Amministrazione di sostegno

09 Aprile 2021

Fino al marzo 2004, la tutela civilistica dell'infermo di mente era esclusivamente affidata ai tradizionali istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, i quali avevano l'effetto di eliminare, completamente o parzialmente, la capacità di agire dell'infermo.In seguito all'approvazione della l. 9 gennaio 2004, n. 6, istitutiva dell'amministrazione sostegno, le misure di protezione dei disabili si sono arricchite della nuova figura dell'amministratore di sostegno.
Inquadramento

La capacità di agire indica l'attitudine del soggetto a compiere e ricevere atti giuridici incidenti sulla propria sfera personale e patrimoniale. La capacità di agire si acquista, di regola, al compimento del 18º anno di età (art. 2 c.c.); ossia, in forza di presunzione legale compiuta dall'ordinamento giuridico e non vincibile da prova contraria, quando la persona viene presuntivamente ritenuta matura e pertanto idonea alla partecipazione del traffico giuridico. Il contratto concluso dal minore di età è annullabile (art. 1425 c.c.).

La regola, in tema di acquisto della capacità al compimento della maggiore età, subisce eccezione laddove il maggiorenne non sia, comunque, in grado, a causa di disabilità che l'affligge, di gestire i propri interessi. In tal caso, la capacità di agire può essere limitata o completamente eliminata in forza di istituti di protezione delle persone prive in tutto in parte di autonomia, contenuti nel titolo XII del libro I del codice civile (artt. 404-432 c.c.): amministrazione di sostegno, interdizione giudiziale ed inabilitazione. Il minore è quindi persona priva della capacità di agire a causa del suo ancora insufficiente sviluppo mentale, esistenziale e personologico (salvo il residuale caso dell'emancipazione; art. 390 e ss. c.c.). Viceversa, il maggiorenne è tendenzialmente considerato soggetto in grado di partecipare al commercio giuridico e quindi in grado di compiere e ricevere atti negoziali. Tuttavia, la capacità può essere ridotta o ablata a fronte del riscontro della sua incapacità gestionale.

Fino al marzo 2004, la tutela civilistica dell'infermo di mente era esclusivamente affidata ai tradizionali istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, i quali avevano l'effetto di eliminare, completamente o parzialmente, la capacità di agire dell'infermo di mente. In seguito all'approvazione della l. 9 gennaio 2004, n. 6, istitutiva dell'amministrazione sostegno, le misure di protezione dei disabili si sono arricchite della nuova figura dell'amministrazione di sostegno, in tal modo innovando una tradizione giuridica risalente al diritto romano, che conosceva le figure del curator furiosi e del curator prodigi. Sono state così accolte, dopo oltre un trentennio di dibattiti nella nostra civilistica, le istanze volte al superamento delle obsolete ed inadeguate forme di protezione giuridica del sofferente psichico, grazie all'introduzione, sulla scorta di suggestioni straniere, di una misura protettiva (l'amministrazione di sostegno) in grado di superare le rigidità e gli sproporzionati effetti giuridici che ancor oggi interdizione ed inabilitazione inducono sulla condizione giuridica dell'infermo di mente.

L'amministrazione di sostegno

L'amministrazione di sostegno (introdotta dalla

l. 9 gennaio 2004, n. 6

) è primaria misura di protezione dell'essere umano in condizione di difficoltà, un istituto dotato di amplissimo spettro applicativo. La nomina dell'amministratore di sostegno avviene mediante pronunzia di decreto da parte del giudice tutelare del luogo dove la persona ha la residenza o il domicilio effettivo (

art. 404 c.c.

).

La nomina dell'amministratore di sostegno si rende necessaria in presenza dei seguenti tre presupposti normativi espressi:

a) la persona è affetta da un'infermità, ovvero da una menomazione fisica o psichica;

b) si trova nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi;

c) la disabilità della persona incide negativamente sulla gestione degli interessi personali o patrimoniali (c.d. nesso eziologico) (

art. 404 c.c.

