Tabulati telefonici e contrasti interpretativi: come sopravvivere in attesa di una nuova legge
03 Maggio 2021
Premessa
Poche decisioni, quantomeno in tempi recenti, sono state oggetto di un così elevato numero di commenti e hanno determinato una “spaccatura” ermeneutica così significativa nell'ambito dell'attività giudiziaria, quanto la sentenza 2 marzo 2021, emessa nella causa C 746/18m, della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in tema di tabulati telefonici. Le prime decisioni intervenute - tra le quali l'ordinanza del Tribunale di Milano e il decreto del Gip di Roma che si riportano - in sostanza diametralmente opposte - suggeriscono una serie di considerazioni che, da oggi e verosimilmente sino ad un intervento del legislatore e della Suprema Corte, terranno impegnati gli interpreti. Una sentenza dirompente
Molto si è già scritto e molto si scriverà, in tema di tabulati telefonici- sulla sentenza 2 marzo 2021, emessa nella causa C 746/18m, della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Una sentenza indubbiamente di grande rilievo che, in estrema sintesi si è soffermata su due aspetti. In primo luogo, precisando che i tabulati telefonici di una persona indagata possono essere acquisiti solo in seguito a vaglio o autorizzazione di un'autorità indipendente o di un giudice terzo e imparziale. In sostanza, non dal pubblico ministero. Precisa la sentenza che «L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito e di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l'azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l'accesso di un'autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all'ubicazione ai fini di un'istruttoria penale». In secondo luogo, la sentenza impone un ripensamento anche sulla possibilità di utilizzo dei tabulati, con riguardo all'accesso, per fini penali, a un insieme di dati di comunicazioni elettroniche relativi al traffico o all'ubicazione- tali quindi da permettere trarre precise conclusioni sulla vita privata. Il sopra menzionato art. 15 paragrafo 1, al riguardo, deve essere interpretato «nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l'accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per formalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale !'accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo.” Rebus sic stantibus, almeno quattro sono le domande che l'interprete - specie se impegnato direttamente sul campo - può e deve porsi. Come interverrà il legislatore per adeguare il sistema nazionale alle indicazioni della CGCE? Nel frattempo, quali saranno le ricadute immediate per i procedimenti e per i processi in corso? E ancora, quali potranno essere le conseguenze della nuova disciplina sui tabulati sull'accertamento delle responsabilità penali, in ottica sia accusatoria sia defensionale? Infine, la sentenza in oggetto quanto è condivisibile - pure nella sua autorevolezza - con riguardo all'intervento sul delicato equilibrio tra la tutela della riservatezza e quelle investigative e sul ruolo del pubblico ministero? Non è questa la sede per provare a fornire una risposta all'ultima domanda. Una questione annosa, amplissima e delicata, con troppo implicazione “politiche” – almeno in senso lato – perché sia corretto prendere spazio e attenzione su una rivista tecnica come queste deve e vuole essere. Occorre lasciare spazio alle altre questioni sulle quali si è già pronunciata l'A.G. in varie sedi, fornendo soluzioni diametralmente opposte. Apparentemente, le decisioni che vengano richiamate nella presente sede non sono – con tutta la buona volontà - “conciliabili”. Nell'attesa di comprendere chi ha imboccato la via corretta, pare ragionevole conoscerle e - al più- aggiungere qualche considerazione collaterale, nell'attesa che la S.C. – prima - e il legislatore – poi - forniscano risposte definitive. Una prima doverosa puntualizzazione: allo stato, è il P.M. a disporre con decreto motivato, l'acquisizione dei tabulati telefonici, ai sensi dell'art. 132 d.lgs. n. 196/2003. Possibilità prevista in via ordinaria: - per qualsiasi tipologia di reato; - nei confronti di chiunque (e dunque non solo dell'indagato); - con il solo limite temporale desumibile dal fatto che, fermo restando quanto previsto dall'art. 123, comma 2, i dati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per ventiquattro mesi dalla data della comunicazione (laddove i dati relativi al traffico telematico sono conservati solo per dodici mesi). Per altro, ai sensi dell'art. 24 l. 167/2017, «al fine di garantire strumenti di indagine efficace in considerazione delle straordinarie esigenze di contrasto del terrorismo, anche internazionale, per le finalità dell'accertamento e della repressione dei reati di cui agli artt. 51, comma 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), c.p.p.” il periodo di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico ha previsto per 72 mesi. Indicazioni, pertanto, totalmente discordanti rispetto ai principi espressi dalla menzionata sentenza, anche, ovviamente, in relazione alla “legittimazione” all'acquisizione, che il legislatore italiano aveva individuato in capo al giudice, su istanza delle parti, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 196/2003, e che in seguito è stata esclusa. Si tratta di problematiche – da tempo segnalate con particolare convinzione dalla dottrina nazionale, in termini sostanzialmente univoci- che la S.C. aveva più volte affrontato, giungendo a conclusioni non sovrapponibili