Esports e fisco: il nuovo binomio del gaming

Giancarlo Marzo
Irene Barbieri
20 Aprile 2021

Se pensate che lo sport si giochi ancora su un campo da calcio o da tennis, in una pista ciclabile o su un ring di pugilato, allora siete decisamente fuori strada. Già, perché nell'era dei social e del digitale, anche lo sport si veste di tecnologia: le competizioni sportive si giocano sul web, a colpi di joystick e dirette streaming, dietro lo schermo di un PC o tramite le più famose console di gaming. Singoli giocatori o intere squadre di giocatori, i cd. gamers o più in generale streamers, si sfidano nell'uso di videogiochi su piattaforme digitali, davanti a una platea di utenti, i cd. followers, uniti nel nome di una stessa passione, oltre qualsiasi barriera fisica. Si tratta della nuova frontiera dell'entertainment legato allo sport che, partendo dalla Corea del Sud, si è diffuso a macchia d'olio in tutto il mondo, conquistando definitivamente anche l'Italia.
Il mondo degli eSports

Se pensate che lo sport si giochi ancora su un campo da calcio o da tennis, in una pista ciclabile o su un ring di pugilato, allora siete decisamente fuori strada. Già, perché nell'era dei social e del digitale, anche lo sport si veste di tecnologia: le competizioni sportive si giocano sul web, a colpi di joystick e dirette streaming, dietro lo schermo di un PC o tramite le più famose console di gaming. Singoli giocatori o intere squadre di giocatori, i cd. gamers o più in generale streamers, si sfidano nell'uso di videogiochi su piattaforme digitali, davanti a una platea di utenti, i cd. followers, uniti nel nome di una stessa passione, oltre qualsiasi barriera fisica. Si tratta della nuova frontiera dell'entertainment legato allo sport che, partendo dalla Corea del Sud, si è diffuso a macchia d'olio in tutto il mondo, conquistando definitivamente anche l'Italia.

In una parola sola? eSports.

Complice anche la crisi degli eventi sportivi tradizionali, dovuta al generalizzato lock-down come misura di contenimento dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, gli eSports spopolano ormai sulla rete e registrano cifre d'affari da capogiro. Il “2019 Global Esports Market Report” parla di oltre 1 miliardo di dollari per il 2019, con una crescita del 26,7% e un pubblico di spettatori di quasi mezzo miliardo. Ancora più rosee le aspettative per i prossimi anni, stimandosi entro il 2022 un aumento del ricavo medio per fan fino a 6,02 dollari, con quasi 2 miliardi complessivi di fatturato.

Non c'è da stupirsi, quindi, se le competizioni virtuali, campionati o tornei che siano, giocati con gli schemi più vari- un gamer vs il computer, un gamer vs un altro gamer con eliminazione diretta, oppure come kermesse sportiva a squadre- vantino ormai migliaia di spettatori e prevedano premi milionari. Tanto da far gola a famosi brand che, adeguandosi alle nuove tendenze, schierano i propri atleti digitali o sponsorizzano quelli già resi noti dal web, in modo da pubblicizzare i loro prodotti e moltiplicare i guadagni.

Motore degli eSports è, infatti, l'attività di streaming, che parte dall'affiliazione ad una piattaforma con le iscrizioni a pagamento al canale e l'abilitazione dei cd. bit, moneta di scambio virtuale necessaria per fare il tifo per il gamer e appoggiarlo economicamente. Si tratta di un'attività incentivata dalle stesse piattaforme tramite accordi di partnership o di sponsorizzazione, stipulati anzitutto in base al numero dei followers che sostengono il gamer, ma anche ad altre variabili.

E visto che lo sport virtuale finisce per convogliare proventi di una certa consistenza, è logico che anche l'Amministrazione finanziaria inizi ad osservare più da vicino il fenomeno.

Le tipologie di proventi del gamer

Per capire che tipo di provento derivante dagli eSports possa passare sotto la lente del Fisco, bisogna tenere a mente il fatto che il gamer s'inquadra a metà tra un atleta ed un performer. Da un lato, per portare a casa il montepremi messo in palio dall'organizzazione della Kermesse, sfrutta le sue abilità nelle singole specialità ludiche: dai giochi di ruolo, agli sparatutto fino ai simulatori di guida.

Dall'altro lato, il gamer è chiamato a mettere a frutto le capacità comunicative di cui è dotato per raggiungere quanti più utenti possibili: all'aumentare dei follower, infatti, aumenta il traffico sui social, quindi le visualizzazioni e, con esse, le possibilità di monetizzazione per la squadra di appartenenza, o per il marchio che fa gli fa da sponsor.

