Separazione: no all'assegno di mantenimento se la moglie rifiuta concrete offerte di lavoro
12 Maggio 2021
Massima
In tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l'assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale; donde rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse e ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione Il caso
La Corte d'appello di Trieste, con la sentenza del 7 maggio 2019, n. 288, in una controversia relativa alla separazione personale tra coniugi, aveva rigettato le doglianze proposte dal ricorrente avverso la sentenza di primo grado. In relazione al motivo di appello riguardante il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore della moglie, la Corte territoriale, nel confermare il beneficio stabilito dal Tribunale, aveva ritenuto che le attitudini lavorative della moglie andassero ricondotte alla laurea in farmacia e che il profilo individuale dell'avente diritto non andasse mortificato con possibili occupazioni inadeguate, non potendosi pretendere che «una donna quarantottenne, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile», poi «sia condannata al banco di mescita o al badantato». Riteneva, pertanto, sussistente il diritto del coniuge alla corresponsione dell'assegno di mantenimento nella misura fissata dal Tribunale. Il coniuge obbligato, quindi, sul punto proponeva ricorso per cassazione affidando le censure a due motivi: 1.violazione o falsa applicazione dell'art. 115, comma 1, c.p.c. con riguardo all'assegno in favore della moglie, confermato nella misura di € 1.000,00 mensili. Secondo il ricorrente, la Corte Territoriale aveva valutato superficialmente le risultanze di causa, non essendo, a differenza di quanto opinato dalla sentenza impugnata, la controparte laureata in farmacia, ma in lingue ed avendo sempre rifiutato i lavori propostile dal marito; 2.violazione o falsa applicazione dell'art. 156, comma 1, c.c., essendosi la corte territoriale limitata ad affermare che la moglie aveva redditi assai modesti, trascurando di considerare che avesse diverse entrate e che, comunque, l'assegno di mantenimento nella separazione - a dire del ricorrente - non mira a mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma ad assicurare solo un contributo al coniuge economicamente più debole, sempre che, però, lo stesso si sia attivato per la ricerca di un lavoro, e non sia invece rimasto al riguardo del tutto inerte, sempre rifiutando, come nella specie, le molteplici possibilità lavorative proposte dal marito. Secondo il ricorrente, in tal modo, la moglie avrebbe aggravato ingiustificatamente la posizione debitoria del marito. La Corte di Cassazione, ritenendo i due motivi manifestamente fondati accoglieva il ricorso e rinviava alla Corte di Appello di Trieste in diversa composizione. La questione
In tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l'assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale; donde rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione, e ciò secondo le linee interpretative dell'art. 156 c.c., tracciate dalla Suprema Corte. Il titolo di studio, ovvero un diploma di laurea, non può giustificare la decisione di respingere offerte di lavoro considerandole non all'altezza. Tuttavia, nell'accertamento delle effettive possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa, il Giudice di merito deve valutare le concrete, singole attività lavorative eventualmente reperite dalla richiedente l'assegno, ovvero reperite dal coniuge non potendosi limitare ad affermare il diritto di non reperire alcuna attività lavorativa reputata inferiore alle professionalità del richiedente, mentre, al contrario è necessario compiere una valutazione specifica delle proposte e dei lavori ricercati o reperiti e della raggiunta prova del diritto a non compierli e delle ragioni di tale scelta. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione nel caso in esame, conferma il principio, già consolidato, secondo cui in tema di assegno di mantenimento, l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. L'ordinanza in esame, in conformità all'orientamento della Suprema Corte, ha quindi sottolineato che l'attitudine al lavoro, quale elemento di valutazione della capacità di guadagno, rileva in relazione al riconoscimento e alla quantificazione dell'assegno di mantenimento solamente se è riscontrata in termini di effettiva e concreta possibilità di svolgimento di un'attività retribuita. È necessario dunque, che il Giudice di Merito tenga in considerazione ai fini della valutazione della capacità lavorativa ogni concreto fattore individuale ed ambientale, quali l'età del coniuge richiedente l'assegno, il suo titolo di studio, le competenze specifiche che ha acquisito, lo stato del mercato del lavoro nonché la collocazione geografica. Non è sufficiente pertanto limitarsi a mere valutazioni astratte e ipotetiche (cfr. ex multis Cass. civ., n. 3297/2017; Cass. civ., n. 789/2017, Red. Scient., L'ex moglie casalinga ha diritto all'assegno di mantenimento anche se in grado di lavorare, in IlFamiliarista; Cass. civ., n. 17971/2017; Cass. civ., n. 12346/2014 – si veda S.A. Galluzzo, Per escludere l'assegno di mantenimento la capacità lavorativa del richiedente deve accertarsi in concreto, in IlFamiliarista). Osservazioni
Dalla decisione della Suprema Corte, n. 5932/2021, può ricavarsi il principio secondo cui il titolo di studio non può giustificare la decisione di respingere offerte di lavoro considerandole non all'altezza. Tale principio, tuttavia deve essere conciliato con il plurimo e consolidato orientamento della Suprema Corte, in ordine alla interpretazione dell'art. 156 c.c. che riconosce, in capo al coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro quanto necessario al suo mantenimento qualora non abbia adeguati redditi propri. Quindi, ai fini della esclusione del diritto all'assegno di mantenimento, al giudice di merito, alla luce della sentenza in commento, è imposto un rigoroso accertamento delle concrete capacità lavorative del coniuge richiedente l'assegno. Come si è già argomentato innanzi, l'attitudine del coniuge al lavoro va valutata in concreto, con riferimento alle proposte e ai lavori ricercati o reperiti e delle ragioni della scelta di non compierli, con la conseguenza che potranno essere censurate le statuizioni dei giudici di merito che neghino il diritto all'assegno di mantenimento sulla base di un'astratta attitudine e capacità di lavoro della donna e ciò in violazione del dovere di solidarietà coniugale posto a base dell'obbligo di mantenimento di cui all'art. 156 c.c.
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