rispetto alla decisione in oggetto, che si fonda (anche) su un quadro normativo europeo differente. In questo senso, rispetto ai principi espressi dagli artt.7 e 8 della Carta di Nizza – in tema di protezione dei dati personali dell'individuo- si sono aggiunti il GDPR (Regolamento UE 16/679, in vigore il 28 maggio 2018 e la Direttiva 680/18. Per la CGUE «il controllo preventivo esige, tra l'altro, che il giudice o l'entità incaricata di effettuare tale controllo disponga di tutte le attribuzioni e presenti tutte le garanzie necessarie al fine di assicurare una conciliazione dei diversi interessi e diritti in gioco. Per quanto riguarda più in particolare un'indagine penale, un controllo siffatto esige che tale giudice o tale entità sia in grado di garantire un giusto equilibrio tra, da un lato, gli interessi connessi alle necessità dell'indagine nell'ambito della lotta contro la criminalità e, dall'altro, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone i cui dati sono interessati dall'accesso»). Qui emerge, con particolare chiarezza, il primo - o forse è meglio dire - il fondamentale problema: la decisione affronta unitariamente due aspetti (entrambi certamente di grande rilievo) che sono, tuttavia, profondamente differenti e che forse avrebbero meritato - sul piano logico, prima di tutto - risposte differenziate. La tutela della riservatezza, rispetto ai quali la Corte dimostra una particolare sensibilità, viene considerata sia in relazione all'organo chiamato a decidere sull'equilibrio di interessi rispetto alle esigenze investigative, sia sul “merito” di tale valutazione, ossia sul come un organo giurisdizionale possa determinarsi in relazione a tale potenziale conflitto. La CGUE individua un contrasto rispetto al diritto dell'Unione europea della disciplina legislativa estone, laddove si consente una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico telefonico/informatico e dei dati relativi all'ubicazione. Nondimeno, confondere le questioni significa non porsi in una condizione ottimale per valutare e decidere. Le indicazioni della Suprema Corte
La S.C., anche in tempi recenti, si è occupata delle questioni affrontate dalla CGUE. In questo senso (Cass. pen., Sez. III, n. 48737/2019 , CED 277353) ha precisato che in tema di acquisizione di dati contenuti in tabulati telefonici, la disciplina prevista dall'art. 132 d.lgs. n. 196/2003, sebbene non limiti l'attività alle indagini relative a reati particolarmente gravi, predeterminati dalla legge, è compatibile con il diritto sovranazionale in tema di tutela della privacy (direttive 2002/58/CE e 2006/24/CE), come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE 8 aprile 2014, Digital Rights, C-293/12 e C-594/12; CGUE 21 dicembre 2016, Tele 2, C-203/15 e C-698/15), da cui si ricava solo la necessità della proporzione tra la gravità dell'ingerenza nel diritto fondamentale alla vita privata, che l'accesso ai dati comporta, e quella del reato oggetto di investigazione, in base ad una verifica che il giudice di merito deve compiere in concreto. Una valutazione, per la S.C., che non si presta ad una rigida codificazione e non può che essere rimessa al prudente apprezzamento dell'autorità giudiziaria. In termini assolutamente sintonici si erano espresse altre decisioni per le quali le indicazioni del legislatore italiano - in considerazione delle finalità di repressione dei reati e tenuto conto dei limiti temporali di conservazione e dell'intervento preventivo dell'autorità giudiziaria, funzionale all'effettivo controllo della stretta necessità dell'accesso ai dati nonché al rispetto del principio di proporzionalità, sarebbero compatibili con le disposizioni europee (cfr. Cass. pen., sez. II, n 5741/2020. CED 278568; Cass. pen., Sez. III, n. 48737/2019, CED 277353; Cass. pen., sez. V, n 33851/2018, CED 273892). In particolare, poi, per la S.C., i principi enunciati dalle sentenze della CGUE non avrebbero effetto sulla disciplina italiana della conservazione e dell'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico, perché esse riguarderebbero Stati privi di una disciplina legislativa sulla conservazione e sull'accesso ai dati, mentre l'Italia dispone di una specifica disciplina. (cfr. Cass. pen., sez. V, n 33851/2018, CED 273892; Cass. pen., sez. III, 36380/2019). In concreto, per la Cassazione, gli unici dati patologicamente inutilizzabili sarebbero quelli relativi al traffico telefonico contenuti nei tabulati acquisiti dall'Autorità giudiziaria dopo i termini previsti dall'art. 132 d.lgs.n. 196/2003 atteso il divieto di conservazione degli stessi da parte del gestore al fine di consentire l'accertamento dei reati oltre il periodo normativamente predeterminato (Cass. pen., sez. V, n. 7265/2016, CED 267144). Non si può, infine, dimenticare che in termini generali le S.U. della S.C. avevano precisato che mentre l'intercettazione dei flussi di comunicazione telefonica, informatica o telematica, con la captazione dei contenuti del dialogo in corso all'insaputa di almeno uno degli interlocutori, deve avvenire con un controllo giurisdizionale preventivo o, in caso di urgenza, immediatamente successivo, come previsto dall'art. 267 c.p.p., per i tabulati telefonici, può essere sufficiente il decreto motivato del pubblico ministero (cfr. Cass., S.U., n. 6/2000). La lettura “possibilista” proposta dalla S.C. di scontra da tempo con le indicazioni della CGCE, che in più occasioni, anche prima della decisione in commento, ha stigmatizzato