Le prestazioni dei professionisti e il loro rapporto di funzionalità con la procedura di concordato preventivo

Remo Tarolli
Laura Riondato
04 Maggio 2021

In seguito al decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, il conferimento da parte della società debitrice a un professionista di un incarico di consulenza legale inerente alla gestione dei rapporti con gli istituti finanziari non può essere autorizzato ex art. 167, comma 2, l. fall., in quanto non funzionale alla procedura concordataria e all'interesse dei creditori.
Massima

In seguito al decreto di apertura della procedura di concordato preventivo ex art. 163 l. fall., il conferimento da parte della società debitrice a un professionista di un incarico di consulenza legale inerente alla gestione dei rapporti con gli istituti finanziari (e, in particolare, avente ad oggetto l'assistenza a tali istituti nell'analisi dei profili di rilevanza legale della proposta concordataria, anche con rilascio di pareri richiesti dagli stessi) non può essere autorizzato a norma dell'art. 167, comma 2, l. fall., in quanto non funzionale alla procedura concordataria e all'interesse dei creditori.

Il caso

La decisione trae origine da un'istanza formulata dalla società in concordato preventivo per ottenere l'autorizzazione del giudice delegato a norma dell'art. 167, comma 2, l. fall. a:

(i) eseguire i pagamenti dei corrispettivi dovuti ai professionisti che hanno contribuito a vario titolo alla formazione della proposta e del piano concordatari; nonché

(ii) sottoscrivere la proposta di mandato a un avvocato per la consulenza legale riferita ai rapporti con gli istituti finanziari.

Nello specifico, secondo quanto riportato dal giudice delegato, la lettera di incarico prevedeva segnatamente “la assistenza agli Istituti finanziari nell'analisi dei profili di rilevanza legale della proposta concordataria, la revisione e negoziazione di eventuali patti paraconcordatari […], il rilascio di pareri scritti e orali che verranno richiesti dagli Istituti finanziari con riferimento alla procedura di concordato”.

La questione

L'istanza - per ciò che più rileva - involge la questione relativa agli atti che una società soggetta alla procedura concordataria può essere autorizzata a compiere. In particolare, il giudice delegato è stato chiamato a verificare la sussistenza nel caso di specie dei presupposti necessari per autorizzare gli atti di cui all'art. 167, comma 2, l. fall. citato.

Va all'uopo rammentato che gli atti di straordinaria amministrazione che necessitano di autorizzazione sono tutti quelli idonei a incidere negativamente sul patrimonio del debitore, in forza della definizione fornita da giurisprudenza ormai costante.

Le soluzioni giuridiche

Nel decreto in commento il giudice delegato ha affrontato la questione suddetta muovendo dalla premessa per cui il conferimento di un incarico professionale di consulenza legale, con un compenso stimato in euro 50.000,00, deve ritenersi compreso tra gli atti straordinari da autorizzare, a pena di inefficacia.

Ciò premesso, il giudice ha ritenuto “non autorizzabile” la conclusione del contratto di mandato professionale, in quanto la relativa attività “non [appare] in realtà funzionale alla procedura concordataria e all'interesse dei creditori”.

Il mandato non è stato giudicato funzionale alla procedura concordataria essenzialmente per il fatto di prevedere prestazioni professionali che avrebbero dovuto essere svolte “nell'interesse degli istituti di credito e finanziari”, quindi in favore - non di tutti i creditori sociali, bensì - della sola categoria dei creditori bancari. Categoria che peraltro, nel ragionamento sviluppato dal giudice, è costituita dai creditori dotati di maggiori competenze per comprendere la proposta concordataria (anche tramite la relazione dei commissari giudiziali ex art. 172 l. fall.) nonchè - s'intuisce - della possibilità di sostenere se del caso le spese per la nomina di un proprio advisor legale.

Di contro, il predetto mandato non soddisferebbe alcun interesse delle restanti categorie di creditori, determinando persino un “diverso trattamento” tra i creditori stessi. Né il conseguente obbligo di pagare il compenso professionale del legale da parte della società debitrice sarebbe in qualche modo giustificato.

In merito alla richiesta dipagamento dei corrispettivi già maturati dai professionisti, il giudice delegato ha invece consentito alla società di provvedere sul rilievo che le prestazioni eseguite, “funzionali alla predisposizione delle proposta concordataria, risultano essere state svolte ed emesso il decreto di apertura della procedura concordataria, con conseguente autorizzabilità dei pagamenti richiesti”. Questione che - con particolare riguardo alle procedure non aperte - è attualmente al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per effetto della rimessione di cui al provvedimento della Procura generale di data 9 febbraio 2021.