Su questa base, quindi, è possibile inquadrare i ricavi del gamer in due gruppi principali:

  • un primo gruppo di proventi derivanti dall'attività di gaming online, in cui rientrano l'attribuzione di “bit” o altre monete di scambio virtuale, nonché i premi e le vincite relative alla partecipazione a competizioni internazionali. Parliamo di cifre spesso ragguardevoli, che incoraggiano i gamer migliori a gareggiare sia come singoli che come membri di una squadra la quale, in caso di vittoria, s'incaricherà di incassare il montepremi e ripartirlo tra i vari componenti del team;
  • una seconda categoria di proventi è, invece, quella che raggruppa i ricavi ottenuti dal gamer grazie allo sfruttamento economico della propria immagine, a seguito della conclusione di contratti di sponsor e merchandising con noti brand, non necessariamente sportivi. In altre parole, il seguito che il gamer ha sul web può essere utilizzato ai fini pubblicitari, in modo da incoraggiare i follower ad acquistare il software del gioco in cui si cimenta il loro beniamino, i prodotti che consuma durante le dirette live o quelli promossi con i banner presenti sul suo canale.

Una sorta di categoria a sé stante è poi quella delle donazioni fatte al gamer dagli utenti per fornirgli un supporto anche economico.

L'inquadramento tributario dei proventi del gamer

In assenza di una disciplina ad hoc, particolarmente problematica può risultare l'individuazione del trattamento fiscale da riservare ai proventi degli eSports. Ciò in quanto questi ultimi non possono essere annoverati tra gli sport tradizionali e, dunque, nel raggio di azione della L. n. 91/1981, ma nemmeno nell'ambito del gaming propriamente detto o del gambling. Ragion per cui, per capire se i ricavi del gamer possano essere assoggettati o meno a tassazione ed eventualmente in che modalità, bisogna ricorrere in via analogica alle norme dettate dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (d.P.R. n. 917/1986) in materia di categorie reddituali.

In sostanza bisogna verificare, caso per caso, anche in base ai rapporti contrattuali eventualmente esistenti tra le parti, se gli introiti del mondo degli eSports possano, di volta in volta, essere ricondotti ai compensi derivanti da attività di lavoro autonomo di cui all'art. 53 del TUIR, o inquadrati tra i redditi di lavoro dipendente previsti dall'art. 51 del TUIR o, piuttosto, tra i redditi diversi, di cui all'art. 67 del TUIR.

A questo riguardo, per superare le incertezze applicative, potrebbe essere utile tenere conto di due indici fondamentali:

(i)la natura della prestazione svolta;

(ii)la residenza fiscale del gamer.

La natura della prestazione resa

La prima variabile da considerare è il tipo di prestazione da cui deriva il provento da tassare.

In effetti, l'attività svolta dal gamer potrebbe avere natura occasionale o, al contrario, abituale. Laddove per attività occasionale si deve intendere quella saltuaria, esercitata in maniera episodica e temporanea, senza alcuna continuità; mentre per attività abituale quella che assume i connotati della stabilità e professionalità. Così, se lo streamer è all'inizio della sua carriera e, quindi, non è particolarmente conosciuto, non avrà necessità di aprire una partita Iva per fatturare i proventi derivanti dagli eSports, potendo servirsi di semplici notule per prestazioni occasionali. Diversamente, qualora lo streamer goda di una certa fama, non è infrequente che sia legato ad una piattaforma in maniera stabile, con conseguente necessità di aprire una partita Iva per la fatturazione.

In linea di massima, sono proventi di natura occasionale,

ex

art. 67, lettera d) del TUIR

, «le vincite derivanti da lotterie, concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzati per il pubblico e i premi derivanti da prove di abilità o dalla sorte nonché quelli attribuiti in riconoscimento di particolari meriti artistici scientifici o sociali». Questo significa che, assimilando i tornei a vere e proprie prove di abilità, i montepremi incassati a seguito della relativa vincita rientrano nella categoria dei redditi diversi, nella misura in cui non costituiscono redditi di capitale e non vengono conseguiti nell'esercizio di arti o professioni o da imprese commerciali. Ai fini Irpef, dunque, il gamer subirà una ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 20%, percependo il provento al netto della tassazione senza necessità di aprire alcuna partita Iva.

Se invece l'attività dello streamer presenta carattere abituale, allora diventa fondamentale distinguere a seconda che essa sia svolta con o senza vincolo di subordinazione. Il vincolo di subordinazione in genere sussiste qualora il gamer faccia parte di una squadra. In tale ultimo caso, infatti, sarà una sorta di dipendente della società sportiva per la quale gareggia. Di talché, il reddito percepito a seguito dell'esercizio abituale di sport virtuale per il team di appartenenza verrebbe inquadrato nella categoria dei redditi di lavoro dipendente, con conseguente ritenuta alla fonte a titolo di imposta. E ciò a prescindere dal fatto che il compenso derivi dall'attività di streaming o da quella di sponsorizzazione e merchandising, visto che i diritti di immagine possono essere tranquillamente ceduti al club di appartenenza.

Diversamente, ove il gamer non abbia alcun vincolo di subordinazione e, dunque, lavori in proprio, i ricavi conseguiti potrebbero essere assorbiti tra le maglie dei redditi di lavoro autonomo, con conseguente tassazione Irpef per scaglioni, e ritenuta alla fonte a titolo di acconto pari al 20%. A meno che il gamer non abbia un fatturato annuo inferiore a 65.000 euro, potendo in tal caso accedere al regime forfettario, con imposta sostitutiva di Irpef e addizionali pari al 15% e, per primi 5 anni di esercizio dell'attività, al 5%.