negativamente il riconoscimento al P.M. di poteri incidenti sulla vita privata e sull' “inviolabile” libertà di comunicazione. Un contrasto che, se potenzialmente sussiste con la disciplina europea, sarebbe errato riferire anche alla Carta Costituzionale - come pure si è affermato – poiché l'art. 15 Cost precisa «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria». Autorità giudiziaria e non organi giurisdizionali. La Costituzione può non trovare tutti d'accordo, ma resta il fatto che in linea teorica non solo i tabulati, ma anche le intercettazioni disposte dagli organi requirenti non sarebbero in contrasto con tale articolo. Sul tema si era espressa la Corte costituzionale, con una decisione che aveva in sostanza disconosciuto una piena assimilabilità della natura- e conseguentemente delle garanzie - previste per le intercettazioni all'acquisizione dei tabulati, riconoscendo a questi ultimi correttamente la natura di documenti. In particolare, la Corte aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 266c.p.p. sollevata in riferimento all'art. 13 Cost., nella parte in cui tale norma limita alle sole operazioni di intercettazione del contenuto di conservazioni telefoniche le garanzie e le cautele stabilite nel capo quarto del titolo terzo del c.p.p. Pure riconoscendo particolare rilevanza, in relazione alla sfera della riservatezza dei singoli, anche dei dati contenuti nei tabulati, la Corte Cost. aveva precisato che l'ampiezza della garanzia apprestata dall'art. 15 Cost. alle comunicazioni che si svolgono tra soggetti predeterminati entro una sfera giuridica protetta da riservatezza è tale da ricomprendere non solo la segretezza del contenuto, ma anche quella relativa all'identità dei soggetti e ai riferimenti di tempo e di luogo della comunicazione stessa. Secondo la Corte logico corollario di tale premessa è costituito dal fatto che l'acquisizione, come mezzo di prova, dei dati di identificazione dei soggetti, del tempo e del luogo della comunicazione deve avvenire nel più rigoroso rispetto delle regole che la Costituzione stessa pone come precettive a garanzia della libertà e della segretezza di ogni forma di comunicazione e solo sulla base di un atto dell'autorità giudiziaria, sorretto da un'adeguata e specifica motivazione, diretta a dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie volte al fine costituzionalmente protetto, della prevenzione e della repressione dei reati. Ciò in quanto l'art. 15 Cost., che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza, sarebbe diretto a garantire non solo la segretezza del contenuto della comunicazione ma anche quella relativa all'identità dei soggetti e ai riferimenti di tempo e luogo della comunicazione. In questo quadro tuttavia la Corte aveva operato una distinzione, specificando che l'art. 266 c.p.p.- che disciplina le intercettazioni di conversazione e comunicazioni telefoniche - si riferirebbe solo alle tecniche dirette ad apprendere il contenuto delle conservazioni o comunicazioni, laddove l'acquisizione dei tabulati si inserisce in un sistema nel quale al giudice, ai sensi dell'art. 256 c.p.p. è consentito l'acquisizione di documenti riservati coperti dal segreto professionale, fra i quali rientrano anche i documenti in possesso dell'ente gestore del servizio telefonico. In tal modo la Corte aveva ritenute come correttamente contemperate le esigenze della giustizia con quelle della tutela del diritto della persona alla libertà e segretezza della corrispondenza, in termini tali da escludere un contrasto tra l'art. 266 c.p.p. e l'art. 15 Cost. (Corte Cost., n. 81/1993, in Foro it., 1993, I, 2132) La ricaduta sul sistema: la risposta di Milano
Preso atto della portata dirompente della sentenza, occorre interrogarsi su quelli che saranno le conseguenze, nell'immediato e in futuro, della decisione. Relativamente semplice la risposta per quanto riguarda il futuro, il legislatore dovrà intervenire, verosimilmente in tempi brevi, con un provvedimento di legge: - per trasferire (salvi i casi di urgenza, per i quali potrà provvedere il P.M. ferma restando l'esigenza di convalida da parte del giudice) all'organo giurisdizionale la competenza alla acquisizione di tabulati e log, su istanza delle parti processuali - per individuare positivamente le categorie per le quali sarà consentito l'accesso ai dati, ossia il “contrasto a forme gravi di criminalità e la prevenzione di gravi minacce per la sicurezza pubblica” - per individuare le categorie di soggetti rispetto ai quali l'acquisizione sarà possibile; in via generale coloro che sono sospettati per i reati di cui al punto precedente e, solo in via eccezionale, i soggetti non sospettati, laddove siano rilevabili «elementi oggettivi che permettano di ritenere che tali dati potrebbero, in un caso concreto, fornire un contributo effettivo alla lotta contro attività di questo tipo». Per queste due ultime indicazioni le scelte del legislatore potrebbero essere non prive di criticità. Non tanto per gli interventi del temuto e spesso evocato “partito delle manette”, ma dei portatori di interessi - economici, ma non solo - tutelati in sede penale (e come tali riconosciuti in termini prioritari) che dall'impossibilità di acquisire i tabulati o i log potrebbero vedere (il condizionale è un semplice eufemismo) sostanzialmente pregiudicata la possibilità di una tutela effettiva in sede giudiziaria. Meno semplice la valutazione dell'impatto della decisione sui procedimenti in corso, sia in relazione alle