Osservazioni

L'istanza della società si fonda implicitamente sull'assunto che l'assistenza fornita tramite un advisor legale agli istituti finanziari possa in qualche misura favorire l'espressione da parte di questi ultimi di un voto favorevole alla proposta concordataria. Tali voti concorrerebbero quindi al raggiungimento della maggioranza necessaria per l'approvazione del concordato; e la soluzione concordataria, secondo quanto si può intuire, sarebbe migliorativa per tutti i creditori rispetto all'alternativa rappresentata dal fallimento della società. Con la conseguenza, in sintesi, che dai predetti voti favorevoli delle banche dipenderebbe un vantaggio per l'intero ceto creditorio.

La vicenda appena descritta è coerente con la prassi diffusa del ceto bancario di farsi assistere da un consulente di fiducia, con compensi a carico della società debitrice, per l'esame della propria posizione creditoria nell'ambito di una procedura (in senso atecnico) di restructuring.

In tale quadro - correttamente - il giudice delegato ha valutato in concreto se l'esborso da parte della società dei corrispettivi per l'assistenza al ceto bancario potesse determinare un'utilità reale in favore della medesima società e di tutti i creditori sociali. Sul punto, va ricordato come in sede concorsuale la stella polare che orienta le decisioni dell'autorità giudiziaria sia costituita dall'interesse dei creditori.

Siffatta valutazione va di regola condotta valorizzando l'interesse della società alla soluzione concordataria, (solo) nella misura in cui quest'ultima consenta il miglior soddisfacimento dei creditori. In questo senso, una reale utilità della consulenza legale in favore delle banche nell'ottica dei creditori sociali potrebbe in astratto predicarsi solo in presenza di un nesso imprescindibile fra tale apporto professionale e la soluzione concordataria della crisi, laddove essa si riveli più satisfattiva del fallimento. In proposito il giudice ha escluso in radice l'esistenza di una necessità oggettiva della società di coadiuvare il ceto bancario mediante (il pagamento di) un professionista.

Le banche, infatti, dispongono di competenze sufficienti per valutare la proposta concordataria e, comunque, di risorse per incaricare direttamente un consulente esterno a proprie spese, senza che sia quindi ravvisabile per la società alcuna utilità particolare nell'assunzione di un ulteriore onere a ciò diretto. Ciò vale a maggior ragione se si considera che la procedura concordataria contempla già la figura del commissario giudiziale con funzioni di tutela del ceto creditorio, con lo specifico compito di informare i creditori sui contenuti della proposta concordataria anche nel raffronto con l'alternativa fallimentare. L'aggiunta di un professionista ad hoc in favore delle sole banche con oneri a carico della società (e quindi dei creditori), pertanto, darebbe luogo in definitiva a una disparità di trattamento tra le categorie di creditori, ingiustificata in carenza di ragioni oggettive funzionali all'interesse dell'intero ceto.

A conclusioni parzialmente diverse può pervenirsi con riferimento a ipotesi di soluzione della crisi differenti dalla procedura concordataria (governata, come noto, da vincoli stringenti a tutela dei creditori sociali). In operazioni di restructuring prive di una connotazione pubblicistica, infatti, sfuma (almeno in parte) la necessità di una tutela dei creditori sociali intesi come “massa”; e non è quindi escluso in astratto che la società debitrice possa sostenere le spese di un advisor legale “dedicato” alle banche, salvi gli eventuali profili di responsabilità degli amministratori per l'impiego di risorse sociali a tale fine.

Guida all'approfondimento

Sulla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, tra le più recenti, Cass. 31 maggio 2019, n. 15101, in Leggi d'Italia, 2019; Cass. 29 maggio 2019, n. 14713, ivi, 2019; Cass. 16 maggio 2019, n. 13261, in Foro it., 2019, 11, 1, 3614.

In dottrina, tra i tanti, Nardecchia, Atti di ordinaria amministrazione, atti legalmente compiuti e consecuzione di procedure: la prededuzione ieri, oggi e domani, in Fallimento, 2019, 8-9, 1011 ss.; Arato, La domanda di concordato preventivo, in Crisi d'impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso-Panzani, Torino, 2016, 3341 ss., e Filocamo, Commento sub art. 167, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, Padova, 2014, 2243 ss.

Nello specifico, sul conferimento di incarico professionale, Cass. 18 settembre 2019, n. 23272, in Leggi d'Italia, 2019; Cass. 16 settembre 2019, n. 23004, ivi, 2019, e Cass. 22 ottobre 2018, n. 26646, in Giur. it., 2019, 1, 103, nonché nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 18 ottobre 2018, in Fallimento, 2019, 1, 123.

Sommario