Informativa antimafia: il vincolo parentale non costituisce di per sé un indizio dell'infiltrazione mafiosa

Leonardo Droghini
23 Aprile 2021

Il legame parentale non costituisce di per sé un indizio dell'infiltrazione mafiosa, specie laddove il parente deriva la propria presunta pericolosità dalla frequentazione di altri soggetti; in tal caso occorre almeno ipotizzare che dal rapporto di parentela sia scaturita una cointeressenza in illeciti rapporti o compartecipazione in azioni sospette.

Il caso. L'impresa individuale ricorrente era destinataria di una interdittiva prefettizia, motivata tra il resto sulla base di frequentazioni sospette del ricorrente con vari soggetti, tra cui due cugini, a loro volta già destinatari di informazione antimafia e vicini a consorterie criminali. Al riguardo, l'informazione impugnata elencava a sostegno del rischio di infiltrazione mafiosa i precedenti di polizia e le frequentazioni dei due cugini.

La decisione. In via preliminare, il CGARS ha ricordato che la Corte Costituzionale ha inquadrato l'istituto dell'informazione antimafia – di cui agli artt. 84 co. 4, 93, co. 4 e 91, co. 6, d.lgs. n. 159 del 2011 - affermando che il potere di adottare un'informazione interdittiva nei confronti delle imprese private oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata, perché esso è giustificato dall'estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana (Corte cost. 26 marzo 2020, n. 57).

Quanto ai rapporti di parentela, nel valutare la correttezza dell'impianto motivazionale relativo alle frequentazioni del ricorrente e dei cugini, il Collegio ha osservato che il provvedimento impugnato si fonda su di un costrutto logico circolare in cui il sospetto si trasferisce fra le suddette persone fisiche, unite da legami parentali, autoalimentandosi e non concretizzandosi in una specifica condotta.

In particolare, il Collegio ha in primo luogo notato che le interdittive relative ai cugini del ricorrente erano state annullate dallo stesso CGARS.

Inoltre, il legame parentale non costituisce di per sé un indizio dell'infiltrazione mafiosa, specie laddove il parente deriva la propria presunta pericolosità dalla frequentazione di altri soggetti. La pericolosità sociale non si trasferisce infatti automaticamente da un parente all'altro ma occorre almeno ipotizzare che dal rapporto di parentela sia scaturita una cointeressenza in illeciti rapporti o compartecipazione in azioni sospette.

Dopo un attento scrutinio delle frequentazioni e dei precedenti di polizia dei cugini del ricorrente, il Collegio ha ritenuto che presupposti dell'interdittiva impugnata assumessero una ridotta valenza indiziaria, non emergendo dalla lettura complessiva del provvedimento gravato le ragioni di un giudizio prognostico sfavorevole. Ciò in quanto, benché il provvedimento prefettizio sia manifestazione di un potere ampiamente discrezionale, la regola da applicare nel formulare il giudizio diagnostico sfavorevole è quella del “più probabile che non”, con la conseguenza che il provvedimento interdittivo necessita, in ogni caso, di un valido ancoraggio a fatti e condotte specificamente individuate e provate.

Nel caso qui controverso difettano invece quegli “indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali” ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105 nonché da ultimo, nel medesimo senso, anche CCGARS 30 dicembre 2019, n. 1099).

Tanto basta per accogliere i motivi di ricorso, con riforma della sentenza di primo grado e il conseguente annullamento dell'informazione antimafia interdittiva impugnata.