indagini preliminari, sia nel caso in cui sia già stata esercitata l'azione penale. Decisamente “conservativa” la posizione del Tribunale di Milano, - VII sezione penale - chiamato a pronunciarsi su una richiesta di declaratoria di “inutilizzabilità e, comunque, di irrilevanza” di tabulati telefonici sulla base della sentenza della CGUE sopra menzionata formulata dalla difesa; tabulati dei quali il P.M. aveva chiesto l'acquisizione in relazione a un soggetto imputato per il delitto di concorso in rapina aggravata (in sostanza, al fine di provare la presenza dell'imputato in un determinato luogo al momento dei fatti in contestazione) e che - secondo la difesa - avrebbero dovuto essere “esclusi” in conseguenza della disapplicazione nell'ordinamento interno della norma di cui all'art. 132 d.lgs. n. 196/2003. Il Tribunale ha rigettato l'eccezione, disponendo l'acquisizione dei tabulati, non ravvisando alcun fondato profilo di censura all'art. 132 citato, per contrarietà all'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002. Dopo avere descritto puntualmente gli esiti della menzionata sentenza della CGUE, l'organo giudicante esprime dubbi sulla possibilità di trasporre i principi di quest'ultima nel caso di specie e, in generale, nell'ordinamento italiano. Rispetto all'oggetto del procedimento, il Tribunale rileva che il delitto in contestazione (rapina aggravata in concorso) rientra tra quelli ricompresi del n. 2 dell'art. 407, comma 2 c.p.p., individuati dal legislatore come tra quelli tali da determinare un più accentuato allarme sociale nell'ordinamento nazionale, ossia una di quelle "forme gravi di criminalità" per le quali anche CGUE giustifica il ricorso allo strumento investigativo dell'acquisizione dei tabulati telefonici. Di grande interesse, poi, la seconda sintetica argomentazione: il Tribunale osserva che in concreto, comparando il brevissimo arco temporale (24 ore) in cui il traffico telefonico era stato tracciato (e quindi la limitata “quantità” di dati di vita privata acquisiti nel caso di specie) non avrebbe potuto ritenersi «pregiudicata la dovuta proporzionalità tra esigenze investigative in sede penale e lesione della sfera di libertà». Su questo aspetto, sarà utile ritornare. La terza argomentazione del collegio è, al contrario, ampiamente sviluppata e parrebbe essere quella - o una tra quelle - centrali e decisive a fini della reiezione dell'eccezione. Il Tribunale ritiene del tutto non comparabile la figura del P.M. nell'ordinamento nazionale rispetto a quella dello stato (Estonia) oggetto della valutazione da parte della CGUE e esclude le osservazioni formulate su quest'ultimo - in tema di cd data relation e acquisizione dei tabulati telefonici per finalità di giustizia – siano trasponibile sul P.M. italiano. Il P.M. delineato dal legislatore nazionale dovrebbe essere ricompreso nel concetto di Autorità Giudiziaria e sarebbe «chiamato non solo a valutare gli elementi di prova a carico e a discarico dell'imputato nel corso di un processo penale, ma anche ad acquisire, in fase di indagine, e in prima persona, elementi di prova a favore dell'indagato (inclusi quelli condensati. se del caso, in eventuali tabulati telefonici) essendo in suo potere anche richiedere l'archiviazione del procedimento all'esito delle predette indagini e a norma dell'art. 408 cpp». Un organo, inoltre, non soggetto alla sfera di competenza del Ministero della Giustizia - come tale chiamato a partecipare alla pianificazione delle misure necessarie per la lotta e l'accertamento dei reati - ma «chiamato ad esercitare "sotto la vigilanza del Ministero di Grazia e Giustizia le funzioni che la legge gli attribuisce" (cfr. 69 r.d. n 12/1941), con garanzia deli impersonalità del suo ufficio e con la caratteristica ulteriore che esso riveste nel processo penale il ruolo di "parte pubblica" e non "privata"». Conseguentemente, il principio espresso dalla decisione in oggetto non sarebbe«fondatamente invocabile onde addurre un profilo di contrarietà rispetto al diritto comunitario della disciplina italiana in tema di data relation e acquisizione dei cd. tabulati telefonici in quanto calibrato e dettato in rapporto ad altro e diverso ordinamento giuridico (quello estone) che contempla una figura di P.M. non coincidente con quella italiana». In questo senso il Tribunale - sul piano strettamente lessicale - precisa che nella traduzione italiana delle sentenze della Corte di Giustizia il richiamo a «un controllo preventivo da parte di un giudice odi un'autorità amministrativa indipendente» consente di ritenere che il termine giudice possa essere esteso sino al concetto di "autorità giudiziaria «… così da ricomprende anche lo figura del P.M.; un'interpretazione diretta a valorizzare «in maniera adeguata il principio di indipendenza istituzionale, che nel sistema italiano, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti Europei, caratterizza tutta la magistratura e risulta avallata dall'accostamento del "giudice" alla "autorità amministrativa indipendente». La stessa decisione in commento al punto 53, afferma la non indispensabilità che il controllo preventivo sull'acquisizione dei tabulati venga operato da parte di un Giudice, quanto (almeno) «ad opera di un soggetto che fornisca sufficiente garanzia di indipendenza”, ossia che possa godere «di uno status che le permetta di agire nell'assolvimento dei propri compiti in modo obiettivo e imparziale, e deve a tale scopo essere al riparo da qualsiasi influenza