Le misure cautelari nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza

Paola Orlando
13 Aprile 2021

Il presente contributo si pone l'obiettivo di analizzare, in maniera critica, le “nuove” misure cautelari come disciplinate nel Codice della Crisi e dell'insolvenza, la cui entrata in vigore è stata rimandata al 1° Settembre 2021 in ragione dell'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.
Premessa

Il presente contributo si pone l'obiettivo di analizzare, in maniera critica, le “nuove” misure cautelari come disciplinate nel Codice della Crisi e dell'insolvenza (D.lgs. 12 Gennaio 2019, n. 14) la cui entrata in vigore, salvo alcune norme attualmente già vigenti, è stata rimandata al 1° Settembre 2021 in ragione dell'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.

Il problema della tutela cautelare merita di essere affrontato avendo come primario riferimento lo scopo principale del Codice, volto a far sì che le imprese sane in difficoltà finanziaria possano ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l'insolvenza, massimizzandone il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia nazionale.

Il nuovo CCII, a differenza della precedente legge fallimentare, disciplina in termini unitari il procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell'insolvenza, prevedendo una sorta di “contenitore” processuale uniforme delle iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione della crisi o della insolvenza (di cui agli artt. 7 e 40 CCI).

È all'interno di questo “contenitore” che bisogna proporre tutte le domande ed istanze anche contrapposte di creditori, pubblico ministero e debitore, in vista dell'adozione o della omologazione, da parte del giudice competente, della soluzione più appropriata alle situazioni che concretamente si presentano.

In questa cornice, con al centro la finalità della riforma, trovano collocazione le misure cautelari e le misure protettive disciplinate unitariamente e, per qualche tratto indifferentemente come nel corso dell'analisi si avrà modo di vedere.

Il tema delle forme di protezione del patrimonio che debbono accompagnare le trattative coi creditori per garantirne il successo si è sempre intrecciato, nell'applicazione concreta (e oggi con il Codice della crisi si intreccia anche sul piano delle norme), con l'altro, della richiesta in via cautelare, da parte dei creditori e nel corso dell'istruttoria fallimentare, di un intervento del tribunale sul governo della società.

Il fine a cui si mira è ottenere, attraverso la sostituzione dell'imprenditore con un terzo che dia garanzie di indipendenza, il duplice risultato di influire sulla gestione dell'attività, compromessa dalle scelte erronee o anche semplicemente dalla mancanza di obiettivi dell'imprenditore prossimo al fallimento e nel contempo evitare la dispersione dei valori dell'impresa nell'attesa della decisione sull'insolvenza. A questi due temi sono dedicati gli artt. 54 e 55 CCI, che disciplinano le misure cautelari e protettive.

Le misure cautelari e i presupposti della tutela

La nozione di “misura cautelare” si ricava espressamente dall'art. 2, lett. q), CCI, ai sensi del quale debbono intendersi come misure cautelari: “I provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio e dell'impresa del debitore che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza”.

Si tratta di misure analoghe a quelle disciplinate dal previgente art. 15, comma 8, l. fall. (P. FARINA, Misure cautelari ed istruttoria prefallimentare, un contributo per la ricostruzione della disciplina stabilita dall'art. 15, 8 ̊ comma, l. fall., in Dir. fall., 2018), secondo cui il tribunale, su istanza di parte, può emettere provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o della impresa oggetto del procedimento (i quali hanno efficacia limitata alla durata del procedimento stesso e vengono confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa del fallimento o revocati dal decreto che rigetta l'istanza).

Il primo comma dell'art. 54 CCI (Così PAGNI, in Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell'insolvenza, in Il Fallimento, 2019; R. FEDELE, L'iniziativa e il procedimento unitario per l'accesso alle procedure di regolazione delle crisi o dell'insolvenza, in Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a cura di M. GIORGETTI, Pisa 2019) stabilisce che nel corso del procedimento di accesso ad una della procedure di regolazione della crisi, segnatamente apertura della liquidazione giudiziale, procedimento di concordatopreventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione, su istanza di parte (PAGNI, La tutela cautelare del patrimonio e dell'impresa nell'art. 15 l.f. alla luce delle novità della l. 7 agosto 2012, n. 134, in Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, a cura di Fimmanò, Milano, 2015, 79 ss.), il tribunale, può emettere provvedimenti cautelari che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione.”