).

Come si vede, la nomina di un sostituto o di un assistente per la persona non in grado di gestire i propri interessi presuppone la congiunta sussistenza di questi tre presupposti: a) infermità fisica o psichica, b) incapacità gestionale, c) e nesso eziologico tra l'una e l'altra. In presenza di questa condizione personale, ovvero per il disabile non in grado di gestirsi autonomamente, è necessario predisporre un'adeguata forma di protezione giuridica, “con la minor limitazione possibile della capacità di agire” (come ha cura di precisare l'

art. 1 l. n. 6

/

2004

).

Il giudice tutelare, investito della richiesta di nomina (che può essere presentata personalmente anche senza l'ausilio di un difensore), deve confezionare un decreto (un vero e proprio “abito su misura” cucito sulle esigenze personali del disabile) ove vengono indicati specifici atti giuridici per i quali questi viene sostituito e rappresentato dall'amministratore di sostegno, ovvero, nei casi meno gravi, semplicemente assistito (

art. 405, comma

5

, n. 4, c.c.

) dato che, per quelle specifiche attività giuridiche, la persona non è in grado di curare i propri interessi, personali e/o patrimoniali. L'ambito di attività dell'a.d.s. è variamente conformabile da parte del g.t. e può concretarsi nell'espletamento di uno o più atti di natura patrimoniale, come pure nel compimento di attività di cura della persona (si pensi, ad es., all'espressione del consenso informato in materia medico-sanitaria, in luogo del disabile). Non va peraltro dimenticato che la misura dell'amministrazione sostegno può essere attivata unicamente nei confronti di persona maggiore degli anni 18, come emerge dall'

art. 405, comma

2

, c.c.

, che si riferisce all'apertura dell'amministrazione nei confronti di minore non emancipato nell'ultimo anno della sua minore età, col chè la nomina diventa esecutiva dal momento in cui la maggiore età è raggiunta. In tal caso, non si ravvisa soluzione di continuità tra incapacità legale d'agire (in capo al minore) e incapacità giudiziale scaturente dalla previsione contenuta nel decreto di nomina.

Nomina e pubblicità

Il giudice tutelare, una volta conclusa l'istruzione del procedimento, se ritiene di accogliere il ricorso, deve individuare la figura dell'amministratore di sostegno. Normalmente, l'amministratore di sostegno è scelto nella persona nei cui confronti l'amministrato ripone piena fiducia. Il legislatore non ha fissato un ordine di eligibili all'ufficio, predeterminandolo in modo rigido e secondo un prestabilito ordine gerarchico. A parte l'ipotesi in cui l'amministratore sia stato designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, il giudice sceglierà le persone, anche affettivamente, più vicine al beneficiario, quali: il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado (art. 408, comma 1, c.c.).

Per effetto della l. n. 76/2016 (art. 1, comma 15) poiché nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare «preferisce ove possibile la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso», l'unito civilmente sarà chiamato a ricoprire detto incarico anche in via preferenziale rispetto agli altri soggetti astrattamente nominabili e idonei a ricoprire l'incarico.

Nelle situazioni di abbandono, quando il disabile non abbia madre, padre, fratelli e sorelle e neppure coniuge, unito civilmente o persona stabilmente convivente, il giudice può prescindere dall'elencazione che precede, chiamando all'ufficio di amministratore di sostegno «altra persona ritenuta idonea» (art. 408, comma 4, c.c.). In concreto, nella prassi, in assenza di significative figure di riferimento, il giudice può nominare all'incarico un professionista, avvocato, commercialista, un volontario adeguatamente formato, ecc...

Laddove ne sussista l'esigenza, il giudice può adottare, anche d'ufficio, i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per l'amministrazione del suo patrimonio. Tra questi provvedimenti si segnala, innanzitutto, in funzione cautelare, la nomina di un amministratore di sostegno provvisorio, che potrà essere nominato sulla base della documentazione medica versata in atti (art. 405, comma 4, c.c.); il decreto andrà successivamente confermato/revocato o modificato in apposita successiva udienza (c.f.r. la previsione di cui all'art. 669 sexies, comma 2, c.p.c., in tema di cautelare uniforme, qui applicata analogicamente).

Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno è soggetto a pubblicità. Lo stesso va annotato nell'apposito registro di cancelleria e poi annotato a margine dell'atto di nascita del beneficiario ad opera dell'ufficiale dello stato civile (art. 405, commi 7 e 8, c.c.). Nel caso in cui riguardi persona che non abbia ancora compiuto gli ottant'anni deve essere annotato nel casellario giudiziario (v. d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313).

Condizione giuridica del beneficiario e dell'amministratore di sostegno

Per effetto del decreto di nomina si constata una limitazione, più o meno ampia, della capacità di agire del beneficiario. L'art. 409 c.c. ha infatti cura di precisare che il beneficiario “conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Questo significa che la capacità di agire residua della persona con disabilità consta di una semplice operazione di sottrazione ossia sottraendo dalla stessa gli atti che, a tenore di decreto, possono essere compiuti unicamente dall'amministratore di sostegno. In ogni caso, la nomina dell'amministratore di sostegno non richiude il beneficiario nello status di amministrato di sostegno. Il beneficiario di amministrazione di sostegno può, in ogni caso, compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (art. 409, comma 2, c.c.), la c.d. microcontrattualità.

La relazione intercorrente tra amministratore di sostegno e beneficiario della misura, agli effetti del buon funzionamento dell'istituto, presuppone tra di essi l'instaurazione di un rapporto fiduciario e di collaborazione, al punto che l'art. 410 c.c. ha cura di precisare che, nello svolgimento dei suoi compiti, l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei «bisogni e delle aspirazioni del beneficiario», come pure che l'amministratore deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere ed il giudice in caso di dissenso.

All'amministratore di sostegno si applicano talune disposizioni dettate in tema di tutela dei minori, in forza dell'espresso richiamo contenuto dell'art. 411, comma 1, c.c. In modo particolare, l'amministratore di sostegno viene investito dell'ufficio a far data dalla prestazione del giuramento (art. 349 c.c.). Tra le attività preliminari che fanno capo all'amministratore vi è l'effettuazione dell'inventario dei beni del amministrato, sempre che il patrimonio dello stesso (per consistenza, entità o altra circostanza) lo richieda (art. 362 c.c.). L'amministratore di sostegno deve poi chiedere al giudice tutelare (unico competente in materia) le autorizzazioni per il compimento di determinati atti a carattere straordinario concernenti il patrimonio dell'amministrato artt. 374, 375, 376 c.c.. Periodicamente (con la specifica cadenza espressamente stabilita dal g.t. nel decreto di nomina) l'amministratore deve presentare (art. 380 c.c.) relazione scritta sull'attività svolta e sulle condizioni personali e sociali del beneficiario (art. 405, comma 5, n. 6, c.c.). Infine, al cessare della misura, egli deve presentare la relazione finale (art. 385 c.c.) che deve essere approvata dal giudice (art. 386 c.c.). L'ufficio di a.d.s. è gratuito, tuttavia il giudice, tenuto conto dell'entità del patrimonio e delle difficoltà incontrate, può assegnargli un'equa indennità (art. 379 c.c.).

Con riferimento poi alla condizione giuridica in cui si trovi l'amministrato di sostegno, si prevede che gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto istitutivo siano annullabili ed analoga disciplina è dettata per gli atti dell'amministratore di sostegno compiuti in violazione di disposizioni legge o in eccesso rispetto all'oggetto dell'incarico o ai poteri conferitigli dal giudice (art. 412 c.c.).

