Intervenuta la maggiore età del minore, il Tribunale dei minorenni è sempre competente a decidere della domanda di adozioni in casi particolari?

16 Aprile 2021

Se l'adottando nelle more del giudizio diviene maggiorenne, il TM può comunque emettere sentenza di adozione ex art. 44 l.184/1983? Opera l'art. 5 c.p.c. oppure il tenore dell'art. 47, comma 1, l. 184/1983 deve lasciar intendere che la minore età deve sussistere al momento dell'emissione della sentenza?

Se l'adottando nelle more del giudizio diviene maggiorenne, il TM può comunque emettere sentenza di adozione ex art. 44 l.184/1983? Opera l'art. 5 c.p.c. oppure il tenore dell'art. 47, comma 1, l. 184/1983 deve lasciar intendere che la minore età deve sussistere al momento dell'emissione della sentenza?

L'ordinamento individua la competenza a pronunciare sulla domanda di adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44 della l. n. 184/1983, del Tribunale dei Minorenni nella cui circoscrizione il minore è residente e/o domiciliato.

Qualora si verifichi che nelle more del procedimento l'adottato sia divenuto maggiorenne, si pone il problema di comprendere se permanga in capo al Tribunale dei minorenni la competenza ad emanare il provvedimento di adozione, atteso che, per effetto dell'art. 47, comma 1, della l. n. 184/1983, l'adozione in casi particolari produce i suoi effetti ex nunc, ovvero dal momento dell'emissione della sentenza che la dichiara.

Sennonché le regole del processo civile italiano, in adesione al principio costituzionale espresso dall'art. 25 Cost., comma 1, stabiliscono che competenza e giurisdizione si determinano avuto riguardo al momento dell'instaurazione della controversia, essendo irrilevanti i successivi mutamenti della normativa o dello stato di fatto preesistente (cd. principio della cd. perpetuatio iurisdictionis, espresso dall'art. 5 c.p.c.).

Si tratta allora di stabilire quale delle due norme anzidette, nello specifico, prevalga. La questione non è di agevole e immediata soluzione, atteso che, a rigore, raggiunta la maggiore età verrebbero meno i presupposti dell'istituto dell'adozione in casi particolari, previsto a tutela delle persone minori d'età, acciocché parrebbe irragionevole ritenere che la competenza permanga in capo a un giudice che l'ordinamento ha istituito a presidio della minore età.

D'altra parte, per risolvere l'antinomia, dando seguito al principio secondo il quale la norma speciale deroga a quella generale, si potrebbe, in thesi, ritenere la prevalenza dell'art. 47 l. n. 184 del 1983 sulla norma generale prevista all'art. 5 del codice di rito, con la conseguenza che il Tribunale dei minorenni sarebbe obbligato a dichiarare la propria incompetenza a pronunciarsi sulla domanda, in favore del Tribunale ordinario.

Tuttavia, nel rivolgere la domanda al Tribunale ordinario indicato dal giudice minorile, verrebbe a prodursi un cortocircuito giuridico, atteso che il Tribunale non è in ogni caso competente a pronunciarsi sulla domanda di adozione in casi particolari, ma semmai potrà essere investito della diversa domanda di adozione di persona maggiorenne, ai sensi e per gli effetti degli artt. 291 c.c. e ss.

Da un punto di vista dell'efficacia giuridica, è fatto pacifico che i due istituti siano simili e vengano sovente sovrapposti dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria. A ben vedere, tuttavia, permangono alcune differenze sostanziali, in particolare per ciò che riguarda la loro ratio: il primo è stato istituito per consentire una continuità di rapporti tra il minore e un soggetto adulto, nell'ipotesi in cui non possa constatarsi una situazione di abbandono del minore, che sarebbe propedeutica all'adozione cd. piena o legittimante; l'adozione in casi particolari, pertanto, è posta a presidio dell'interesse prioritario del minore adottando. Il secondo, invece, è volto a soddisfare l'interesse prevalente dell'adottante ad individuare un altro adulto, più giovane, cui poter destinare il proprio patrimonio per successione, ovvero ancora per tramandare il cognome di famiglia, che altrimenti andrebbe perso.

Ciò rilevato, nel caso in esame, sembrerebbe che il procedimento di adozione in casi particolari non possa proseguire dinanzi al tribunale ordinario, se non attraverso un mutamento radicale della domanda, con ciò rischiando di pregiudicare l'istruttoria fino a quel momento svolta dal tribunale minorile.

Nonostante la similitudine tra i due istituti, la conseguenza sarebbe che la domanda originaria possa potenzialmente perdere d'interesse, siccome rivolta all'ottenimento di un provvedimento ontologicamente diverso da quello che il tribunale ordinario sarebbe autorizzato ad assumere.

Va da sé peraltro che l'art. 5 del codice di rito costituisce diretta emanazione di un principio costituzionale, che stabilisce l'impossibilità di distogliere le persone dal loro giudice naturale precostituito per legge e ciò dovrebbe, in thesi, ritenersi prevalente anche sulla normativa speciale di cui alla l.n. 184/1983.

Ad ogni modo, parrebbe non giovare al principio di economia processuale doversi dare luogo, dal principio, ad una seconda attività istruttoria potenzialmente riproduttiva dei medesimi esiti della prima condotta dal Tribunale dei minorenni.

Anche per questi motivi, si ritiene che, nonostante l'intervenuta maggiore età dell'adottando, il Tribunale dei minorenni possa pronunciare la sua adozione in casi particolari, in forza del principio della cd. perpetuatio iurisdictionis.

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