Cherry picking e conflitto di interessi nel concordato preventivo: un'interessante pronuncia del Tribunale di Piacenza

Andrea Colnaghi
12 Maggio 2021

L'Autore commenta la pronuncia del Tribunale di Piacenza che esamina due interessanti profili: i criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo e il trattamento da riservare al creditore in conflitto d'interessi.
Le massime

Nella procedura di concordato preventivo, risulta distorsiva e non rispettosa dei criteri di omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici previsti dall'art. 160 l. fall. la previsione di una classe residuale e omnicomprensiva per i creditori chirografari non ricompresi nelle altre classi.

Il creditore che sia anche affittuario dell'azienda in concordato preventivo e che abbia presentato un'offerta per il suo acquisto, sottoposta alla condizione sospensiva dell'omologa del concordato preventivo, versando in una situazione di conflitto di interessi, deve essere collocato in un'apposita e autonoma classe.

Il caso

Nel provvedimento in commento gli aspetti degni di nota sono due come, del resto, due sono i profili esaminati dal Tribunale di Piacenza: i criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, da un lato, e il trattamento da riservare al creditore in conflitto d'interessi, dall'altro lato.

A ben vedere, poi, questi due profili di indagine corrispondono, a loro volta, a due peculiarità presenti nello specifico piano concordatario che – secondo il Collegio – rischiano di compromettere «la formazione di una maggioranza genuina per l'eventuale approvazione del concordato» e che, pertanto, richiedono «chiarimenti o integrazioni» da parte del proponente.

Il primo di questi due elementi potenzialmente pregiudizievoli alla formazione di una «maggioranza genuina» è, più in particolare, individuato nella stessa formulazione della proposta concordataria, o meglio: nelle modalità e nei criteri con i quali la società proponente immagina – volendo utilizzare lo stesso vocabolo impiegato dal Tribunale – di «classare» i creditori. Queste modalità e questi criteri comportano, infatti, la suddivisione del ceto creditorio in quattro classi, tutte destinate ad accogliere creditori oggettivamente e soggettivamente omogenei, ad eccezione della quarta e ultima classe, avente natura residuale, nella quale – del tutto inopportunamente, secondo il Tribunale – vengono fatti confluire quei creditori chirografari che, non possedendo i requisiti (soggettivi) richiesti per l'inserimento nelle altre tre classi, risultano tra di loro, nel loro complesso, soggettivamente disomogenei e tendenzialmente disallineati nella valutazione della proposta concordataria. Il che, secondo il Collegio, rappresenterebbe un perfetto esempio di cosiddetto «cherry picking» – da qui il titolo della presente nota – ovvero: selezionare e classare a parte alcuni creditori, scegliendoli come fossero ciliegie ancora appese a un ramo, all'unico ed evidente fine di rendere irrilevante la loro manifestazione di voto.

Per la verità, anche il secondo elemento di potenziale disturbo alla formazione di una «maggioranza genuina» è connesso in qualche misura a quello appena visto, dal momento che deriva dall'inserimento di un creditore in particolare all'interno della classe residuale di cui sopra. Quel creditore – intendo dire – che risulta aver stipulato con il proponente un affitto d'azienda, nel quale è presente un'offerta irrevocabile per l'acquisto dell'azienda stessa, subordinata all'omologa del concordato. Circostanza quest'ultima che – secondo il Tribunale – renderebbe quel creditore portatore di un interesse proprio, che, nella prospettiva delle operazioni di voto, potrebbe entrare in conflitto con quello dei creditori (diciamo così) «compagni di classe». Vale a dire: un interesse all'approvazione della proposta concordataria che prescinde – o comunque: non dipende solo e soltanto – dal conseguire il miglior soddisfacimento possibile del credito ed è, piuttosto, rintracciabile nella volontà di «stabilizzare l'operazione di subentro nell'azienda della società debitrice».

Le questioni giuridiche

Come detto, le questioni giuridiche vagliate dal Tribunale di Piacenza sono due e, ancorché per ragioni differenti, sono entrambe legate all'istituto della suddivisione in classi del ceto creditorio all'interno della procedura di concordato preventivo.

L'istituto delle classi – nato negli Stati Uniti sul finire degli anni ‘80 del secolo scorso come mezzo per favorire i processi di ristrutturazione aziendale – ha fatto il suo ingresso nel panorama concorsuale italiano in un passato relativamente recente, e cioè: in via di sperimentazione, nel 2003 con la cosiddetta «Legge Parmalat» (L. n. 166/2004) e, poi su larga scala, solo nel 2005 con l'introduzione, ad opera della L. 80/2005, dell'attuale primo comma dell'art. 160 l. fall., secondo cui il piano concordatario può, per l'appunto, prevedere «la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei».

L'introduzione del meccanismo delle classi – e, in particolare, l'introduzione della regola per cui è lecito riservare trattamenti differenziati a creditori appartenenti a classi diverse (art. 163, comma 1, lett. d),l. fall.) – rappresenta un chiaro favor nei confronti della soluzione concordata della crisi d'impresa.

Tuttavia, come è logico, questo favor risulta declinato all'interno di una cornice normativa, funzionale ad evitare che lo strumento delle classi venga abusato e piegato al perseguimento di vantaggi ingiustificati.

È in questo senso, infatti, che si spiega la formulazione dell'art. 160 l. fall., nel punto in cui chiarisce che i creditori appartenenti a ciascuna classe devono essere tra di loro assimilabili da un punto di vista oggettivo (guardando cioè alla «posizione giuridica») e soggettivo (guardando cioè agli «interessi economici»).