esterna», identificabile, in relazione al nostro ordinamento, nella figura del P.M. L'ordinanza del Tribunale di Milano, per giustificare la scelta di respingere l'eccezione della difesa, sottolinea poi, con dovizia di particolari, le profonde differenza tra la legislazione estone e quella italiana in tema di data retention, rimarcando in particolare come la normativa estone l'attività di acquisizione - per finalità di accertamento o repressione dei reati — dei dati relativi al traffico telefonico (ed tabulati) sia condizionata alla presentazione di una mera richiesta — non soggetta a particolari requisiti di forma – senza che risultino previste «regole chiare e precise che disciplinino la portata e l'applicazione della misura in questione e fissino dei requisiti […], di modo che le persone i cui dati personali vengono in discussione dispongano di garanzie sufficienti che consentano di proteggere efficacemente tali detti contro i rischi di abusi». Al contrario il citato art. 132 d.lgs. n. 196/2003 «oltre a prevedere un limite temporale all'attività di memorizzazione e conservazione dei dati relativi al traffico telefonico (o telematico) da parte dei gestori, subordina la possibilità di acquisire i detti dati per finalità di giustizia, all'adozione di uno specifico decreto motivato da parte dell'Autorità Giudiziaria, in persona del Pubblico Ministero e riconosce peraltro un potere di iniziativa in tal senso e per finalità di difesa, anche all'indagato/imputato nonché alle altre parti del procedimento penale». Il Tribunale corrobora la propria convinzione richiamando la giurisprudenza sostanzialmente univoca sul tema della S.C. , che ha costantemente riconosciuto la compatibilità della disposizione di cui all'art. 132 con le direttive n.2002/58/CE e 2006/24/CE in tema di tutela della privacy, come interpretate dalla giurisprudenza della CGUE , trattandosi di deroghe alla disciplina della riservatezza prevista «per un periodo di tempo limitato» con «esclusivo obiettivo l'accertamento e la repressione dei reati» e «subordinata alla emissione di un provvedimento da parte di un'autorità giurisdizionale». La prospettiva romana
Differente nell'approccio - anche sulla base di differenti presupposti- la linea interpretativa fatta propria dal Tribunale di Roma, sez. Gip; il giudice è stato chiamato a pronunciarsi su una richiesta del P.M. con oggetto l'autorizzazione a disporre l'acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico, presso i competenti gestori, su una serie di utenze; richiesta accolta dopo che nella stessa si dava atto della sussistenza – in concreto - di gravi indizi di reato. Anche in questo caso la decisione da conto degli esiti della sentenza della CGUE, per giungere, tuttavia, a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle del Tribunale di Milano. Osserva il giudice capitolino che la argomentazioni in ordine al ruolo del P.M. e all'indipendenza o meno dello stesso non possono ritenersi decisive, in quanto ciò che rileva sarebbe non tanto (e non solo, possiamo aggiungere) l'indipendenza, quanto la “neutralità” nei confronti delle parti di procedimento penale; secondo il Gip, in sostanza, poco importa che il P.M. sia tenuto anche a svolgere accertamenti a favore del soggetto indagato, essendo decisivo il fatto che lo stesso non può essere considerato “terzo” rispetto alla valutazione degli elementi acquisiti. Terzietà che «per definizione, non può che attribuirsi al Giudice». Proprio il richiamo al requisito delle neutralità sarebbe in grado di “superare” le osservazioni formulate dalla S.C. rispetto alle indicazioni della CGUE (si considerino in particolare la sentenza della CGUE 8 aprile 2014, Digital Rights, C-293/12 e C-594/12; CGUE21dicembre2016, Tele 2, C-203/15 e C698/15) dirette a confermare la natura del P.M. e laconformità della disciplina dell'art. 132 d.lgs. n. 196/2003 al diritto sovranazionale in tema di tutela della privacy. Il profilo di maggiore interesse del decreto del Gip riguarda indubbiamente la valutazione sull'operatività della decisione della CGUE; si tratterebbe di una sentenza- sebbene resa a seguito di rinvio pregiudiziale di interpretazione - «direttamente applicabile con effetti vincolanti erga omnes», tenuto conto che al proposito la Corte costituzionale- sentenze 113/1985 e 168/1991 – si sarebbe espressa in questi termini in altre vicende. Il decreto prende atto del sopravvenuto contrasto tra l'art. 132, comma 3, d.lgs. n. 196/2003 e la normativa dell'Unione Europea, così interpretata dal Giudice europeo, «nella parte in cui attribuisce la competenza ad emettere il decreto motivato di acquisizione al pubblico ministero anziché al Giudice» e conseguentemente esclude la disapplicazione della norma in oggetto «perché ciò evocherebbe vizi della norma statale in realtà insussistenti»ipotizzando la«diretta applicazione della prevalente normativa sovranazionale così come interpretata dalla Corte di giustizia». La norma europea, in quest'ottica «entra e permane in vigore nel nostro ordinamento senza che la sua operatività sia condizionata dalla legge nazionale ed il Giudice adito deve pertanto individuare il rapporto tra le disposizioni dei due ordinamenti ed eventualmente disapplicare la legge nazionale». Il Gip è consapevole di una possibile obiezione a questa prospettazione, laddove l'applicazione diretta non consentirebbe un'individuazione tassativa dei reati in presenza dei quali potrebbe essere risposta l'acquisizione dei relativi al traffico telefonico, considerata