Divisione dei beni post separazione ed esenzione fiscale

Francesca Picardi
19 Aprile 2021

La Suprema Corte è stata chiamata nuovamente a pronunciarsi sull'ambito applicativo dell'art. 19 della l. n. 74 del 1987, in merito alla riconducibilità entro i confini dell'esenzione fiscale in esame dei trasferimenti immobiliari realizzati nel giudizio di divisione che segua alla separazione o al divorzio, eventualmente all'esito della trasformazione della comunione legale in ordinaria.
Massima

In materia di crisi familiare, beneficia dell'esenzione dell'imposta di registro relativa ad atti giudiziari, di cui all'art. 19, l. n. 74 del 1987, anche la sentenza di divisione giudiziale della comunione dei beni dei coniugi, che si sia resa necessaria in conseguenza della lite matrimoniale (nella specie, con assegnazione di immobili originariamente oggetto di comunione legale, scioltasi all'esito dell'omologa della separazione consensuale), atteso, da un lato, che la ratio dell'agevolazione tributaria risiede nella volontà di favorire le famiglie, già indebolite dalla crisi coniugale, che addivengono alla complessiva sistemazione dei loro rapporti patrimoniali e, dall'altro lato, che lo scioglimento della comunione, unitamente ai trasferimenti (mobiliari o immobiliari) che ne derivano, non costituiscono indice di capacità contributiva.

Il caso

All'esito della separazione consensuale i coniugi hanno instaurato un giudizio di divisione, conclusosi con l'assegnazione di un immobile a ciascuno dei due ed il rispettivo conguaglio. L'Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di liquidazione, ritenendo che la sentenza non possa considerarsi esente da imposta di registrazione. Il ricorso proposto dalla contribuente, invocando l'esenzione di cui all'art. 19 della l. n. 74 del 1987, è stato respinto dalla Commissione tributaria provinciale, la cui decisione è stata, però, riformata in appello. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, lamentando l'erronea applicazione dell'art. 19 della l. n. 74 del 1987, non potendo considerarsi i trasferimenti immobiliari realizzati nel giudizio di divisione conseguenziali ed attuativi della separazione consensuale tra i coniugi, rispetto a cui sono solo occasionalmente collegati.

Le questioni

La Suprema Corte è stata, dunque, chiamata nuovamente a pronunciarsi sull'ambito applicativo dell'art. 19 della l. n. 74 del 1987, che, in modo analogo a quanto previsto dall'art. 82 della l. n. 184 del 1983, relativamente alle procedure di affidamento e di adozione del minore di età, dispone che sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della l. n. 898 del 1970, n. 898 – disposizione, come noto, estesa, in virtù degli interventi della Corte costituzionale n. 176 del 1992 e 154 del 1999, anche a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi. In particolare, si è sottoposto al giudice di legittimità il problema della riconducibilità entro i confini dell'esenzione fiscale in esame dei trasferimenti immobiliari realizzati nel giudizio di divisione che segua alla separazione o al divorzio, eventualmente all'esito della trasformazione della comunione legale in ordinaria.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha dato risposta positiva all'interrogativo sottopostole, ulteriormente chiarendo la delimitazione dell'esenzione di cui all'art. 19, l. n. 74/1987.

A tale risultato è pervenuta in considerazione: 1) della ritenuta irrilevanza, ai fini del beneficio fiscale attribuito dal legislatore nel contesto della crisi familiare, della distinzione - elaborata dalla giurisprudenza in una prospettiva civilistica e non tributaria - del contenuto necessario o solo eventuale di separazione e divorzio (il primo collegato all'adempimento degli obblighi di mantenimento, all'affidamento dei figli ed all'assegnazione della casa familiare, ed il secondo avente ad oggetto rapporti autonomi da quelli derivanti dal matrimonio, che necessitano di una regolamentazione in considerazione della fine del legame sentimentale); 2) della individuata ratio della disposizione in esame, consistente nel favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in occasione della crisi, escludendo che possano derivarne ripercussioni fiscali sfavorevoli, in considerazione dell'impoverimento economico collegato a tale difficile momento, in cui conseguentemente i trasferimenti immobiliari non possono ragionevolmente considerarsi indici di capacità contributiva.

Si tratta di un'ulteriore evoluzione di un percorso avviato con la sentenza Cass., 3 febbraio 2016, n. 2111, che, riconoscendo la spettanza del beneficio rispetto al trasferimento, concordato tra i coniugi, di una porzione di immobile, che, in costanza di matrimonio, era stato dai medesimi acquistato pro quota in regime di separazione dei beni, ha affermato il principio secondo cui l'agevolazione di cui all'art. 19, l. n. 74/1987, nel testo conseguente alla pronuncia della Consulta n. 154/1999, spetta per gli atti esecutivi degli accordi intervenuti tra i coniugi in esito alla separazione personale o allo scioglimento del matrimonio, atteso il carattere di "negoziazione globale" attribuito alla liquidazione del rapporto coniugale per il tramite di contratti tipici in funzione di definizione non contenziosa, i quali, nell'ambito della nuova cornice normativa (da ultimo culminata nella disciplina di cui agli artt. 6 e 12 del d.l. n. 132/2014, conv. con modif. nella l. n. 162/2014), rinvengono il loro fondamento nella centralità del consenso dei coniugi.