Cessazione della misura

Il provvedimento di nomina dell'amministratore di sostegno è, in ogni tempo, modificabile ed integrabile (art. 407, comma 4, c.c.), con possibilità di sostituzione dell'amministratore di sostegno, oltre che sempre revocabile, venendo meno i presupposti istitutivi (art. 413 c.c.). La chiusura della misura può automaticamente verificarsi quando la stessa sia stata stabilita per un tempo determinato (at. 405, comma 5, n. 2, c.c.) e perciò allo scadere del termine fissato, ovvero, in caso di decesso dell'amministrato. In ogni caso, la revoca della nomina è disposta laddove cessino i presupposti normativi che ne hanno determinato l'apertura (art. 413, comma 1, c.c.). Il procedimento di revoca è particolarmente agile, semplice e celere. L'istanza di revoca è comunicata all'amministratore di sostegno ed al beneficiario ed il giudice provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori (art. 413, commi 2 e 3, c.c.). L'art. 413 c.c. afferma pure che, quando la misura dell'amministrazione si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, il giudice possa disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la promozione del giudizio di interdizione o inabilitazione.

Differenziazione tra interdizione giudiziale ed amministrazione di sostegno

Problema cruciale e di massima rilevanza emerso in seguito alla riforma del 2004, che ha suscitato la convivenza delle vecchie risposte protettive (interdizione giudiziale ed inabilitazione) con la neofita misura dell'amministrazione di sostegno, consiste nell'individuazione degli esatti confini applicativi tra diverse misure poste a tutela di persone affette da disabilità.

Dopo un iniziale travaglio, la Corte di Cassazione è pervenuta ad affermare il seguente principio di diritto, in seguito più volte ribadito. La differenziazione tra amministrazione di sostegno ed ulteriori istituti di protezione a tutela degli incapaci, quali interdizione ed inabilitazione, che non sono stati soppressi ma che rivestono carattere del tutto residuale (Cass. 24 luglio 2009, n. 17421; Cass. 1 marzo 2010, n. 4866), è individuabile non già nel diverso e meno intenso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto nella maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto, in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. La scelta della misura di protezione più adeguata alle esigenze di protezione appartiene all'apprezzamento del giudice di merito il quale dovrà individuarla con riferimento al tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerando anche la gravità e durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonchè a tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie (Cass. 29 luglio 2013, n. 18171, in Foro it., 2013, I, 3210. In precedenza, Cass. 12 giugno 2006, n. 13584; Cass. 22 aprile 2009, n. 9628, in Giust. Civ., 2010, I, 395; Cass. 26 ottobre 2011, n. 22332. Da ultimo, conforme, Cass. 11 settembre 2015, n. 17962).

*Scheda aggiornata

Consenso/dissenso al trattamento sanitario del beneficiario

Colmando una lacuna normativa, l'art. 3 della l. 22 dicembre 2017, n. 219 («Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento»), ha disciplinato la manifestazione del consenso informato con riguardo a “minori e incapaci, come si esprime la rubrica della norma.

La previsione normativa dispone che, in ipotesi di persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, l'amministratore di sostegno, investito di poteri di rappresentanza esclusiva, sia legittimato ad esprimere il consenso informato medico-sanitario: «nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato e' espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà' del beneficiario, in relazione al suo grado di capacita' di intendere e di volere» (art. 3, comma 4, 2° parte, l. cit.).

Sulla scorta degli enunciati della pronunzia c.d. Englaro (Cass. 21748/2007), il principio era stato seguito dalla parte maggioritaria dei g.t. che, sin dall'entrata in vigore della l. n. 6 del 2004, ritenevano di demandare all'amministratore di sostegno ogni facoltà di cura concernente il disabile mentale, in particolare in materia di trattamenti sanitari, senza dovere fare capo a pronunzia di interdizione giudiziale; in ciò traendo argomento dalla previsione normativa che rimette all'a.d.s. le facoltà connesse alla cura personae («qualora ne sussista la necessità, il g.t. adotta anche d'ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata»: art. 405, 4 comma, c.c.).

  • Volontà del paziente e volontà ricostruibile

Laddove il disabile sia in grado esprimere volontà cosciente in materia, l'a.d.s. (dotato di poteri in materia di trattamenti sanitari), di tale volontà “terrà conto”.