l'indeterminatezza della locuzione impiegata dal Giudice europeo. Secondo il decreto in commento, nondimeno, la mancanza di un catalogo di reati particolarmente gravi non si porrebbe in conflitto con la disciplina sovranazionale, dovendo il giudizio di proporzione tra la gravità dell'intromissione nella sfera privata e la gravità del reato oggetto d'indagine essere condotto in non astratto bensì in concreto. In questo senso per la S.C. (Cass., sez. III n. 48737/2019, CED 277353) in tema di acquisizione di dati contenuti in tabulati telefonici, la disciplina prevista dall'art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003, sebbene non limiti l'attività alle indagini relative a reati particolarmente gravi, predeterminati dalla legge, è compatibile con il diritto sovranazionale in tema di tutela della privacy (direttive 2002/58/CE e 2006/24/CE), come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, da cui si ricava solo la necessità della proporzione tra la gravità dell'ingerenza nel diritto fondamentale alla vita privata, che l'accesso ai dati comporta, e quella del reato oggetto di investigazione, in base ad una verifica che il giudice di merito deve compiere in concreto. Per la S.C. la valutazione suddetta non si presta ad una rigida codificazione e non può che essere rimessa al prudente apprezzamento dell'autorità giudiziaria. Inoltre, la generalità dell'indicazione fornita dalla disciplina europea – «forme gravi di criminalità» e «prevenzione di gravi minacce per la sicurezza pubblica» - sarebbe facilmente superabile considerando che il legislatore nazionale si sarebbe già espresso al riguardo, individuano nel dettaglio agli artt. 266 e 266-bis c.p.p. i reati per i quali sarebbero possibili le intercettazioni e – dunque- anche le acquisizioni di tabulati, ovviamente disposte dal giudice su richiesta del P.M. Le valutazioni in generale: le indagini in corso
Non facile e certamente non indolore la scelta di chi – in concreto - dovrà trarre indicazioni, nell'immediato futuro, dai provvedimenti in commento. La soluzione romana ha indubbiamente il pregio della chiarezza, anche se presuppone che il P.M. sia a conoscenza della “condivisione” da parte dell'ufficio Gip (e , se possibile, in termini globali: dato assolutamente non certo) di tale ipotesi ermeneutica, da praticare comunque in assenza di una disposizione normativa specifica. In assenza di tale condivisione, si deve escludere che la Procura possa comunque rinunciare a richiedere autonomamente tabulati e file di log, impregiudicato il “rischio” – in prospettiva processuale - che tale scelta potrà comportare. Rischio particolarmente elevato ogni qual volta tabulati e log siano destinati a fondare in tutto o in parte decisioni sulla libertà personale e non scongiurato- certamente - da una “adesione” ermeneutica alla linea “conservativa” da parte dell'ufficio G.I.P, vista la concreta possibilità che la Corte d'appello o la S.C. possano giungere a conclusioni opposte. Il parallelismo ipotizzato con la disciplina delle intercettazioni non risolve – per l'altro - il problema della individuazione delle tipologie di reato per le quale la richiesta può essere inoltrata; indubbiamente, sul piano logico, sarebbe difficile ritenere che i reati per i quali sono previste le intercettazioni possono essere esclusi dal novero di quelli che consentono la richiesta di tabulati, atteso che la valutazione in punto “tutela della riservatezza” è stata già positivamente risolto dal legislatore: nel più sta il meno. Nondimeno, è innegabile - come la Corte costituzionale sopra richiamata ha precisato- che la “compressione” dei diritti del singolo derivante dai dati contenuti in un tabulato (o desumibili da un file di log) sia certamente (almeno nella maggior parte dei casi) meno afflittiva e invasiva rispetto alle captazioni. Se è così, proprio il richiamo formulato dal Gip di Roma alla valutazione del giudizio di proporzione tra la gravità dell'intromissione nella sfera privata e la gravità del reato oggetto in concreto e non in astratto esclude aprioristicamente una valutazione sull'acquisibilità limitata ai reati di cui agli artt. 266 e 266-bis c.p.p. È lo stesso legislatore che ha fornito un'indicazione di carattere logico non facilmente superabile sul punto: l'«art. 266 comma 1 lett. f), c.p.p. consente le intercettazione anche per reati di modesta gravità considerata la pena edittale (ingiuria - ora non più reato- minaccia […], molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono) e l'art. 266-bis c.p.p. consente le intercettazioni del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche». In entrambi i casi, non è la “gravità” del reato a condizionare la fattibilità delle intercettazioni, quanto la evidente indispensabilità di tali attività per accertare le responsabilità. Una considerazione per certi aspetti empirica ma destinata a garantire “effettività” nel sistema a varie ipotesi penali che, in caso contrario, esisterebbero solo sul piano formale. Una semplice, rapida, banale osservazione delle realtà giudiziaria consente di ritenere che anche i tabulati (e i file di log, senza contare l'“apertura” rappresentata dall'art. 266-bis c.p.p. citato) possono essere considerati essenziali per la ricostruzione della responsabilità di numerose ipotesi di reato non contemplate dall'art. 266 c.p.p. Spesso anche per escludere la responsabilità, a fronte di denunce calunniose. Se è così, la strada verso il “recupero” di valutazioni al riguardo, in