In definitiva, il ragionamento svolto dai giudici di legittimità con riferimento agli accordi di divisione è stato estesoanche alle sentenze di divisione, rese necessarie dal mancato raggiungimento di una soluzione consensuale, confermando la soluzione già seguita da Cass., Sez. V, 5 giugno 2013, n. 14157, secondo cui l'agevolazione di cui all'art. 19, l. n. 74/1987 opera con riferimento a tutti i provvedimenti "relativi" al procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, compresi quelli (nella specie, la divisione giudiziale con attribuzione della casa coniugale in proprietà esclusiva al contribuente) pronunciati fuori dallo stesso, purché rivolti a regolare rapporti economici insorti tra i coniugi a cagione della loro lite matrimoniale. Del resto, la stessa lettera della legge, laddove riferisce l'esenzione ai provvedimenti "relativi" a procedimenti di separazione e divorzio, sembra voler riconoscere il beneficio anche ai quei provvedimenti che, pur se pronunciati in giudizio diverso, siano comunque rivolti a regolare, in considerazione della crisi, i rapporti economici dei coniugi.

Osservazioni

La crisi familiare si traduce, nella generalità delle situazioni, in un impoverimentodei partners, in quanto implica, secondo l'id quod plerumque accidit, la disgregazione del patrimonio comune e la perdita di tutti i risparmi collegati ad un'organizzazione unica, con la conseguente duplicazione delle spese. Tale pregiudizio economico sembra costituire la ratio della disciplina fiscale della separazione e del divorzio (ed oggi dello scioglimento delle unioni civili) ed in particolare dell'art. 19, l. n. 74/1987, sicché è senz'altro condivisibile la pronuncia in esame, che conferma l'applicazione dell'esenzione fiscale anche ai provvedimenti adottati in giudizi che, sebbene diversi da quello di separazione o divorzio, abbiano ad oggetto rapporti la cui necessità di definizione consegue alla frattura familiare. Difatti, alla luce del fondamento del benefico fiscale, costituito, in ossequio all'art. 53 Cost., dall'impoverimento della famiglia in crisi e, cioè, dalla minore capacità contributiva, non risulterebbe giustificato estenderlo ai contratti stipulati al fuori dei procedimenti di separazione e divorzio, ma in esecuzione degli accordi dei coniugi recepiti dal collegio, ed escluderlo, invece, laddove lo stesso rapporto sia regolato in sede contenziosa, non essendosi raggiunta una soluzione consensuale, tenuto conto che l'obiettivo principale del legislatore, con l'art. 19 in esame, non è quello di incentivare la soluzione concordata della crisi familiare, ma di offrire un sollievo economico ai nuclei familiari nel momento della frantumazione, a cui necessariamente si collega una perdita economica.

Peraltro, non va trascurato che la divisione giudiziale dei beni oggetto di comunione legale non può avvenire nel procedimento di separazione, sciogliendosi la comunione solo con il passaggio in giudicato della sentenza o con l'omologa dell'accordo, e, che, comunque, non è ammissibile il cumulo in unico processo della domanda di separazione o divorzio, soggetta al rito camerale, con quella di divisione dei beni comuni dei coniugi, soggetta al rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l'una dall'altra (Cass., Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 6424; v. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2006, n. 26158, secondo cui la trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all'art. 40 c.p.c., nel testo modificato dalla legge n. 353/1990, soltanto se tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., per cui non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di divorzio, soggetta al rito camerale, e di quella di divisione dei beni comuni, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l'una dall'altra). Una soluzione diversa da quella adottata dalla Suprema Corte finirebbe, quindi, con il far dipendere i limiti applicativi del beneficio fiscale di cui all'art. 19, l. n. 74/1987 dalla disciplina processuale delle cause connesse, ispirata ad altre esigenze.

La decisione risulta, inoltre, coerente con i più recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità, che tende a dilatare la portata della disposizione de qua, coerentemente con la sua ratio, ricomprendendovi tutti i provvedimenti e tutti gli atti che scaturiscano dalla lite familiare e risentano, quindi, dell'impoverimento che ne deriva.