È significativo come l'art. 54 espliciti che le misure cautelari possano essere concesse anche nei procedimenti propedeutici al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione (e ciò in virtù dei riflessi generati dalla riconduzione di questi al c.d. procedimento unitario) (F. DE SANTIS, Il processo per la dichiarazione di fallimento, in Società, 2019).

Riguardo al possibile contenuto del provvedimento cautelare che, dev'essere individuato dal ricorrente nel rispetto del principio della domanda e che il giudice pronuncerà nel rispetto di quel principio e di quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (con esclusione, perciò, di un potere generale di cautela da parte del tribunale), la formulazione del comma 1 dell'art. 54 CCI, menzionando i provvedimenti cautelari che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza, evoca inequivocabilmente il disposto dell'art. 700 c.p.c. ed imprime al provvedimento cautelare il carattere della atipicità.

Dalla lettura della norma si evincerebbe pertanto trattarsi di una tutela cautelare atipica, che tuttavia non esclude il ricorso a misure più tradizionali, conservative del patrimonio, come i sequestri sia conservati che giudiziari (P. DE CESARI, G. MONTELLA, Le misure cautelari e conservative nell'istruttoria prefallimentare, in Rivista di diritto processuale civile, 2016).

Occorre evidenziare che nel passaggio dallo schema di decreto delegato elaborato dalla Commissione Rordorf alla versione attuale del codice, è stata modificata l'espressione per la quale la misura cautelare mirava ad assicurare provvisoriamente “l'attuazione" della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di omologa del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione.

Con l'espressione “assicurare l'attuazione” anziché gli effetti della decisione si voleva così indicare l'esigenza che il contenuto della misura richiesta non fosse ricalcato esattamente ed interamente su quello delle pronunce, con l'esclusione perciò di una provvisoria dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale o della nomina di un curatore provvisorio. Il particolare nesso di strumentalità che lega le misure cautelari al provvedimento conclusivo del procedimento aperto dal ricorso ex art. 40 CCII la cui attuazione la misura si voleva chiamata ad assicurare, postula pertanto oggi misure a carattere non totalmente anticipatorio (PAGNI, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell'insolvenza, in Il Fallimento, 2019; FABIANI, Le misure cautelari e protettive nel Codice della crisi d'impresa, in Riv. Dir. Proc., 2019).

Il comma 1 dell'art. 54 prevede anche una forma specifica o tipica di cautela: la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio del debitore sulla falsariga del sequestro giudiziario di cui all'art. 670 c.p.c.

Occorre, allora, chiedersi se l'espressa previsione di un custode di azienda voglia significare qualcosa di molto preciso e cioè che non sia data più la possibilità di nominare un amministratore giudiziario dell'impresa. Il punto è davvero delicato perché è facile avvedersi della distanza che corre fra chi custodisce e chi amministra, fra chi si occupa dell'azienda o dell'impresa. Appare più plausibile seguire un'interpretazione estensiva del concetto di “amministratori”.

Se si condivide il teorema della conservazione del valore dell'impresa funzionalizzato a garantire il migliore interesse dei creditori, ogni scelta che vada in questa direzione merita di essere perseguita: la nomina di un amministratore deve riferirsi all'impresa come attività e non all'impresa come soggetto (F. FIMMANO', Fallimento della societa` di calcio, nomina cautelare del «pre-curatore» ed effetti sull'ordinamento sportivo, in Giur. comm. 2018, II, 764), che resterà “governato” dai suoi amministratori. Se si opta per una visione che miri alla ottimizzazione di un risultato, non si può escludere che il tribunale quando adotta la misura cautelare della nomina di un amministratore giudiziario determini anche il perimetro (va rilevato che fuori dal campo di applicazione delle misure cautelari resta il procedimento di composizione della crisi (art. 19 CCI) che si svolge davanti agli Organismi (OCRI) di cui all'art. 16 c.c.), L. GAMBI, Le nuove misure protettive nel Codice della crisi, in Il Fall., 2019) delle attribuzioni che gli competono.

