo per ottenere l'intervento del Fondo di garanzia di cui all'art. 2, legge n. 297/1982, essendo piuttosto legittimato a surrogarsi nei diritti del lavoratore verso il datore di lavoro-appaltatore ai sensi dell'art. 1203 n. 3 c.c.