punto “proporzionalità” - passa evidentemente attraverso una comparazione di interessi alla quale il giudice- su indicazione del P.M. – potrebbe essere chiamato. Valutazione nelle quali a fronte di ipotesi anche di non particolare gravità (ma comunque ritenute di rilievo penale dal legislatore e per le quali, pertanto, una decisione di condanna per l'indagato o una esclusione della responsabilità per la persona offesa non potrebbero essere di per sé indifferenti) si può (o forse si deve) porre il problema di una comparazione tra il “danno” derivante dall'uso dei tabulati e il pregiudizio per l'indagine nel caso in cui solo il tabulato possa fornire una elemento di prova o un riscontro significativo ai fini della decisione. Sul punto, sgombriamo il campo da un equivoco: non è un problema di tempi di conservazione o di “ampiezza” della conservazione. Sino a che il sistema nel suo insieme (e le disposizioni di matrice europea confermano tale assunto) consente per determinati reati l'acquisizione dei tabulati, per usare un concetto chiaro, sarà necessario conservare tutto e per il numero di anni “massimo” considerato dal sistema, non essendo possibile sapere se e quali dati potranno essere utili in relazione ad alcuni specifici e gravi reati. Nessun dubbio che la conservazione debba avvenire in termini di sicurezza ma altresì nessun dubbio sul fatto che forme di selezione o limitazione alla conservazione possano essere preventivamente e astrattamente deliberata. Resta - si fa per dire - il problema dei procedimenti in corso, nei quali sia stata esercitata l'azione penale o addirittura già in fase dibattimentale. Procedimenti nei quali, indubbiamente, sino all'intervento del legislatore: - potrà in astratto essere sollevata questione di legittimità costituzionale ai sensi in particolare degli art. 10, 11 Cost., sul presupposto dell'inottemperanza dell'Italia rispetto ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; - potrà essere richiesto un rinvio pregiudiziale alla Corte europea o quantomeno la disapplicazione della normativa nazionale al riguardo, al fine di fare dichiarare l'inutilizzabilità dei tabulati, ovvero chiedere la diretta applicazione della disciplina europea, come abbiamo visto. Al proposito, la decisione CGUE in oggetto precisa che è «il solo diritto nazionale stabilire le regole relative all'ammissibilità e alla valutazione, nell'ambito di un procedimento penale instaurato nei confronti di persone sospettate di atti criminali, di informazioni e di elementi di prova che siano stati ottenuti mediante una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati in questione, contraria al diritto dell'Unione od anche mediante un accesso delle autorità nazionali ai dati suddetti, contrario a tale diritto dell'Unione». Nondimeno, in base al principio dell'autonomia procedurale «in assenza di norme dell'Unione in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, stabilire le regole di procedura applicabili ai ricorsi giurisdizionali destinati a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli dal diritto dell'Unione, a condizione che le regole suddette non siano meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano impossibile in pratica o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione (principio di effettività) (sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU:C:2020:791, punto 223…)». Conseguentemente, in base alle indicazione CGUE sarebbe ravvisabile un “divieto di utilizzazione” della prova illegittima: «un organo giurisdizionale, il quale consideri che una parte non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito a un mezzo di prova rientrante in una materia estranea alla conoscenza dei giudici e idoneo ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti, deve constatare una violazione del diritto ad un processo equo ed escludere tale mezzo di prova al fine di evitare una violazione siffatta». L'organo giurisdizionale, in forza del principio di effettività, dovrebbe escludere «informazioni ed elementi di prova che siano stati ottenuti mediante una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e all'ubicazione incompatibile con il diritto dell'Unione, od anche mediante un accesso dell'autorità competente a tali dati in violazione del diritto dell'Unione, nell'ambito di un procedimento penale instaurato nei confronti di persone sospettate di atti di criminalità, qualora tali persone non siano in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito alle informazioni e agli elementi di prova suddetti, riconducibili ad una materia estranea alla conoscenza dei giudici e idonei ad influire in maniera preponderante sulla valutazione dei fatti». A questo proposito, è stata osservato che «riguardo all'accesso illegittimo ai dati […] è difficile ravvisare la violazione del principio del contraddittorio, in quanto i dati, sia pure illegittimamente acquisiti, sono successivamente posti a disposizione delle parti e su di essi può quindi liberamente svolgersi il contraddittorio, per cui, nel caso specifico, non sembra possa intaccarsi l'“equo processo”». Potrebbe, al contrario, essere invocato il “principio di equivalenza” per individuare il rimedio da applicarsi all'acquisizione dei tabulati in violazione delle regole individuate dalla Corte di giustizia U.E. in particolare facendo ricorso all'“applicazione delle norme disciplinanti l'analoga situazione di un'intercettazione avvenuta illegittimamente, cioè in violazione della riserva di legge e di