Trattandosi di misure cautelari di diritto civile, il creditore che agisca ai sensi dell'art. 54 CCI deve dimostrare l'esistenza dei consueti presupposti della tutela cautelare: vale a dire il periculum in mora ed il fumus boni iuris.

Il periculum consiste nel pregiudizio che può subire il diritto in conseguenza dei tempi fisiologici del processo, il fumus consiste, invece, nella presumibile esistenza o parvenza d'esistenza del diritto che la parte istante ha chiesto o ha intenzione di chiedere in giudizio.

Quanto alla dimostrazione del periculum, tuttavia, esso è insito nella circostanza che l'imprenditore è in stato di allerta o di crisi e di conseguenza non va più provato, essendo piuttosto in re ipsa, con ciò non costituendo più presupposto specifico della concessione della misura, come invece avveniva nella disciplina precedente (SCARSELLI, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi di impresa, in Rivista di diritto processuale, 2019) dove all'interno della domanda cautelare il periculum, non era solo elemento oggettivo dell'azione, ma rappresentava anche l'oggetto del procedimento cautelare che doveva necessariamente emergere dalla domanda cautelare per integrarla e si richiedeva all'istante, per consentire l'accoglimento nel merito della stessa, di dimostrare la probabile sopravvenienza futura di un pregiudizio della propria situazione sostanziale, alla cui neutralizzazione mirava il provvedimento cautelare richiesto.

Il procedimento delineato dall'art. 55 del codice

Il procedimento per la concessione delle misure cautelari, stando alla lettera della legge, appare chiaramente mutuato dal codice di procedura civile in materia di misure cautelari, vale a dire il rito cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss. In tal modo, è stata colmata quella lacuna procedimentale (Si parlava di lacuna in quanto nel disciplinare gli aspetti sostanziali e contenutistici dei provvedimenti in parola il legislatore aveva adottato una formulazione volutamente ampia ed elastica; con riguardo agli aspetti procedimentali, invece, era stato del tutto assente, salvo la specificazione della necessaria domanda di parte e la previsione di assorbimento dei provvedimenti emessi nella pronuncia che dichiara il fallimento o respinge la relativa istanza. La ricostruzione di tale disciplina era, dunque, quasi interamente rimessa all'attività degli interpreti. La tesi maggioritaria ha ritenuto, e di fatto nella pratica questo ragionamento è stato seguito, che nel silenzio dell'art. 15 comma 8 l.fall., l'emissione dei provvedimenti previsti da tale disposizione dovesse avvenire secondo il modulo procedimentale delineato dall'art. 669-bis c.p.c.)circa l'iter che nella disciplina previgente il tribunale doveva seguire per la pronuncia dei provvedimenti cautelari di cui all'art. 15, comma 8 l.fall.

E' da rilevare come, ai sensi dell'art 55 CCI, le misure cautelari spettano non più alla competenza del tribunale in composizione collegiale, ma al tribunale in veste monocratica, identificato nel magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento di regolazione della crisi; in tale contesto dovrebbe conseguirne che i provvedimenti cautelari non possono essere rilasciati ante causam(C. D'ARRIGO, L'istruttoria prefallimentare, in Crisi d'impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso, L. Panzani, Milano, 2017, 476).

Procede il giudice relatore se già delegato dal tribunale per l'audizione delle parti. In ogni caso, la pronuncia spetta ad un giudice monocratico (nominato secondo criteri oggettivi e tabellari).

L'atto introduttivo del procedimento non può non essere il ricorso sia in virtù dell'indubitabile richiamo normativo al processo cautelare sia in virtù del fatto che il procedimento è comunque deformalizzato e a cognizione sommaria. Per tale motivo le misure cautelari anche nel nuovo Codice sono provvedimenti provvisori concessi all'esito di una istruttoria più sommaria che semplificata, nel senso che le informazioni che il tribunale assume dovranno riguardare i presupposti della tutela cautelare e quindi non pretendono un vero e proprio accertamento sui fatti.

I provvedimenti conservano efficacia, salvo revoca o modifica, sino alla pronuncia di merito e cioè sino alla apertura della liquidazione giudiziale.

Più complesso è stabilire la sorte delle misure cautelari nel caso di accesso al concordato preventivo o di domanda di omologa degli accordi di ristrutturazione.