In altre parole, ciò che la norma vuole è che, quando ci si avvalga del sistema delle classi, siano osservati entrambi i criteri orientativi ora visti (Cass., 16 aprile 2018, n. 9378), di modo che il Tribunale possa valutare – come dice l'art. 163, comma 1, l. fall. – la «correttezza dei criteri di formazione delle classi».

Ora: da un punto di vista puramente formale, si potrebbe anche dire che questo controllo debba essere circoscritto ad una verifica ex ante,fondata esclusivamente sulle «motivazioni addotte dall'imprenditore in ordine alle ragioni economico-giuridiche di tale suddivisione», da un lato, e sulla effettiva «coerenza» e «funzionalità» delle classi rispetto alla «realizzazione» del piano, dall'altro lato (Trib. Milano, 9 febbraio 2007).

Tuttavia, se si considera il fatto che la procedura concordataria risulta governata dal principio maggioritario, si capisce che questo controllo di legalità debba, in certi casi e in certi contesti, spingersi al di là di un'indagine puramente formale, fino al punto di dover andar in cerca delle ragioni sottostanti alla singola manifestazione di voto, e ciò tanto nel caso in cui tali ragioni siano rivelatrici di istinti egoistici, quanto in quello in cui siano rivelatrici di situazioni di vero e proprio conflitto d'interessi.

Ed infatti, dal momento che ogni valutazione sulla convenienza della proposta concordataria risulta rimessa ai creditori (o meglio: alla maggioranza dei creditori), è indispensabile che i creditori esprimano un voto non inquinato da conflitto di interessi.

La giurisprudenza ha nel tempo sperimentato vari rimedi tesi ad ovviare al problema del conflitto d'interessi.

Mi riferisco, ad es., al recente intervento delle Sezioni Unite in tema di concordato fallimentare, nel quale al creditore in conflitto di interessi è stato tout court negato il diritto di voto rispetto all'approvazione della proposta (Cass. SS.UU., 28 giugno 2018, n. 17186). Ma, ancor più in particolare, mi riferisco ad alcuni precedenti di merito, tra i quali merita, a mio parere, di essere citata una pronuncia del Tribunale di Milano, nella quale si è affermato il principio per cui, nel concordato preventivo, il creditore in conflitto d'interessi, che dispone di un voto (quantitativamente) rilevante ai fini dell'approvazione della proposta, deve essere collocato in una classe distinta da quella degli altri creditori ammessi al voto (Trib. Milano, 5 dicembre 2018).

Le soluzioni individuate dal Tribunale di Piacenza

Il Tribunale di Piacenza, nel provvedimento in commento, ha evidentemente indicato e, in buona misura, fatto propri i princìpi di cui sopra.

Iniziando, infatti, dalla prima delle due questioni affrontate – vale a dire: la correttezza o meno di una classe giudicata «residuale» – il Tribunale non ha fatto altro che ribadire la regola per cui la proposta di concordato preventivo, in presenza di classi, deve conformarsi ad entrambi i criteri previsti dall'art. 160 l. fall.: quello della omogeneità delle posizioni giuridiche (il criterio oggettivo) e quello della omogeneità degli interessi economici (il criterio soggettivo) (cfr. Cass. 26 luglio 2012, n. 13284). È esattamente questo, in altre parole, il senso della puntualizzazione del Tribunale secondo cui quando «si decide di classare alcuni creditori in forza della natura del loro credito e delle loro caratteristiche soggettive, appare opportuno che anche gli altri creditori chirografari siano (…) classati di conseguenza, in quanto una singola classe in cui i creditori sono accumunati solo dal rango chirografario del credito non appare più rispettosa dei requisiti ex art. 160, lett. c, L.F.».

Venendo, invece, alla problematica del creditore in conflitto di interessi – ovvero: l'affittuario/promissario acquirente dell'azienda ricompresa nell'attivo concordatario – il Collegio, uniformandosi al precedente del Tribunale di Milano poco sopra richiamato, ha affermato che, qualora venisse confermata l'esistenza di un conflitto d'interessi, l'unica soluzione praticabile sarebbe quella dell'«inserimento di tale creditore in apposita classe».

Il che, sul piano astratto, suona come una conclusione senza ombra di dubbio condivisibile e opportuna. E dico sul piano astratto semplicemente perché nel provvedimento in commento non emerge se il Tribunale sia giunto a tale conclusione avendo prima svolto la cosiddetta «prova di resistenza», vale a dire: se il Tribunale, prima di esprimersi in merito alla necessità di prevedere un'ulteriore classe, abbia o meno misurato il peso specifico del voto esprimibile dal creditore/affittuario. Credo, infatti, che assumere iniziative tese a contenere i riflessi negativi di una situazione di potenziale conflitto di interessi sia giusto e opportuno solo nella misura in cui il voto del creditore portatore di tale interesse sia determinante ai fini dell'approvazione della proposta. Al di fuori di questa ipotesi, non vedo, in altri termini, motivi che giustificherebbero un'intromissione da parte del Tribunale in uno spazio – quello della formazione delle classi – che per definizione appartiene all'autonomia privata del singolo imprenditore.

Guida all'approfondimento

A. Dimundo, sub art. 163, in G. Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, Milano, 2015;

M. Aiello, Tre questioni in tema di concordato: abuso del diritto nella formazione delle classi, atti di frode e legittimazione del liquidatore giudiziale all'azione di responsabilità, in ilfallimentarista.it, 24 novembre 2011;

D. Galletti, La formazione di classi nel concordato preventivo: ipotesi applicative, in ilcaso.it;

A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Fall., 2019, 1095;

N. Nisivoccia, Alcuni principi in tema di concordato fallimentare, in Fall., 2011, 417.

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