Invece, quando ciò non sia possibile, causa patologia che impedisca alcuna manifestazione di autodeterminazione individuale, in aderenza agli enunciati della pronunzia Englaro, il rappresentante legale del disabile, dotato di poteri sostitutivi in materia di consenso e rifiuto di trattamenti sanitari, è tenuto a manifestare la volontà della persona ricostruendola”, sempre che la stessa sia stata in precedenza espressa.

In particolare, Cass. 21748/2007 aveva condizionato il potere del tutore dell'interdetta di esprimere il consenso informato ai trattamenti sanitari ad un duplice limite.

In particolare, insegnando che il rappresentante dell'incapace è chiamato ad agire decidendo non al posto, né per l'incapace, macon l'incapace, in quanto interprete della sua volontà, della sua identità, del suo modo di intendere la dignità, la vita, la salute, la malattia e, alfine, la morte; ossia, “ricostruendone la presunta volontà”; e, in ogni caso, operando “nell'esclusivo interesse” dello stesso.

Laddove la volontà presunta del paziente non possa ricostruirsi neppure in via indiziaria, la scelta in materia di trattamenti sanitari con riguardo alle cure praticabili (o non praticabili) al paziente va improntata, da parte dell'a.d.s., al criterio, subordinato rispetto al primo e di natura obiettiva, della ricerca del best interest del paziente, con riguardo all'utilità del trattamento sanitario rispetto al grado di sofferenza patito.

Ad identici principi e criteri direttivi pare doversi ispirare il comportamento dell'a.d.s.

  • Contrasto a.d.s. medico

Peculiare tipologia di contrasto viene disciplinata dalla l. n. 219/2017, laddove esso insorga fra a.d.s. e medico: «nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione e' rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli artt. 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria» (art. 3, comma 5).

Come emerge trasparente, la novella del 2017 disciplina un intervento risolutivo da parte del giudice tutelare, laddove insorga contrasto in materia di trattamenti sanitaritra a.d.s. e medico, con riferimento al rifiuto dal primo espresso con riguardo alle cure praticabili al disabile; cure che, invece, il medico ritenga necessarie ed indispensabili alla salute del paziente.

  • Questione di legittimità costituzionale

Il Tribunale di Pavia (decreto 24 marzo 2018), ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento al disposto ex art. 3, comma 5, della l. n. 219, laddove la norma dispone la remissione all'a.d.s., non solo della facoltà di esprimere consenso al trattamento medico, ma anche quella di manifestare rifiuto delle cure, senza contestualmente prevedere autorizzazione del g.t.

  • Infondatezza della questione

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pavia è stata ritenuta infondata e perciò rigettata.

La Corte Costituzionale (Corte Cost. 13 giugno 2019, n. 144) ha respinto la questione evidenziando l'erroneità del presupposto interpretativo da cui si è sviluppato il ragionare del giudice remittente.

È stato rammentato che, a tenore dell'art. 3 della l. n. 219 del 2017, i poteri in ambito sanitario possono essere conferiti dal g.t. all'amministratore di sostegno all'uopo nominato, istituto quest'ultimo non disciplinato dalla novella, ma dagli artt. 404 e segg. c.c.

La pronunzia ha evidenziato che, «contrariamente a quanto ritenuto dal giudice remittente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale».

È quindi il g.t. che, volta a volta, individua l'oggetto dell'incarico e gli atti che l'amministratore ha il potere di compiere per il disabile, secondo una concreta ed effettiva valutazione che tenga conto delle circostanze del caso di speciee, pertanto, in particolare,alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario”.

Proprio in relazione al quadro clinico ed alla riscontrata patologia che affligge il disabile, costituisce compito precipuo del g.t. quello di conferire all'a.d.s. il potere di “prestare consenso o diniego ai trattamenti sanitari di sostegno vitale”.

La questione è stata pertanto ritenuta infondata e reietta.

Sommario