Se queste misure dovessero sopravvivere sino alla omologazione, il debitore potrebbe trovarsi nella condizione di non poter disporre del patrimonio (ad esempio in caso di sequestro), ma per converso gli effetti che si producono col concordato non sempre coincidono con le misure cautelari la cui persistenza potrebbe essere utile per tutti i creditori. In linea di massima si dovrebbe, dunque, preferire una lettura estensiva vista la formula contenuta nell'art. 54, comma 1, CCI là dove si evoca come dies ad quem la sentenza che chiude il procedimento unitario e, di conseguenza, la sentenza di omologazione o di diniego di omologazione.

Il ricorso, oltre a contenere tutti i tipici elementi della domanda giudiziale, deve far espresso riferimento al fumus boni iuris ed al periculum in mora, nei termini definiti precedentemente.

Con riferimento al contraddittorio, poiché l'art. 55 CCI non fa che riprodurre il contenuto dell'art. 669-sexies c.p.c., il nuovo Codice della crisi di impresa aderisce alla regola della concessione della misura cautelare con ordinanza dopo aver sentito le parti, vale a dire dopo aver attivato e rispettato il contraddittorio stesso.

Al pari di quanto accade per le misure cautelari di diritto civile, essepossono tuttavia essere concesse anche inaudita altera parte (cioè senza che si svolga il contraddittorio), quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento. In tal caso, si procederà alla concessione con un decreto motivato che conterrà anche la fissazione dell'udienza di comparizione delle parti al fine della conferma, modifica o revoca del provvedimento.

Viene ad essere ricalcata (tale simmetria con l'art. 669-sexies c.p.c. è stata colta anche da BOZZA, in Protezione del patrimonio negli accordi e nei concordati nel codice della crisi di impresa e dell'insolvenza d. lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in Dir. Fall., 2019, il quale ne fornisce una lettura critica), pertanto, integralmente, la previsione di cui all'art. 669-sexies c.p.c, sebbene dal testo dell'art. 55 CCII manchi il riferimento all'oggetto del provvedimento emanato nel contraddittorio delle parti, vale a dire all'ordinanza di accoglimento o di rigetto; questo particolare dai commentatori del Codice è stato repentinamente fatto notare e si è giunti alla conclusione che si sia trattato sicuramente di un errore, giacché è ben chiaro dal tenore letterale dell'art. 55 CCII che esso abbia voluto richiamarsi integralmente all'art. 669-sexies cp.c.

Circa l'attuazione delle misure, il nuovo CCII non esplicita alcuna norma.

Nel silenzio normativo pare tuttavia doversi applicare integralmente l'art. 669-duodecies c.p.c.

Infine, anche con riferimento al regime delle impugnazioni, il Codice si esprime attraverso il silenzio (Sempre in ordine al procedimento, nell'ambito di una trattazione di carattere unitario che ricomprende tanto le misure cautelari che quelle protettive v. CRIVELLI, Le “misure cautelari e protettive” nel procedimento unitario del codice della crisi e dell'insolvenza, in Giustiziacivile.com, 2019).

Stante il richiamo alla tutela cautelare del codice di procedura civile, si ritiene che il provvedimento possa certamente essere reclamato ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.

I provvedimenti che decidono sulle misure cautelari producono effetti sino alla decisione ma v'è da chiedersi se possano essere rimossi prima in quanto impugnabili. Se è ben vero che si incasellano nell'ambito di un procedimento che dovrebbe essere rapido, l'esperienza dimostra come non raramente detti procedimenti durino alcuni mesi. Ed allora, questi provvedimenti avendo matrice cautelare dovrebbero poter essere reclamati, specie ora che la cognizione spetta ad un giudice monocratico. Quanto al mezzo del reclamo (C. CECCHELLA, Le misure cautelari e conservative, in Il Fallimento, 2018), più che fare riferimento al reclamo del procedimento cautelare uniforme (art. 669-terdecies c.p.c.), prendendo spunto da quanto è stabilito a proposito delle misure protettive, va preferito il reclamo endo-concorsuale oggi collocato nell'art. 124 CCI.

Sicuramente, la decisione assunta sul reclamo non è ricorribile per Cassazione (Cass., 5 ottobre 2015, n. 19790) in quanto questi provvedimenti sono tipicamente provvisori.