giurisdizione […]» che determinerebbe la «sanzione dell'inutilizzabilità, che l'art. 271 c.p.p. riserva ai casi di esecuzione delle intercettazioni al di fuori dei casi previsti dalla legge o di mancata autorizzazione del giudice». (Così FILIPPI L., La Grande Camera della Corte di giustizia U.E. boccia la disciplina italiana sui tabulati. CGUE, Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 459, in www.penaledp.it). Una prospettazione certamente condivisibile in relazione al primo assunto, verosimilmente meno nel secondo, ove si tenga conto del principio di tassatività che informa le nullità come i casi di inutilizzabilità, che, in questo caso, al contrario sarebbe applicato (ben) oltre la previsione del legislatore. In pratica, una inutilizzabilità a fronte di atti processuali totalmente compatibili con la normativa vigente. Una scelta drastica e dolorosa, che, ove accolta, dovrebbe essere attentamente valutata in tutte le sue implicazioni. Sul punto, osserva correttamente il Tribunale di Milano che anche accedendo alla tesi della disapplicazione della normativa interna di cui all'art. 132 d.lgs. n.196/2003 in relazione alla facoltà riconosciuta al P.M., non sarebbe comunque prevista alcuna espressa sanzione che osti all'utilizzabilità dei dati così ottenuti, atteso che «l'inutilizzabilità generalmente prevista dall'art. 191c.p.p. è tassativamente ricollegata alla previsione e alla violazione di un esplicito divieto di legge, non anche a ogni difformità che si verifichi nel corso del procedimento di acquisizione». Al proposito, per la S.C. (Cass. pen., sez. II, n. 9494/2018) «la sanzione dell'inutilizzabilità prevista in via generale dall'art.191 c.p.p. si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l'osservanza delle formalità prescritte». Sul tema, come già ricordato, la solo ipotesi di inutilizzabilità dei dati relativi al traffico telefonico «è quella derivante dalla loro acquisizione da parte dell'A.G. dopo i termini ivi previsti, atteso il divieto di conservazione degli stessi da parte del gestore alfine di consentire l'accertamento dei reati oltre il periodo normativamente predeterminato» (Cass. pen., sez. V. n. 7265/2016) mentre, «la sanzione dell'inutilizzabilità, che segue all''acquisizione dei tabulati in assenza di un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, colpisce non il fatto come rappresentazione della realtà in essi documentata, ma la metodologia di acquisizione di tali atti». Conseguentemente, in tali casi potrà intervenire nello stesso procedimento il decreto motivato di acquisizione dei relativi dati, in modo da legittimarne l'utilizzazione, potendo il giudice del dibattimento acquisire agli atti del proprio fascicolo un tabulato telefonico, a sua volta acquisito dal P.M. in assenza di provvedimento, surrogando il potere esercitabile da quest'ultimo e rendendo utilizzabili per la decisione i dati probatori così ottenuti (Cass., sez. VI, 3.4.2006, n. 33435. CED 234356). Non solo: per l'ordinanza milanese «anche a ritenere che, con la pronuncia resa dalla Corte di Giustizia, si sia attuata un'interpretazione difforme del medesimo art. 132 Cod. Privacy, appare […] illegittima l'applicazione retroattiva del nuovo filone ermeneutico, secondo il principio, mutuato dall'art. 7 dellaConvenzione Europea deiDiritti dell'Uomo - così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU — per cui non è consentita l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale di una norma penale, allorquando il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa». In conclusione
- La sentenza 2 marzo 2021, emessa nella causa C 746/18m, della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in tema di tabulati telefonici impone verosimilmente al legislatore italiano un intervento avente a oggetto sia il ruolo del P.M. rispetto all'acquisizione dei tabulati, sia l'individuazione dei reati per i quali l'organo giudicante potrà autorizzare l'acquisizione. - Si sono manifestati significativi contrasti ermeneutici sia in ordine alla possibilità per il P.M. di continuare a disporre in piena autonomia l'acquisizione di tabulati e file di log, sia sulla concreta utilizzabilità dei tabulati e dei log acquisiti dal P.M. prima della sentenza in oggetto. J. DELLA TORRE, L'acquisizione dei tabulati telefonici nel processo penale dopo la sentenza della Grande Camera della Corte di Giustizia UE: la svolta garantista in un primo provvedimento del Gip, di Roma, in www.sistemapenale.it; L. FILIPPI, La Grande Camera della Corte di giustizia U.E. boccia la disciplina italiana sui tabulati. CGUE, Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 459, in www.penaledp.it; L. LUPARIA, Data retention e processo penale. Un'occasione mancata per prendere i diritti davvero sul serio, in Diritto di Internet, 2019, 4, p. 762; G. MELILLO, Intercettazioni ed acquisizioni di dati telefonici: un opportuno intervento correttivo delle Sezioni Unite, in CP, 2000, 2602-2609; F. RESTA, Conservazione dei dati e diritto alla riservatezza. La Corte di giustizia interviene sulla data retention. I riflessi sulla disciplina interna, in www.giustiziainsieme.it; N. REZENDE, Dati esterni alle comunicazioni e processo penale: questioni ancora aperte in tema di data retention, nota a Cass., Sez. III, 19 aprile 2019 (dep. 23 agosto 2019), n. 36380, in www.sistemapenale.it; M. RICCARDI, Dati esteriori delle comunicazioni e tabulati di traffico, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3, 2016, pp. 156-189. |