Può, ad esempio, ricordarsi che, dopo aver affermato che, in tema di agevolazioni “prima casa”, il trasferimento dell'immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall'acquisto, se effettuato in favore del coniuge in virtù di una modifica delle condizioni di separazione, pur non essendo riconducibile alla forza maggiore, non comporta la decadenza dai benefici fiscali, attesa la "ratio" dell'art. 19, l. n. 74/1987, che è quella di favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in occasione della crisi, escludendo che derivino ripercussioni fiscali sfavorevoli dagli accordi intervenuti in tale sede (Cass., Sez. V, 29 marzo 2017, n. 8104), sembra essersi pure riconosciuto che, in ragione dell'obiettivo perseguito dal legislatore, il trasferimento ad un terzo dell'immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa”, per effetto di un accordo tra coniugi in sede di separazione personale, non comporta la decadenza dai benefici fiscali, attesa la portata generale dell'art. 19, l. n. 74/1987, che non distingue tra atti eseguiti all'interno della famiglia e nei confronti di terzi (Cass., Sez. V, 21 marzo 2019, n. 7966, commenta da A. Borgoglio, in Il Fisco, 2019, 1481, che pare aver superato la posizione contraria espressa da Cass., Sez. V, 17 gennaio 2014, n. 860, secondo cui, l'agevolazione di cui all'art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, per gli atti esecutivi degli accordi intervenuti tra i coniugi, sotto il controllo del giudice, per regolare i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, spetta solo se i soggetti che li pongano in essere siano gli stessi coniugi che hanno concluso i suddetti accordi, e non anche terzi; poco significativa risulta, infatti, Cass., Sez. 1, 6 marzo 2019, n. 6522, che si riferisce, invero, ad una fattispecie diversa, avente ad oggetto un'iscrizione ipotecaria relativa al credito di un coniuge nei confronti di un terzo, oggetto di cessione all'altro coniuge in ossequio agli accordi di separazione, e solo, in termini di obiter, ribadisce il precedente del 2014). Del resto, il collegamento con la separazione o il divorzio elimina ogni dubbio circa la sussistenza di un intento speculativo. Il trasferimento immobiliare avviene, difatti, non per realizzare un profitto, ma per regolare i rapporti familiari e non è, di regola, accompagnato dall'arricchimento di nessuno dei soggetti coinvolti, dato l'impoverimento ingenerato dalla crisi familiare, che disperde i risparmi fondati sulla comune organizzazione: la vendita al terzo avviene per affrontare le perdite determinate dalla frattura coniugale e per soddisfare l'esigenza di reperire autonome soluzioni abitative, non sempre realizzabili con un nuovo acquisto (in questo senso P. Giunchi, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 128, 2012, 4, che sottolinea come « la cessione al terzo da parte del coniuge beneficiato sia necessariamente connessa alla causa negoziale, stante la posizione « non passiva » di entrambi i coniugi nel formarsi dell'accordo: la fattispecie prospettata non sarebbe realizzabile se il coniuge beneficiato rifiutasse la cessione al terzo della propria quota »; G. Glendi, La separazione ed il divorzio nel diritto tributario, in Fam. e dir., 2014, 736, secondo la quale «bisognerebbe considerare che i coniugi, spesso, cedono a terzi l'immobile di comune proprietà, non certamente con intenti speculativi, ma perché costretti a far fronte all'impoverimento causato dal frantumarsi del nucleo familiare e, nel contempo, a soddisfare l'esigenza di ciascuno di essi di trovare un'autonoma soluzione abitativa, non sempre realizzabile con un nuovo acquisto, stante il relativo costo»). Non sembra, pertanto, potersi ritenere imprescindibile, ai fini del trattamento tributario di favore, che i coniugi o i figli siano parti degli atti relativi ai procedimenti di separazione o divorzio, assumendo, piuttosto, rilevanza, in un'ottica oggettiva, la strumentalità dell'atto alla sistemazione della crisi familiare e la conseguente ridistribuzione delle sostanze familiari, originariamente integranti un unico patrimonio, realizzabile anche tramite la vendita a terzi.

Va, invece, notato che non si è ancora sviluppato un orientamento giurisprudenziale relativamente al regime tributario della crisi della famiglia di fatto. Invero, la pronuncia della Corte cost. 11 giugno 2003, n.202, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, lett. b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, ove non esenta dall'imposta di registro i provvedimenti emessi in applicazione dell'art. 148 c.c. nell'ambito dei rapporti fra genitori e figli, si riferisce esclusivamente ai provvedimenti dell'autorità giudiziariae non anche agli atti ed ai documenti, per cui non sembra ancora raggiunta un'integrale equiparazione tributaria della crisi della famiglia legittima e di quella di fatto, che sarebbe alquanto auspicabile, anche alla luce del principio di uguaglianza. Nel regime attuale, difatti, mentre le famiglie legittime possono godere del favorevole regime tributario laddove pervengano ad una sistemazione consensuale globale e definitiva dell'assetto patrimoniale, che sicuramente concorre ad una maggiore serenità nei rapporti familiari, le famiglie di fatto sono soggette all'ordinario trattamento tributario, per cui la conclusione di un accordo di composizione della crisi con effetti traslativi immobiliari non è affatto incentivata. La differente disciplina non è giustificata da una diversa capacità contributiva dei due nuclei familiari, la cui consistenza ed il cui impoverimento, in concomitanza con la crisi, non sembrano dipendere dalla giuridicizzazione del vincolo affettivo.

Riferimenti

P.Tarigo, L'esenzione fiscale degli atti posti in essere nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio: profili sostanziali e di costituzionalità, in Rass. trib., 2001,

F.Picardi, I profili tributari della crisi familiare, Milano, 2016.