Analogie e differenze tra le misure cautelari e le misure protettive

Non compaiono più nel nuovo Codice, invece, le previsioni di cui agli artt. 168 e 182-bis l. fall., poiché si è rinunciato al c.d. automatic stay (D. SPAGNUOLO, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, Torino 2017) e non si parla più degli effetti della presentazione della domanda di concordato, ma di eventuale concessione di misure protettive.

Ecco, allora, come il legislatore transita dalle misure cautelari alle misure protettive.

Per queste, stando a quanto stabilito nell'art. 2, lett. p) si intendono: “le misure temporanee disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza”.

Con riguardo alle misure protettive il lessico è decisamente innovativo e non vi è, anche per queste come per quelle cautelari, un catalogo delle varie misure perché ciò che conta è l'efficacia, l'effettività e la strumentalità.

Ne consegue, all'evidenza, che queste misure possono essere richieste soltanto dal debitore e già questo spiega la ragione per la quale possono essere impiegate anche nel procedimento di composizione della crisi (art. 20 CCII), diversamente dalle misure cautelari.

Non vi è spazio, invece, di poter essere utilizzate nel procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale in quanto il termine “trattative” induce decisivamente a ritenere che il campo elettivo ed esclusivo corrisponda ai procedimenti negoziati promossi ad iniziativa del debitore (G. BOZZA, Protezione del patrimonio negli accordi e nei concordati, l'autore sostiene che si faccia fatica a comprendere cosa possa chiedere il debitore nel procedimento pre-liquidatorio contro i creditori; nello stesso senso, I. PAGNI, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell'insolvenza, 439, che non considera che le misure protettive sono coessenziali alla sussistenza di trattative).

In tale cornice appare, perciò, preferibile postulare che le misure protettive che il debitore può chiedere (col deposito del ricorso o anche successivamente) in relazione al concordato o agli accordi di ristrutturazione devono essere volte ad evitare che alcuni creditori conseguano dei vantaggi in pregiudizio di tutti gli altri; la novità assoluta delle misure protettive consiste nell'idea che si possa aver diritto a chiedere non l'attuazione della legge, ma la sua disapplicazione.

Se così è, si può immaginare che il debitore possa richiedere che le misure protettive non producano effetti, rispetto ai creditori concorsuali, gli atti e le attività dei contraenti (potenziali creditori) che incidano sui rapporti giuridici pendenti e ciò anche al di fuori delle inibizioni.

Le principali differenze che è possibile individuare tra le misure cautelari e le misure protettive, si identificano nei punti che di seguito vengono indicati:

1) da una parte, le misure cautelari dipendono sempre da un provvedimento del giudice e sono pensate quali misure a tutela dei creditori avverso atti pregiudizievoli del debitore, mentre dall'altra parte le misure protettive sono in alcuni casi automatiche (nel caso della inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni antecedenti), in altri casi si presentano come semi-automatiche (nel caso della domanda del debitore accessoria al concordato o agli accordi), in altri casi ancora sono affidate alla sensibilità del giudice (nel caso della composizione della crisi e nel caso del pre-accordo);

2) le misure cautelari non hanno una scadenza predeterminata ma funzionalizzata al risultato da perseguire; al contrario nonostante le misure protettive siano funzionalizzate, tuttavia, hanno una durata nel tempo che dipende da tante variabili, (a) dalla volontà del giudice di concederle, (b) dalla volontà del giudice di non revocarle e (c) dal periodo massimo di applicazione. Vista la durata contingentata delle misure protettive è auspicabile un coordinamento con le misure cautelari, in funzione non solo di limitare gli spazi di autonomia del debitore ma anche di dare una risposta più rassicurante per tutti i soggetti coinvolti nella crisi;

3) una caratteristica similare ad entrambe le due tipologie di misure riguarda la struttura contenutistica aperta e non preconfezionata, e questo permette al giudice di individuare il contenuto che meglio risponde alla tutela che deve essere offerta e garantita;

