La dismissione delle quote azionarie pubbliche non è soggetta alle norme sull'evidenza pubblica e le relative controversie esulano dalla giurisdizione del G.A.

Angelica Cardi
15 Aprile 2021

La dismissione di quote azionarie pubbliche non è soggetta alle norme sull'evidenza pubblica, e nemmeno a quelle sulla contabilità generale dello Stato, risolvendosi in un'operazione che l'Ente pubblico pone in essere con modalità privatistiche, dovendosi soltanto attenere ai generali principi di trasparenza e non discriminazione. La dimissione della partecipazione azionaria pubblica costituisce, dunque, vicenda che viene posta in essere “iure privatorum” e con il rispetto dei soli principi di non discriminazione e trasparenza e senza l'obbligo normativo di ricorrere alla procedura di evidenza pubblica che, come tale, possa radicare, in capo agli aspiranti acquirenti del pacchetto azionario, un interesse legittimo e la conseguente giurisdizione del G.A.

Il caso. La controversia oggetto della pronuncia in commento trae origine dall'impugnazione da parte di una impresa del provvedimento con il quale l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa - Invitalia deliberava di non procedere all'aggiudicazione ritenendo che le offerte presentate dai concorrenti – tra cui la stessa ricorrente – per l'acquisto del 100% della partecipazione societaria della Marina di Portisco S.p.A. “non fossero idonee ed accettabili in relazione all'oggetto della gara”. Con motivi aggiunti, la ricorrente impugnava inoltre il successivo bando di gara emanato da Invitalia, in pendenza del giudizio, per la cessione della medesima partecipazione societaria pari al 100% del capitale sociale della società.

La soluzione. Il Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Il TAR Lazio, dopo aver richiamato la normativa che disciplina le attività dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, con specifico riferimento ai piani di riordino e dismissione delle partecipazioni societarie detenute dalla società resistente, di cui all'art. 1 commi 460 e 461 l. n. 296/2006, ha rilevato che, nel caso di specie, non veniva in rilievo la costituzione ex novo di una società mista con l'esigenza di individuare, per l'affidamento di un servizio, un socio privato, qualificabile come socio “operativo”, a cui specificamente si riferisce l'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 secondo cui “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un'opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”.

Il Collegio ha affermato, dunque, l'inesistenza di un obbligo generale di ricorso all'evidenza pubblica, desumibile dalla richiamata disciplina di rango primario (art. 1, comma 461 l. n. 296/2006 e art. 28 d.l. n. 248/2007), applicabile al caso di specie, la quale non solo non prevede l'evidenza pubblica come modalità necessaria di dimissione delle partecipazioni azionarie ma, al contrario, indica specifiche tipologie di dismissione non compatibili con l'evidenza pubblica e finalizzate, piuttosto, a garantire l'attuazione delle finalità istituzionali perseguite da Invitalia s.p.a.

La sentenza in commento, aderendo al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, ha specificato come la sottoposizione o meno della gara al regime pubblicistico fissato dal codice dei contratti pubblici, e la sua consequenziale sottoposizione alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo discende dalle caratteristiche oggettive dell'appalto e soggettive della stazione appaltante, e dunque dall'esistenza di un vincolo “eteronomo” e non dalla dichiarazione della stazione appaltante (c.d. autovincolo), attesa l'inderogabilità dalle parti delle regole sulla giurisdizione.

Oltre a ciò, il Collegio ha rilevato che, ai fini del radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non è determinante la gestione di un pubblico servizio da parte della società, dovendo ritenere a ciò necessario, secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale, che si tratti di una amministrazione che eserciti in concreto il proprio potere autoritativo ovvero di un soggetto privato, cui una disposizione di legge consenta l'esercizio di un potere della medesima natura.

Il Collegio ha, pertanto, affermato che la dimissione della partecipazione azionaria pubblica costituisce vicenda che viene posta in essere “iure privatorum e con il rispetto dei soli principi di non discriminazione e trasparenza e senza l'obbligo normativo di ricorrere alla procedura di evidenza pubblica che, come tale, possa radicare, in capo agli aspiranti acquirenti del pacchetto azionario, un interesse legittimo e la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.

In ragione, dunque, della natura della posizione giuridica soggettiva azionata dalla ricorrente, non riconducibile all'interesse legittimo, il Collegio ha concluso che, secondo il criterio del “petitum sostanziale”, la giurisdizione a conoscere del ricorso principale e del ricorso per motivi aggiunti è devoluta al giudice ordinario.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.