In ogni caso, laddove il gamer operi come un lavoratore autonomo, dovrà soddisfare due incombenze formali:

  1. ai fini reddituali, sarà tenuto ad aprire una partita Iva per la fatturazione dei corrispondenti proventi, scegliendo tra i codici ATECO più adattabili. In particolare, potrebbe optare per il codice 82.99.99 “altri servizi alle imprese” per l'attività di gamer propriamente detta; per il codice 73.11.02 “conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari” per i guadagni derivanti per lo più dai canali social; o infine per il codice 63.12.00 “gestione portali web”, più adatto ai gamer che gestiscono un proprio portale o che operano tramite altre piattaforme;
  2. ai fini previdenziali, dovrà iscriversi alla gestione separata INPS.

Discorso a parte va fatto, invece, per le donazioni che il gamer potrebbe ricevere dai propri follower a titolo di supporto, a prescindere dalla iscrizione al suo canale. Ora, considerando che si tratta di elargizioni libere, anche dal punto di vista quantitativo, che vengono versate allo streamer indipendentemente da una sua controprestazione, non le si può ritenere rilevanti sotto il profilo fiscale. In effetti, in quanto donazioni dirette, gli importi in parola non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini Irpef; sempre che l'Amministrazione finanziaria non tenti una loro riqualificazione in compensi versati in cambio dell'intrattenimento che il gamer offre sulla relativa piattaforma, con conseguente assoggettamento alla corrispondente tassazione.

La residenza fiscale del gamer

La seconda variabile che incide sul trattamento fiscale degli eSports è senza dubbio la residenza fiscale del gamer.

In effetti, la connotazione virtuale degli eSports finisce per tingere di transnazionalità l'attività del gamer.

Donde il rischio di doppia imposizione, atteso che alcuni Stati tassano, tramite ritenute alla fonte a titolo di imposta, anche i redditi prodotti dai non residenti. Così, il gamer italiano, come qualsiasi altro soggetto fiscalmente residente in Italia, ai sensi dell'art. 2, comma 2 TUIR, verrà senza dubbio tassato in Italia per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in virtù del principio del World Wide Taxation. Tuttavia, non è escluso che subisca la ritenuta in uscita dal cd. Paese della Fonte del reddito, ossia dal Paese in cui ha prodotto il reddito.

Di fronte a un problema di doppia imposizione, soccorrono le convenzioni all'uopo stipulate dagli stessi Paesi coinvolti, che normalmente si adeguano al Modello di Convenzione-tipo elaborato dall'OCSE per l'eliminazione o comunque l'attenuazione della doppia imposizione. Il suddetto Modello, per i business profits e i redditi derivanti da professional services or other activities of an independent character nonché per i redditi di lavoro dipendente, risolve il problema prevedendo la tassazione esclusiva nello Stato di residenza del contribuente.

Ciononostante, il gamer potrebbe essere attratto nell'ambito applicativo dell'art. 17 dello stesso Modello Ocse, riservato agli Entertainers and sportspersons. In effetti, sebbene il Commentario al Modello OCSE non dia alcuna definizione di entertainer e sportsperson, la performance del gamer – come quella di entertainers e sportpersons- ha carattere pubblico e di intrattenimento. Senza contare che a livello normativo non è richiesto che il termine sportperson si riferisca necessariamente a uno sport tradizionale o sia collegato al carattere professionale o, viceversa, amatoriale dell'attività.

Dunque, in deroga ai princìpi generali, secondo il dettato dell'art. 17 cit., i redditi di Entertainers e sportspersons devono essere tassati nello Stato in cui i suddetti soggetti esercitano – di volta in volta – la loro attività, anche se sprovvisti di una “base fissa”. Ciò nella misura in cui si possa individuare una stretta connessione («close connection») tra la performance e i redditi prodotti, anche alla luce delle singole pattuizioni contrattuali. Pertanto, come gli artisti e gli sportivi in mobilità, per i redditi strettamente connessi con la performance pubblica e di intrattenimento resa, il gamer italiano potrebbe essere sottoposto a tassazione sia nello Stato di residenza che in quello in cui ha esercitato l'attività. Diventa così intuitiva l'importanza del concetto di “close connection”, specie in fatto di redditi derivanti dalle sponsorizzazioni o dal merchandising, la cui connessione con la prestazione pubblica e di intrattenimento resa non è affatto immediata.

Conclusioni

Visti tutti i risvolti applicativi della disciplina degli eSports, sarebbe il caso che il Legislatore intervenisse quanto prima per farsi carico della regolamentazione di un comparto decisamente in espansione, il cui sviluppo non può più essere ignorato dall'ordinamento. In attesa, dunque, che venga dettata un'apposita normativa di settore, mentre le Federazioni sportive internazionali e i Comitati olimpici nazionali s'interrogano sulla possibilità di inserire gli eSports nell'ambito delle discipline sportive “ufficiali”, il gamer farebbe meglio a chiedere aiuto a un professionista per definire la propria posizione fiscale, in modo da evitare possibili contestazioni da parte dell'Amministrazione finanziaria.

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