4) non è, poi, chiaro stando a quanto indicato nel codice se il contraddittorio debba essere garantito solo per le misure cautelari o anche per quelle protettive. Intanto va sottolineato che in taluni casi le misure protettive non hanno bisogno di essere concesse dal Tribunale, ma discendono automaticamente dalla domanda del debitore, anche se occorre evidenziare che l'intervento del giudice è solo “spostato” ad un momento successivo, non è del tutto eliminato; alla luce di quanto poc'anzi espresso allora, anche nel silenzio della legge, si dovrebbe ritenere che pure le misure protettive necessitino di un contraddittorio. Tuttavia, non pare essere così poiché il “nuovo” codice utilizza degli schemi atipici del diritto processuale civile riguardo alla forma del provvedimento, pensiamo all'emanazione di decreti senza il contraddittorio. Forse il legislatore si sarebbe dovuto attenere alle regole processualistiche e avrebbe dovuto delineare una procedura similare tra le misure cautelari e quelle protettive proprio per evitare dubbi interpretativi sia in rifermento allo svolgersi o meno del contraddittorio e sia in riferimento ai potenziali soggetti con cui questo dovrebbe svolgersi;

5) lo strumento impugnatorio previsto per le misure cautelari è il reclamo, ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. Anche per le misure protettive il legislatore prevede come strumento impugnatorio il reclamo, ma in forza dell'art. 124 CCII cioè quello che si promuove avverso i procedimenti del giudice delegato dopo che la liquidazione giudiziale è stata aperta, anche se come è stato affrontato dai primi commentatori del Codice, qui siamo in una fase in cui la liquidazione giudiziale non è ancora aperta.

In conclusione

L'interpretazione delle nuove norme come sopra delineata può consentire di trarre alcune, sia pur provvisorie, conclusioni, non solo in merito alle singole novità introdotte dalla riforma ma più in generale sulla portata complessiva della stessa.

Come rilevato in dottrina, vista la durata contingentata delle misure protettive, è certamente auspicabile un coordinamento con le misure cautelari in funzione non di limitare gli spazi di autonomia del debitore ma di dare una risposta più rassicurante per tutti i soggetti coinvolti nella crisi; coordinamento che il legislatore non pare abbia completamento realizzato. Occorre ora aspettare l'applicazione in concreto di tali misure e le eventuali problematiche che, eventualmente, si verificheranno, per trarre dei giudizi più completi.

Certo è che l'esigenza di una riforma della crisi d'impresa e dell'insolvenza è nata per porre rimedio all'eccesso di produzione legislativa che ha interessato, specialmente tra il 2005 e il 2012, le procedure concorsuali e ha alimentato la formazione di contrasti giurisprudenziali e dottrinali; un'esigenza di risistemazione complessiva della materia concorsuale che si è resa necessaria anche in ragione delle sollecitazioni provenienti dall'Unione europea (tra le sollecitazioni europee si registra il regolamento UE 20 maggio 2015 n. 2015/848; la raccomandazione della Commissione 12 marzo 2014 n. 2014/135/UE ed il regolamento delegato della Commissione UE 2016/45).

Se queste sono state le premesse di fondo, il legislatore delegato ha mancato o forse perso, almeno per il momento, l'occasione di dar vita ad una riforma capace di condurre ad un procedimento cautelare-protettivo concretamente più unitario (V. BARONCINI, Inibitorie delle azioni dei creditori e automatic stay, in Il Fall., 2019), meno burocratizzato e maggiormente celere.

Si evidenzia come, da un lato, secondo la maggior parte della dottrina, nel momento in cui entrerà in vigore il Codice si farà un largo uso delle misure cautelari e protettive e di conseguenza si realizzerà un incremento delle predette misure, ma le stesse solo in quel momento disveleranno un malfunzionamento dell'allerta; dall'altro, si dovrà tener conto del principio espresso dalla Cassazione nel 2018 (Cass. n. 16161/2018 secondo la quale “In tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, il sub-procedimento di cui all'art. 182 bis, commi 6 e 7, l. fall., essendo finalizzato ad ottenere misure protettive, quali la sospensione di eventuali azioni cautelari ed esecutive in funzione dell'esito delle trattative in corso, destinate a culminare nella formalizzazione dell'accordo, ha natura cautelare, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione contro la decisione assunta dalla corte di appello in sede di reclamo”) circa l'equivalenza tra misure protettive e cautelari per evitare formule definitorie diverse.

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